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L’edizione 2023 del Rock In Roma si è rivelata un gran guazzabuglio di artisti e generi molto diversi tra loro, quasi a contraddire, con contezza della situazione, il nome stesso della rassegna, probabilmente nel tentativo di intercettare il maggior numero possibile di spettatori, soprattutto adolescenti e giovanissimi. Il ventiduesimo appuntamento di quest’estate rivolgeva grande attenzione agli amanti del metal, specialmente di quello inciso nei bassorilievi del passato, che, pur suonando piuttosto agée, per qualità – e facendo leva sul sentimento della nostalgia – continua a raccogliere proseliti ovunque nel mondo, Italia compresa. Una nazione, la nostra, che non sempre, o comunque di rado rispetto al resto d’Europa e del mondo, ha visto in azione sul proprio suolo gruppi esteri capaci di scrivere la storia del metallo. Tanto che, nell’attesa di una loro calata oltre le Alpi, a molti degli appassionati riunitisi la sera del 21 luglio all’interno dell’Ippodromo delle Capannelle sono cresciuti adipe e barbe bianche. A ogni modo, a confermare il criterio musicalmente opinabile della kermesse, anche in tale occasione il bill proposto spicca per curiosa disomogeneità, dai Lunarsea agli Hideous Divinity, dalla combo Novembre/Candlemass, la sola davvero affine, ai mitologici Carcass. Niente da dire, invece, sull’impegno profuso dalle formazioni coinvolte, nonostante qualche problematica tecnica di troppo e un luogo dell’evento – dalla capienza ridotta – brulicante soltanto in coincidenza degli show dei due headliner.

LUNARSEA

Lunarsea Rock In Roma Spaziorock 21 07 2023 Photo by Daniele Di Egidio 0005

I cancelli si spalancano con una quarantina di minuti di ritardo, mettendo a dura prova la resistenza fisica del pubblico accorso al concerto, considerata l’afa terribile che ormai da giorni attanaglia, malevola e infingarda, la Città Eterna. Fortunatamente, nel corso della serata, si solleverà una piacevole brezza, allietando sia gli spettatori assisi sui gradoni sia gli audaci sguazzanti nel polveroso prato nei pressi del palco. Ad aprire le danze pensano i capitolini Lunarsea, band formatasi nel lontano 2003 e con il chitarrista Fabiano Romagnoli unico superstite della formazione originale: il loro è un melodic death di scuola finlandese, dalle elaborate articolazioni progressive e pregno di testi di impronta sci-fi, caratteristica, quest’ultima, ben manifesta dall’artwork dell’ultimo album in studio “Earthling/Terrestre”, che campeggia sullo sfondo della scena. Proprio dalla tracklist del disco del 2019 vengono estrapolati quattro brani su sei (“The Earthling”, “In Expectance”, “Mi Suthina”, “Polar Covalent Bond”), mentre i due residui, “Magnitude 9.6” e “Five-Sided Platform Shape”, appartengono alla tracklist di “Route Code Selector” (2008). L’eleganza e la raffinatezza delle partiture non si sposano appieno a un contesto che, a parte l’ancor scarsa affluenza, ha comunque una natura festivaliera, concentrata sui grossi nomi o a sonorità da contatto fisico. Malgrado il missaggio aberrante, problema risoltosi soltanto con i Candlemass, la prestazione del quintetto risulta davvero ottima, per un aperitivo degno di questo torrido venerdì musicale romano.

HIDEOUS DIVINITY

I secondi a salire sul palco sono i padroni di casa Hideous Divinity che, per certi versi, rappresentano la reale attrazione dell’evento, nel senso di un gruppo ancora relativamente giovane, apprezzato dal mondo estremo al di fuori della Penisola e forte di un contratto con la Century Media Records, che la dice lunga sul valore internazionale della musica proposta. Certezza testimoniate dagli ultimi due full-length, “Adveniens” (2017) e “Simulacrum” (2019), e dall’EP “LV-426” (2021), lavori da cui scaturiscono i pezzi della scaletta (“Acheron Stream Of Woe”, Anamorphia Atto III”, “The Deaden Room”, “Ages Die”), a eccezione dal micidiale singolo stand alone “Mysterium Tremendum”, carne, ossa e sangue che si abbattono su una torma frenetica e in vertiginoso crescendo. Un delirio assecondato anche dal frontman Enrico “Hater” Di Lorenzo, che, a metà del purtroppo breve set e senza smettere di dar fiato al proprio growling disumano, scende tra la folla per partecipare a un mosh selvaggio come non mai, infischiandosene di qualche ammaccatura subita qui e là. Il technical/brutal death inframmezzato da apocalittiche scanalature black tipico del gruppo fende la calura e i respiri affannosi, sibilando gelido, spesso, fantascientifico.

