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La vita, si sa, è fatta di occasioni fugaci, di treni che passano una volta sola e che, se persi, si trasformano in rimpianti cocenti. Quando si parla di musica dal vivo, poi, il rimpianto è realmente dietro l’angolo e quel “li vedrò la prossima volta” può improvvisamente diventare un “me li sono persi per sempre“. Un concerto dei The Darkness è sempre un evento capace di solleticare il palato di ogni amante del rock a tinte più glam, ma un tour celebrativo del ventennale di “Permission To Land”, il disco d’esordio dei fratelli Hawkins, è proprio uno di quei momenti che raramente si ripresenteranno in futuro. Sulla base di quanto finora scritto, un appuntamento del genere non poteva assolutamente essere mancato.

Raggiungiamo l’Orion di Ciampino giusto in tempo per l’esibizione dei Sin+. La band svizzera, capitanata dai fratelli Ivan e Gabriel Broggini, propone un alternative rock dalle forti venature pop, caratterizzato da chitarre morbide e da una vocalità calda e suadente, come testimoniato dal loro ultimo singolo “Don’t Come Any Closer”. Nonostante delle melodie catchy, dei buoni ritornelli ed una discreta presenza scenica, l’attenzione è tutta per l’headliner ed il pubblico lo dimostra iniziando a rumoreggiare sin dai primi minuti del cambio palco.

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Intorno alle 21.10, i The Darkness si presentano sulle note di “Black Schuck”, pezzo di apertura del disco più famoso della band che, ovviamente, sarà il protagonista indiscusso della serata. Inutile dire che un altro protagonista (e mattatore) della serata sarà Justin Hawkins: il frontman si presenta con un appariscente completo giallo e, sin dalle prime note, dimostra di essere in forma smagliante, sia dal punto di vista fisico che vocale. Il tempo di snocciolare “Get Your Hands Off My Woman” e “Growing On Me” che già arriva uno dei primi siparietti: viene chiamato sul palco un giovanissimo fan che, per qualche istante, vivrà un indimenticabile momento di gloria, osannato da un Orion oramai pieno a tappo.

Dopo la breve (ma sentitissima) richiesta del frontman di lasciare da parte i telefoni cellulari, il concerto degli inglesi entra nel vivo: “The Best of Me”, “Makin’ Out” e “Givin’ Up” sono il giusto preludio a “Love Is Only a Feeling”, che viene cantata a squarciagola da praticamente ognuno dei presenti. Come detto in precedenza, i britannici si rivelano tanto compatti quanto quadrati, con Justin Hawkins che non lesina un’oncia di energia, sfoggiando tanto il suo chitarrismo esuberante quanto quei falsetti che rendono inconfondibile la sua voce. Unite quanto ora detto a degli ottimi suoni (cosa non scontata quando si parla di un locale che, a tutti gli effetti, è una discoteca) ed otterrete una resa complessiva ai limiti della perfezione.

Perché diciamo “ai limiti della perfezione”? Perché se i classici non mancano di certo, se la band è in forma smagliante, se il frontman non sbaglia praticamente nulla, non si può non ravvisare qualche spigolo da smussare. Nel corso dello show, ad esempio, ci saranno diversi momenti in cui Justin avvincerà il pubblico con dei fraseggi di chitarra o con dei veri e propri monologhi; non ci sarebbe niente di male in questo, se non nel fatto che quanto ora descritto andrà ad incidere non poco sulla durata complessiva del concerto, limitando la scaletta a poco più di un’ora. Forse sarebbe stato meglio limitare queste “scorribande” e piazzare qualche pezzo in più, come ad esempio “Christmas Time”, grande assente della serata.

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Inoltre, tra la fine di un pezzo e l’inizio del successivo fanno capolino quei “boati di silenzio” che sono il vero nemico di ogni concerto rock, segno che qualcosina, a livello di presenza scenica, deve ancora essere messo a punto.

Tuttavia, al di là di queste considerazioni, il concerto fila liscio come l’olio, proponendo pezzi del calibro di “Stuck In A Rut”, “How Dare You Call This Love?”, la cover di “Street Spirit” dei Radiohead, “Friday Night” ed “I Believe in a Thing Called Love”, che fa calare momentaneamente il sipario, in attesa dei consueti encore; i bis rispondono al nome di “I Love You 5 Times” e “Love on the Rocks With No Ice”, che chiudono definitivamente la serata.

Al netto delle sbavature sottolineate in precedenza, non possiamo che prendere atto della performance di primissimo livello che Justin e soci hanno sfoderato, per una platea gremita che aspettava solo loro. Probabilmente qualcosa può essere ancora migliorato ma, anche a 20 anni di distanza dalla sua release, l’energia di “Permission To Land” sembra essere rimasta intatta, ed i The Darkness sembrano essere tornati ai fasti dei loro anni d’oro. Aspettiamo di rivederli nuovamente all’opera in un set con un po’ più di “ciccia”, ma queste 20 candeline spente sono state celebrate in una maniera che sarà difficile da dimenticare.

Setlist

Black Shuck
Get Your Hands Off My Woman
Growing on Me
The Best of Me
Makin’ Out
Givin’ Up
Love Is Only a Feeling
Curse of the Tollund Man
Stuck in a Rut
How Dare You Call This Love?
Street Spirit (Fade Out) (Radiohead cover)
Holding My Own
Friday Night
I Believe in a Thing Called Love
I Love You 5 Times
Love on the Rocks With No Ice

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