Questi ultimi giorni sono stati scanditi da due comunicati che hanno colpito come il più classico dei fulmini a ciel sereno. Da una parte i Sepultura, dopo 40 anni di onorato servizio, hanno annunciato il tour che farà calare il sipario sulla band brasiliana; dall’altra i Destrage che, nel pieno della loro carriera, dichiarano il loro addio alle scene, con tanto di concerto finale nel 2024 per salutare con tutti i crismi quel pubblico che, per quasi 20 anni, li ha accompagnati.

Sulla base di quanto ora scritto, la data del Mannaggia Fall Tour 2023, tenutasi al Traffic Live Club di Roma, era uno di quegli appuntamenti da non mancare, soprattutto se, come special guest della serata, ci sono i Master Boot Record.

E allora, se proprio addio deve essere, che sia l’addio più grandioso che un metalhead possa desiderare!

Master Boot Record

L’ultima volta che ci eravamo imbattuti nel progetto di Victor Love (al secolo Vittorio D’Amore) era stato al Frantic Fest, imponendosi ai nostri come una delle band più stupefacenti dell’intera edizione 2023. Se non ci credete, il nostro live report è qui, per far cambiare idea ai più scettici. Tuttavia, se lo show di Francavilla era stato una sorpresa, soprattutto per chi non conosceva la band, quello di stasera è la conferma della caratura internazionale del gruppo, reduce da un tour europeo in buona parte sold out.

Su un palco illuminato dagli schermi di tre televisori a tubo catodico, il suono acido di “NWOSHM.TXT” apre le danze, sfoggiando quella gamma sonora a metà strada tra synthwave e chiptune che contraddistingue i Master Boot Record. L’intero progetto pesca a piene mani dall’immaginario grafico e sonoro dei videogame anni ’80, come il Commodore 64 ed i gameplay proiettati dei vari Castlevania, Contra, Double Dragon e Doom, possono facilmente testimoniare. Ed è proprio “DOOM”, brano ispirato al tema dello sparatutto per eccellenza, ad infiammare il pubblico, facendo salire in cattedra Edoardo Taddei, tanto in questo brano quanto nel successivo “CLS.NFO”.

La natura ibrida del progetto, a metà strada tra strumentale ed elettronico, si sposa bene con l’acustica del Traffic, riuscendo ad ottenere degli ottimi suoni, capaci di garantire una resa eccellente tanto nelle prime file quanto nei punti più lontani dal palco. La band sfoggia grande padronanza dei propri mezzi, essendo perfettamente consapevole di ogni singolo passo mosso sullo stage e, con “IRC”, consente al pubblico di tirare il fiato, ed al suo axeman di dare sfoggio del suo shredding dal gusto ottantiano, fatto di arpeggi, tapping e sweep picking, tutto ad alto tasso di bpm, come una run alla hard mode ad Hotline Miami, per intenderci.

Lo show incalza nuovamente con un pezzo ad alta velocità come “IRQ 2 CASCADE”, con le melodie a 16 bit di “IRQ 0 SYSTEM CLOCK” e con il pogo scatenato da “FTP”. La conclusione è affidata ai 20 e più minuti di “VIRUS.DOS” e dalle cavalcate di “BAYAREA.BMP”, che chiudono uno show maiuscolo, capace di avvincere e convincere un pubblico vasto e variegato, composto tanto da metallari attempati che da giovanissimi, vera merce rara ai concerti di questo genere di musica. Che dire, se non: hype a mille per il prossimo lavoro in studio dei Master Boot Record!

Piccola nota a margine: chi vi scrive ha più di 20 anni di concerti sulle spalle, ma raramente capita di imbattersi in un musicista del calibro Edoardo Taddei. Segnatevi questo nome, perché potremmo essere davanti ad uno dei migliori chitarristi di questa generazione.

Destrage

Se due mesi fa qualcuno ci avesse detto che questo sarebbe stato uno degli ultimi concerti dei Destrage, probabilmente avremmo chiamato il 118; e invece questa è la realtà che ci troviamo di fronte. Non è dato sapere che cosa abbia spinto Paolo, Mat, Ralph e Fede a questo passo, soprattutto dopo un ottimo album come “So Much, Too Much“. L’unica cosa che possiamo fare, in quanto pubblico, è goderci gli ultimi attimi di bagliore di una delle stelle più fulgide del firmamento metal italiano.

“Double Yeah” è il brano a cui è affidato l’inizio dello show e, come tutti si aspettavano, ci restituisce una band in perfetta forma fisica, in tutti i suoi componenti. Ralph Salati e Matteo di Gioia rappresentano ancora adesso una formidabile coppia d’asce, capace di incastrare alla perfezione i riff più intricati e sfoggiare assoli degni di un guitar hero, senza però lesinare un’oncia di quella presenza scenica eccentrica e “cazzona” che tanto ci piace, come l’esecuzione di “Don’t Stare at the Edge” testimonia. Federico Paulovich si conferma essere uno schiacciasassi del drumkit, riuscendo a districarsi in brani come “A Commercial Break That Lasts Forever” e “About That” con una facilità disarmante, gettando le fondamenta della sezione ritmica su cui si poggia l’intera struttura musicale della band milanese.

“Destroy Create Transform Sublimate” è forse quanto di più vicino alle influenze dei Protest The Hero, a cui i Destrage si sono spesso ispirati e che, come avvenuto anche per i pezzi precedenti, viene eseguita con precisione chirurgica, con il frontman che da sfoggio della sua vocalità, passando con disinvoltura dallo scream alle sezioni pulite e più rilassate.

Chi conosce almeno un po’ la carriera del gruppo, sa benissimo che le scalette dei loro concerti sono fatte per disorientare quanto più possibile il pubblico presente, stordendolo con l’alternarsi di sezioni incalzanti da pogo ed altre più rilassate, ma contrassegnate da melodie sghembe e stranianti. “Private Party” e “Symphony of the Ego” rispondono esattamente a questo identikit, ed i risultati sono davanti agli occhi di tutti: moshing ed headbanging forsennati, che a stento riescono a stare dietro ad un ritmo che cambia costantemente tempo.

“An Imposter”, “Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It” ed “Italian Boy” sono alcuni degli estratti dell’ultimo lavoro in studio dei Destrage, manifesto di ciò che di meglio la band ha da offrire al suo pubblico, e di cosa perderemo per sempre.

A differenza dello show dei Master Boot Record, stavolta qualcosa si inceppa al mixer, con dei suoni decisamente troppo impastati e con una prevalenza delle frequenze basse che, in buona sostanza, risucchiano una larga fetta delle sonorità del gruppo. Nonostante quanto ora detto, lo show prosegue dritto alla sua conclusione, affidata a “Where the Things Have No Colour” ed a quella “Jade’s Place” con cui moltissimi hanno fatto la conoscenza della band.

Il concerto, come abbiamo anticipato, è stato all’altezza delle aspettative, lasciandoci un amaro in bocca che proprio non vuole andarsene. Perché dobbiamo rinunciare ai Destrage? Perché questo arrivederci deve essere un addio? Come detto poche righe fa, non abbiamo risposte da darvi, ma una cosa da dire ce l’abbiamo:

Mat, Paolo, Ralph, Fede: grazie per tutto il delirio regalatoci in questi anni!

Setlist

Double Yeah
Don’t Stare at the Edge
A Commercial Break That Lasts Forever
About That
Destroy Create Transform Sublimate
Private Party
Symphony of the Ego
An Imposter
The Chosen One
Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It
Italian Boi
My Green Neighbour
Purania
Where the Things Have No Colour
Jade’s Place

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