NOVEMBRE

Rispettando bene o male i tempi annunciati, tocca ai Novembre del polistrumentista e cantante catanese Carmelo Orlando calcare il tavolato, una formazione poco attiva negli ultimi vent’anni, ma, che nel periodo più fulgido della carriera, si distingueva dalla massa per un taglio stilistico gothic metal dalle sfaccettature sempre mutevoli e originali, in bilico tra progressive e death-doom. In quest’occasione, la band sciorina quasi per intero il miglior lavoro della propria discografia, ovvero “Classica” (2000), con qualche pezzo d’antan e una cover dai maestri Paradise Lost, “Rapture”, a impreziosire l’esibizione. Interessante notare come i vecchi pezzi del gruppo, viste anche le reazioni del pubblico nei previi concerti, rimangano quelli davvero coinvolgenti, aspetto che, se da un lato ne certifica la nobiltà atemporale, dall’altro testimonia una vivacità compositiva odierna non ai massimi livelli. L’intreccio dinamico di cieca rabbia e suadente tristezza che caratterizza “Nostalgiaplatz”, “My Starving Bambina”, “Love Story”, “Onirica East”, avrebbe raggiunto picchi emotivi ben diversi in una location più raccolta e selezionata, ma i cinque sul palco non sbagliano quasi nulla, regalando a coloro che li venerano una performance di assoluto valore. E con annesso fazzoletto filo-ucraino penzolante dalla tasca del frontman.

CANDLEMASS

Quando in un concerto viene proposto il grosso di “Nightfall” (1987) e un pugno di brani da “Epicus Doomicus Metallicus” (1986), oltre a una “Mirror Mirror” in via diretta da “Ancient Dreams” (1988), appare lapalissiano che l’asticella qualitativa inizi ad alzarsi decisamente, coprendo di magia i cinquanta minuti della performance dei Candlemass, persino a dispetto delle assenze di Leif Edling e Mats Björkman. Malgrado le significative defezioni, gli svedesi costituiscono una macchina epic doom interattiva e perfettamente oliata, con il singer di ritorno Johan Längqvist capace di catalizzare gli sguardi della folla grazie a una presenza scenica di forte magnetismo e a una voce che, nonostante a livello di estensione perda il confronto al cospetto di Messiah Marcolin (e Robert Lowe), conserva, comunque, una propria caratteristica espressività, anche merito, forse, delle sue sporadiche apparizioni on stage durante gli anni. Sono le canzoni, poi, a mettere tutti d’accordo, che si tratti della monumentale “Bewitched” o di un inno da pelle d’oca come “Solitude”, cantato all’unisono da un pubblico in estasi mistica, passando per le varie “At The Gallows End”, “Samarithan”, “Crystal Ball”, per un set ossianico, ma dal ritmo spesso sostenuto, foriero di emozioni nostalgiche e provvisto di una resa sonora finalmente soddisfacente. Certo, dopo aver udito tanta storia, paragonarla alle ultime prove in studio degli scandinavi potrebbe farci sussurrare, tra il sarcastico e l’oggettivo, “Please Let Me Die In Solitude”.

CARCASS

Quando i Carcass prendono possesso del palco, la musica prende tutt’altra direzione, catapultandoci all’interno di un universo politico/patologico ancora oggi in evoluzione, ma mai domo in termini di aggressività e chirurgica violenza. Della formazione originale sono rimasti soltanto l’axeman Bill Steer, che saltella ancora come un ragazzino, e il bassista e cantante Jeff Walker, dedito, durante la serata, a lanciare plettri e distribuire bottigliette d’acqua alla folla, benché non gradisca l’impeto di questa sulle barriere, provocando qualche ovvio mormorio di disapprovazione. Gli inglesi si rendono protagonisti di una prova robusta e tecnicamente ineccepibile, forse la migliore del venerdì sotto ogni punto di vista, mietendo vittime felici della propria sorte anche quando vengono snocciolati, accanto a classici quali “Buried Dreams” e “Death Certificate”, pezzi tratti dall’ultimo, e non straordinario lavoro “Torn Arteries” (2021) o dal discutibile “Swansong” (1996), che, dal vivo, si trasformano in procelle di furia inaudita (“Kelly’s Meat Emporium”, “Incarnated Solvent Abuse”, “Tomorrow Belongs To Nobody”, “Black Star”). Deplorevole la pausa di venti minuti per un blackout elettrico, al quale la band reagisce con ironia e grande professionalità, riprendendo a tavoletta con “Pyosisified (“Rotten To Gore”), e inanellando nella seconda parte una manciata di piste da sbudellare e sbudellarsi gli intestini (“Corporal Jigsore Quandary”, “Raptured In Purulence”, “Heartwork”, “Exhume To Consume”). Tra gore, grindcore, e molteplici tipologie di death, la Carcass TV continua a sfornare incubi e medley ad alto voltaggio: mostruosi.

L’appuntamento del Rock In Roma dedicato al metal si chiude ben oltre la mezzanotte, con l’auspicio che la prossima estate possa sì essere riproposto, ma prestando maggior cura e attenzione all’organizzazione generale, affinché non monti l’impressione del raffazzonato e dell’episodico. 2024, ti aspettiamo.

Setlist Carcass

Buried Dreams
Kelly’s Meat Emporium
Incarnated Solvent Abuse
Under The Scalpel Blade
This Mortal Coil
Tomorrow Belongs To Nobody / Death Certificate
Dance Of Ixtab (Psychopomp & Circumstance March No. 1 In B)
Black Star / Keep On Rotting In Free World
Pyosisified (Rotten To Gore)
The Scythe’s Remorseless Swing
Corporal Jigsore Quandary
Raptured In Purulence / Heartwork
Exhume To Consume
Tools Of The Trade
316L Grade Surgical Steel

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