Ryujin
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Ryujin – Ryujin

È trascorso circa un anno da quando il trio metal di Hokkaido, precedentemente noto col nome di Gyze, ha iniziato a presentarsi con il moniker Ryujin (il dio-drago dell’acqua giapponese), accompagnato da un contratto discografico con una delle più importanti label del panorama metal, la Napalm Records. E come se ciò non bastasse, è nientemeno che lo stimato collega Matthew Kiichi Heafy ad aver preso il gruppo sotto la sua ala, rivestendo un ruolo a tutto tondo di manager e produttore oltre che nel featuring per questo nuovo debutto discografico omonimo.

In questi dieci ed oltre anni di attività la band nipponica ha ripetutamente cercato di mostrare, sia in fase di registrazione che nei numerosi live, una propria identità, compito non facile quando si tratta di distinguersi dal calderone indifferenziato in cui – con giudizio spesso affrettato e superficiale in senso svalutativo – le formazioni musicali asiatiche vengono spesso relegate dagli ascoltatori occidentali. Oltre che “Samurai Metal band”, “Northern Nostalgic Metal band” è l’appellativo con cui amano definirsi maggiormente: in effetti sono molte le cose che accomunano il Nord sia europeo sia della prefettura da cui provengono, tra cui la creazione di atmosfere nostalgiche e panorami fiabeschi avvolti nella nebbia. A dimostrazione dell’essere solidamente ancorati alla tradizione musicale delle loro origini, il gruppo non fa mistero nell’utilizzo di particolari cordofoni come lo shamisen e l’erhu, percussioni come il taiko, e flauti del tipo ryūteki che caratterizzano più l’aspetto folk e sinfonico della composizione metal, mentre la parte più heavy e death è naturalmente di pertinenza degli strumenti più moderni. E se l’aspetto in sé più conservativo è quello dell’uso della lingua giapponese nei loro testi – comprensibile solo a nativi e studiosi appassionati – questo è comunque modesto, e si apre alla comprensione internazionale grazie all’alternanza con quella inglese.

Il disco si apre con la strumentale “Hajimari” (letteralmente “Inizio”), in cui viene preparato il campo di battaglia su cui può scendere la successiva “Geokokujo”, in cui il trio compatto allegoricamente compie un’ “insubordinazione” rovesciando lo stato di quiete e sparando cartucce di thrash metal da perdere la testa, in cui ci si ferma a tratti dall’headbanging solo per muovere il resto del corpo in passaggi folk piuttosto danzerecci. In “Dragon, Fly Free” è la leggerezza del flauto a farla da padrone ma ciò non va a mitigare il vigore, soprattutto nei ritornelli molto alla Trivium, della grande performance vocale di Ryoji Shinomoto, che si interseca ed integra senza mai cozzare con la tecnica e precisione del fratello Shuji alla batteria e di Aruta Watanabe al basso.

“Rajin & Fujin” è il primo brano a vedere il contributo di Matt Heafy, che coadiuva nella realizzazione di una cavalcata power che si trasforma in uno scontro tra titanici assoli. Si dice che dopo la pioggia venga sempre il sereno, ed è in questo contesto che ben si inserisce “Rainbow Song”, in cui possiamo ben apprezzare il clean nel cantato di Heafy su uno sfondo corale di heavy e power metal intriso di epicità. La partecipazione del violoncellista della Kansai Philharmonic Orchestra Mukai Wataru impreziosisce la successiva “Kunnecup”, costruendo un lungo bridge di colpi d’arco in un contesto heavy incisivo e memorabile. L’accoppiata “Scream of the Dragon” e “Gekirin” fanno da monito sia testualmente che musicalmente a non evocare la rabbia della divinità, la quale ha egual potere nel proteggere e distruggere ciò che lo circonda a seconda delle circostanze.

Verso la parte finale dell’album possiamo apprezzare le lyrics interamente in giapponese: potrebbe essere riassunta con l’espressione mono no aware (“la bellezza dell’impermanenza” in parole molto povere) la rock ballad “Saigo No Hoshi”, che al termine dell’ascolto lascia proprio quell’intraducibile sensazione dolceamara (e che viene replicata in chiusura dalla versione in inglese coadiuvata dal boss Heafy ma senza raggiungere lo stesso livello di grandiosità). 
La title track non può essere più rappresentativa dell’essenza stessa Ryujin e del loro fare musica, sia per l’espressione massima di fusione tra antico e moderno in linea con l’identità del Paese del Sol Levante, sia per la lunghezza della traccia in cui il trio giapponese può sfoderare la propria bravura. 
Infine, ci viene presentata una cover del successo dei Linked Horizon, “Guren no Yumiya”, che risulta un bell’omaggio al mondo degli anime/manga ed in particolare a “L’ Attacco dei Giganti”, un seppur contemporaneo aspetto culturale fondamentale che fa felice quella fetta di otaku appassionati anche di musica.

Un’ottima ripartenza senza intoppi per i vecchi Gyze, che si rinnovano con un suono più ridefinito e rifinito, ma non per questo alleggerito o edulcorato. Complessivamente un disco ben orchestrato, mai noioso o banale, dove niente è lasciato al caso e facilmente apprezzabile anche da un pubblico trasversale nei gusti musicali. Se volete un’esperienza sonora che vi trasporti con la mente verso terre lontane, basta salire a bordo del dio-dragone: il coinvolgimento è assicurato.

Tracklist

01. Hajimari
02. Gekokujo
03. Dragon, Fly Free
04. Raijin & Fujin (Feat. Matthew K. Heafy)
05. The Rainbow Song (Feat. Matthew K. Heafy)
06. Kunnecup (Feat. Mukai Wataru)
07. Scream of the Dragon
08. Gekirin
09. Saigo No Hoshi
10. Ryujin
11. Guren No Yumiya (Feat. Matthew K. Heafy)
12. Saigo No Hoshi (Feat. Matthew K. Heafy)

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