Dopo qualche giorno con temperature primaverili torna il freddo su Milano e dal Nord Europa, insieme alle basse temperature, tornano a farci visita – ben più gradita – anche i Leprous. Il legame tra l’Italia e la band norvegese si conferma ben saldo: si tratta infatti del loro terzo passaggio nella Penisola in poco più di un anno, tutti compiuti dopo la pubblicazione dell’ultimo album “Aphelion”, scritto e uscito durante la pandemia. In questa occasione, ad accompagnarli in un lunghissimo tour europeo di 40 date, troviamo due band che estremizzano le due anime dei Leprous: i Kalandra e i Monuments.

La platea del Fabrique è già quasi completamente piena – anche se in versione ridotta –, quando, dopo una lunga introduzione strumentale, i Kalandra fanno il loro ingresso sul palco. La band norvegese presenta quasi interamente brani dall’ultimo album “The Line”, pubblicato nel 2020, deliziando il pubblico con un sound fortemente melodico, nel quale influenze folk e pop si intersecano a ritmi ed elementi provenienti dalla cultura nordica. Nella mezz’ora a loro disposizione la band riesce a presentare bene la propria idea di musica, che si regge maggiormente sulla meravigliosa voce di Katrine Stenbekk. Era la prima volta per loro in Italia, difficile pensare che sarà l’ultima.

Setlist

Borders
Slow Motion
Naive
Virkelighetens Etterklang
Goat horn jam
Ensom
Brave New World

Passano solo 10 minuti prima che i Monuments salgano sul palco con l’artiglieria pesante. In quasi totale opposizione ai Kalandra – oltre ad aver visitato l’Italia già diverse volte –, la band inglese spara sulla folla senza pietà il proprio djent, fatto di riff ruvidi, distorsioni e scream lancinanti. I Monuments si confermano in gran forma e tengono il palco a meraviglia: dopo l’apertura con il devastante inno “I, The Creator”, i quattro propongono prevalentemente pezzi dall’ultimo album “In Stasis”, che dal vivo regge a meraviglia il confronto. Non mancano neanche un paio di tracce dagli album precedenti, prima che i Monuments invitino sul palco Raphael Weinroth-Browne e il suo violoncello su “The Cimmerian”, pezzo che chiude lo show. Gli inglesi lasciano il palco dopo 40 minuti lasciandosi dietro un’atmosfera rovente.

Setlist

I, the Creator
Opiate
Leviathan
Empty Vessels Make the Most Noise
Cardinal Red
False Providence
Lavos
The Cimmerian

Sono le 21 in punto quando le luci si spengono nuovamente e i Leprous salgono sul palco, inaugurando la serata con la lenta “Have You Ever?”: da subito possiamo goderci la metamorfosi musicale di una band che, pur cambiando più volte genere, è rimasta sempre fedele a se stessa. Effettivamente, per ovvi motivi, gran parte dello show è dedicata ai capitoli discografici più recenti e oltre a ciò, la selezione dei pezzi pende più verso il lato soft dell’ampio spettro di suoni che i Leprous maneggiano con maestria. Se questo ci lascia piacevolmente sorpresi e in grado di ammirare una band che riesce a far proprie sfumature musicali sempre più ampie e diversificate, non mancano ovviamente pezzi più marcatamente prog metal, come le favolose “The Price”, “From The Flame” e “Slave”, che mostrano come la band non abbia minimamente perso lo smalto neanche sulle sonorità più dure.

I sei sono praticamente inattaccabili e offrono uno show in egual modo chirurgico e toccante, anche grazie ai giochi di luce, che tingono il palco prevalentemente di rosso e blu. I picchi di emozionalità maggiori vengono raggiunti probabilmente con la magnifica performance di “Castaway Angels”, dedicata da Einar Solberg al popolo ucraino, costretto a subire l’invasione del proprio Paese ormai da oltre un anno. Ampio spazio viene anche dato a “Pitfalls” e per quanto più di una persona avesse storto il naso tre anni fa, rimane davvero difficile restare indifferenti davanti agli acuti di “Alleviate” o al muro sonoro ed emozionale di “Below”. Ma oltre a suonare tanto e bene, la band scherza anche con il pubblico e concede la scelta di un pezzo tra quattro disponibili: la maggioranza si schiera dalla parte di “The Cloak”, ignorando pezzi come “Mirage” e “Distant Bells” e lo stesso Solberg si dice sorpreso dalla scelta – che ci vuoi fare Einar, è la democrazia…

Dopo oltre 90 minuti di esibizione, i Leprous lasciano il palco e ci saranno anche poche certezze nella vita, ma tutti i presenti sanno benissimo che un concerto dei norvegesi non può svolgersi se Baard Kolstand indossa una maglietta – che infatti sparisce magicamente dopo una manciata di pezzi – e se non viene concluso da “The Sky Is Red”. Passano pochi minuti e i sei tornano sul palco per salutare il pubblico con una performance viscerale di quella che è probabilmente la loro canzone migliore, dai riff chirurgici e affilati, al climax finale.

Semplicemente impossibile trovare qualcosa da dire a una band del genere: suonano buona musica, sperimentano, sono spesso in tour e offrono performance fenomenali. Dopo aver fatto il pieno di concerti nell’ultimo anno a questo punto aspettiamo con ansia il prossimo capitolo discografico.

Setlist

Have You Ever?
The Price
Observe the Train
On Hold
Castaway Angels
From the Flame
Alleviate
The Cloak
Out of Here
Slave
Acquired Taste
Below
Nighttime Disguise
The Sky Is Red

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