Ministry HOPIUMFORTHEMASSES recensione
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Ministry – HOPIUMFORTHEMASSES

Acido, abrasivo, sboccato, senza compromessi, immune ad ogni tipo di censura: Al Jourgensen è tutto questo e molto altro, ed i Ministry sono da sempre il suo megafono per diffondere, sotto forma di musica, i suoi attacchi alla società moderna. Tutto si può dire del polistrumentista cubano, tranne che tacciarlo di incoerenza: nel corso dei suoi 40 e più anni di onorata carriera, non c’è un luogo comune, una bruttura o un falso idolo contro cui Al e soci non si siano scagliati.

E se un’intera discografia è orientata in tal senso, potrebbe mai HOPIUMFORTHEMASSES contraddire quanto finora prodotto dalla band di Chicago? Ovviamente no perché, a quanto pare, c’è ancora tanto da distruggere.

Veniamo accolti da “B.D.E.” che, non a caso, è uno dei brani estratti per la promozione del disco. Al suo interno troviamo tutti gli elementi fondamentali dello stile dei Ministry: distorsione satura, riff pesanti, voci campionate, un tappeto di synth su cui si innesta, con i suoi latrati rauchi ed effettati, la voce di Jourgensen . Ci troviamo davanti ad un industrial metal rumoroso e caciarone, di quello che coinvolge l’ascoltatore con i suoi riff cadenzati, senza però disdegnare qualche momento di maggiore assalto sonoro. Aggiungete un ritornello che si stampa nella mente dell’ascoltatore ed avrete ottenuto il singolo perfetto.

Ma cosa sarebbe un album dei Ministry senza qualche bersaglio da aggredire? Se il pezzo precedente prende di mira e dileggia gli incel e la teoria redpill, il successivo “Goddamn White Trash” mette alla berlina complottisti ed estremisti. Il pezzo prosegue nel solco già tracciato dalla prima traccia, aumentando però il numero dei bpm. Basi ossessive, ripetitive e martellanti, capaci di rafforzare i riff distorti delle chitarre e la voce del frontman che, in questo caso, più che essere un cantante nel vero senso del termine, svolge quasi un ruolo di vocalist, come se fosse un predicatore folle di un culto dimenticato, con un solo scopo in mente: distruggere ogni certezza dell’uomo moderno.

In “Just Stop Oil”, Jourgensen indossa i panni di un crooner e, stavolta, il tema è il surriscaldamento climatico: le voci campionate dipingono la più grande catastrofe che il genere umano è chiamato ad affrontare, nell’indifferenza più totale dei governi mondiali. I riff compressi e decadenti delle chitarre non lasciano alcuna speranza nell’ascoltatore, che viene trasportato al centro di un’apocalisse sonora, un oscuro presagio di ciò che saremo chiamati ad affrontare di qui a qualche anno. Il pezzo ha dei riff che rimandano vagamente al surf rock, ma completamente spogliato della spensieratezza e dell’allegria che da sempre contraddistingue il genere.

Fino a questo punto dell’ascolto, dal punto di vista strumentale, le strutture dei brani si presentano come piuttosto semplici e lineari, venendo rese più aggressive e vorticose dalla presenza delle già menzionate basi che, siamo sicuri, garantiranno un impatto ancora maggiore in sede live.

I bpm calano e “Aryan Embarassment” sfoggia dei riff pachidermici (che non faticheremmo a definire doom) con le solite tonnellate di effetti e campionamenti a fare da contorno. Il brano è la classica mid-tempo che non fa prigionieri, con ritmiche schiacciasassi ed un wah wah impazzito a celebrare l’imminente fine della democrazia per come la conosciamo, annunciata da voci ed urla tanto ossessive quanto deliranti.

Sia “TV Song” che “New Religion” presentano un approccio decisamente più aggressivo. Nel primo caso, si parte con il piede a tavoletta sull’acceleratore, ottenendo una cavalcata tanto veloce quanto allucinata e straniante, con qualche influenza hardcore. La seconda canzone presenta un incipit molto più thrash metal rispetto ai pezzi precedenti, con un riff di chitarra roccioso attorniato dalle già menzionate tonnellate di rumori campionati; in tutto questo questo caos sonoro, Al Jourgensen aggiunge una vocalità dal tocco quasi liturgico. Il pezzo continua su binari rigorosamente thrash, ma sempre in pieno stile Ministry.

Arriviamo all’episodio più calmo e rilassato (tra mille virgolette) del disco, in cui una chitarra acustica effettata accompagna la voce di Jourgensen, la cui eco risuona cupa e ferale in ogni anfratto dell’animo umano. Tuttavia, poco prima della metà del pezzo, “It’s Not Pretty” si distorce ed accelera i battiti del metronomo, svelando la sua vera essenza, con le solite voci campionate che straniano chi è dall’altra parte dello speaker.

Lo zio Al, si sa, è sempre in vena di sorprese e, in questo caso, ce le riserva proprio alla fine della sua ennesima fatica in studio. “Cult of Suffering” ci accoglie con un riff scanzonato, presentandosi come un pezzo che, almeno all’apparenza, sembra molto più arioso rispetto a tutti quelli che l’hanno preceduto. L’incedere del brano ha un che di funkeggiante, con Jourgensen che, stavolta, si concentra molto più sul groove e la melodia, stupendoci non poco e creando un’evidente dissonanza con la tematica trattata dalla canzone. “Ricky’s Hand” è l’episodio finale dell’album che, con una base quasi techno/dance, rappresenta senza dubbio il pezzo più strano del lotto, volutamente orecchiabile e commerciale. Potrebbe forse parzialmente stonare con quanto ascoltato in precedenza, ma il brano si lascia ascoltare e, alla fine, conquista.

Dopo svariati ascolti, non possiamo che prendere atto che HOPIUMFORTHEMASSES è l’ennesimo colpo andato a segno scoccato dalla band americana. Un disco di chiara impronta industrial metal che, però, riserva non poche sorprese a chi vorrà ascoltarlo, sfoggiando un’invidiabile varietà, ma sempre contrassegnata dall’inconfondibile stile dei Ministry. L’album ha una produzione massiccia, come il genere richiede, ma mai troppo invadente, così da garantire la diversità di approccio di cui abbiamo parlato in precedenza.

Incel, complottisti, negazionisti del cambiamento climatico, estrema destra: Al Jourgensen ne ha per tutti e, a questo punto, non possiamo nascondere la nostra curiosità su quali saranno i prossimi bersagli da abbattere. Perché se la società in cui ci troviamo merita di essere distrutta, non potremmo immaginare una persona più adatta di Al alla guida della macchina demolitrice.

Tracklist

01. B.D.E.
02. Goddamn White Trash
03. Just Stop Oil
04. Aryan Embarassment
05. TV Song
06. New Religion
07. It’s Not Pretty
08. Cult of Suffering
09. Ricky’s Hand

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