“The medium is the message”, diceva McLuhan, e con il punk puoi essere (essere, non solo dire) ciò che vuoi, dicono le Pussy Riot. L’efficacia di un messaggio non può prescindere dal mezzo con cui viene comunicato, e se guardiamo il palco di questo Arcimboldi questa sera, questo concetto è più chiaro che mai.

Il collettivo punk femminista Pussy Riot nasce nel 2011 a Mosca, sulla scia di un movimento di artivisti, che proprio – appunto – con l’arte esprimevano il dissenso nei confronti del governo Putin, così di come tanti altri aspetti della società russa – i.e. la religione ortodossa.

Celebri per la “Punk Prayer” suonata per 40 secondi nella chiesa del Cristo Salvatore di Mosca nel febbraio 2012, le Pussy Riot hanno messo insieme negli anni, e tra un arresto e l’altro, una serie di esibizioni nei luoghi chiave e più rappresentativi del potere e della cultura russa. La forza di questi atti di protesta ha raggiunto in pochissimo tempo e grazie ai social l’Occidente, facendo diventare le Pussy Riot uno dei simboli dell’anti-putinismo.

Dalle chitarre punk distortissime e registrate nel bagno di casa di Nadya Tolokonnikova, fondatrice, se guardiamo alla produzione artistica, le Pussy Riot hanno avuto un’evoluzione sonora tale da arrivare a quello che sentiamo nell’ultimo album pubblicato proprio poche settimane fa dal collettivo, “Matriarchy Now”, nella cupezza dei suoi beat elettronici.

Ma se stasera vi aspettate di assistere a un concerto, vi sbagliate di grosso. Lo spettacolo portato sul palco del teatro milanese è una performance interartistica, che unisce teatro, danza, musica, e anche letteratura, se contiamo che il tutto è basato sul libro di una delle fondatrici, Masha Alekhina, “Riot Days”, stasera sul palco. Ogni momento dello show corrisponde a uno dei capitoli del libro, che racconta la storia di Masha nelle Pussy Riot. E così, immersi nei video proiettati sullo sfondo, siamo nel Cristo Salvatore, poi in Piazza Rossa, a processo, nel campo di prigionia degli Urali e infine in quello di Nizhnyi Novgorod.

Sommersi da suoni e in un turbinio di immagini, lo spettacolo termina con un encore totalmente dedicato all’Ucraina, uno striscione con scritto in russo “Milano contro la guerra” e un messaggio: tutti possono e devono fare la propria parte nella lotta per la libertà, e tutti possono essere le Pussy Riot.

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