MONKEY3 Welcome To The Machine 2024 recensione
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Monkey3 – Welcome to the Machine

In un mondo frenetico dove tutto è ridotto al rapido consumo, un album con pezzi strumentali da dieci minuti aiuta gli amanti della musica a resistere con tutte le forze. Un disco tutto da ascoltare e gli svizzeri Monkey3 sembrano volerci dimostrare che talvolta la musica, se ben fatta, può parlare al cuore e aprire la mente anche senza l’ausilio di parti cantate. Questo “Welcome to the Machine” si presenta come un album strumentale variegato, veloce, elaborato e molto più space rock rispetto al suo predecessore “Sphere”, che presentava caratteristiche più doom e stoner, o ancora meglio come un lavoro sludge a tinte psych. Ma etichette e termini non ci devono interessare più di tanto, l’importante è la qualità, che in questo caso abbonda.

Avviciniamoci ora a questa cubica stazione spaziale, oppure è un’entità cibernetica che ci guarda con occhi spalancati e con la bocca aperta pronta a risucchiarci dentro un’altra realtà? L’inizio di “Ignition” ci prepara al decollo per il viaggio cosmico, poi la batteria inizia a pestare duro con raffiche di rullate durante i primi sviluppi strumentali del brano. Solo successivamente arriva un po’ di calma che ci permette di fluttuare dolcemente in orbita. Ci sentiamo ancora pieni di domande tra astri lucenti e buchi neri verso il trionfante finale da Pink Floyd più muscolari, per poi tornare al tema agitato iniziale. “Collision” nelle sue prime battute spiazzanti sembra musica elettronica, ambient da nightclub extraterrestre pieno di androidi, con un cupo giro di basso che fa da preludio a un riff aggressivo dove la chitarra solista si scatena ricordando alcune sfuriate di Steve Vai dei tempi d’oro di “Passion and Warfare”. Pezzo capolavoro, un trip orgasmico.

“Kali Yuga” con il suo arpeggio malinconico cresce tra atmosfere alla Blade Runner fino a farci avvolgere da una struggente galassia sonora dove i lamenti lancinanti della chitarra vanno e vengono come interstellari comete che si perdono nell’infinito. “Rackman” suscita sensazioni di fierezza per poi diventare guardinga e trascinarci in realtà più oscure e misteriose, dove lo stile di chitarra ricorda un po’ Iommi, un po’ Gilmour e un po’ Vinnie Moore degli albori. In “Collapse” i suoni degli strumenti piombano su di noi da tutte le direzioni come una pioggia di meteoriti. Una prova maiuscola della band con un chitarrista eccellente per tecnica e comunicatività nella scelta delle note, la sezione ritmica così groovy con sopra l’agile tastiera ci farà pensare a una rivisitazione moderna di alcune parti di “Echoes” dei Pink Floyd, e in alcuni altri frangenti anche di “One of these Days”, ma sono tributi fatti ad arte.

“Welcome to the Machine” è un album probabilmente costruito su lisergiche jam, ma con i punti clou perfezionati a tavolino nella scelta degli intervalli giusti per suscitare in noi le emozioni volute dagli autori. Un’opera da ascoltare tutta d’un fiato tra le sue accelerazioni e i suoi momenti più psichedelici. Buon viaggio spaziale a tutti, sperando di riuscire a sfuggire alle macchine e soprattutto alla machine da cui sembra impossibile sottrarsi, confidando in altre civiltà, non soggette a certe sovrastrutture, disposte a ospitarci.

Tracklist

01. Ignition
02. Collision
03. Kali Yuga
04. Rackman
05. Collapse

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