La calda estate 2023 ci ha offerto vagonate di musica dal vivo; tuttavia, pochi eventi hanno il fascino del Frantic Fest. Il festival di Francavilla al Mare è oramai uno degli ultimi eventi indipendenti presenti sul suolo italico che, anno dopo anno, riesce a vantare un bill piuttosto vario, evitando di pescare sempre tra i soliti headliner, cercando di rinnovare la propria proposta e, soprattutto, garantendo una qualità complessiva molto al di sopra della media, mettendo lo spettatore al centro dell’evento.

Converrete che quanto finora detto rappresenti una piacevole eccezione nel panorama italico, in cui i grandi appuntamenti di certo non mancano, ma sono quasi sempre sinonimo di prezzi alti e di trattamenti tutt’altro che indimenticabili; il festival abruzzese, invece, si ispira ai grandi open air esteri, cercando di riproporne le idee e, prima di tutto, lo spirito festaiolo.

E proprio con una festa si apre l’edizione 2023, mettendo in piedi un opening party all’insegna delle cover, con i giovanissimi Slyther, gli scatenati Hobbit Motherfukerz (tribute band dei Turbonegro) e gli Heavy Artillery, band composta da membri di Primordial, Conan e Dread Sovereing, che pesca a piene mani dal repertorio di Venom, Motorhead, Danzig, Slayer, ecc. dando vita ad uno show tanto grezzo quanto coinvolgente.

L’opening party scorre via che è un piacere, dandoci la possibilità di osservare alcuni dei miglioramenti di questa nuova edizione, come la carta prepagata con cui realizzare acquisti all’interno del festival e l’area camping, resa più confortevole ed attrezzata rispetto al passato. Analizzeremo più avanti cosa ha funzionato al meglio e cosa, invece, può essere migliorato: ora è tempo di lasciare spazio alla musica!

GIORNO 1

RottingChristBand

Il nostro primo giorno si apre con i Bosco Sacro, progetto tanto interessante quanto di difficile collocazione artistica: un po’ post-rock, un po’ folk, un po’ ambient, molto avantgarde composto tanto da silenzi quanto da atmosfere tipiche della natura. Nei 40 minuti a disposizione, il gruppo riesce a farsi ascoltare in religioso silenzio, conquistando il pubblico con la musica di “Gem”, il loro ultimo lavoro in studio. Subito dopo è il turno dei Nubivagant, duo black metal fondato da Omega, nome d’arte dietro cui si cela Gionata Potenti, nome storico della musica estrema italiana a tinte più oscure. L’ex Darvaza porta in scena il materiale del full lenght “The Wheel And The Universe”, alternando brani dall’incedere più lento e cadenzato ad altri più veloci; in entrambi i casi, il risultato è decisamente affascinante, soprattutto per la volontà di Omega di non fare ricorso a growl e scream e, quindi, rendendo la sua proposta ancora più avvincente.

Con gli Slaughter Messiah ci spostiamo dal Tent Stage al Main Stage, per assistere ad una performance dalle tinte thrash/death/black molto più grezza ed alto numero di bpm. La voce di Lord Sabathan è di quelle roche che più roche non si può, prestandosi al genere come meglio non si potrebbe, e pezzi come “Descending to Black Fire”, “Black Speed Terror” e “Slaughter Messiah” sono proprio lì a testimoniarlo. Il quartetto tutto pelle e borchie riesce a tenere il palco in maniera convincente, chiudendo il suo set con “Bells of Damnation” e “Die in Fire”, una cover dei Bathory, lasciandoci i primi lividi addosso con un moshing che, inutile dirlo, crescerà di intensità con l’avanzare della serata.

Torniamo al Tent Stage e troviamo i Calligram ad attenderci. Si tratta di una band dalle tante sfumature artistiche: dal black con venature post fino all’hardcore, avvertibili nelle sfuriate presenti nei brani dei britannici. I suoni sono decisamente intensi e compatti anche se, a nostro avviso, si sarebbero sposati meglio con l’oscurità della sera che non con il sole di un caldissimo pomeriggio agostano; a dispetto di un look molto “casual”, la band sprigiona un’aggressività on stage che in pochi si sarebbero aspettati, con il frontman che si dimena e si contorce per tutta la durata del set, sfoderando uno scream che comunica aggressività e disagio al tempo stesso, coinvolgendo un pubblico che, nonostante l’afa, risponde al meglio.

Sono da poco passate le 19.30 e, quindi, i Dread Sovereign iniziano il loro show, tutto a base di distorsioni a favore di quel doom/thrash che non passa mai di moda. Ad accoglierci c’è il timbro rauco e cupo di Nemtheanga, che abbiamo apprezzato anche nell’opening party di ieri; quanto ora detto, insieme ad una chitarra distorta ed un basso saturo ai limiti del clipping, costituiscono il suono della band, capace di essere aggressiva e, al tempo stesso, ricalcare le sfumature più dark ed esoteriche dei Mercyful Fate e, ovviamente, dei Black Sabbath, di cui viene riproposto il brano omonimo. Il set, basato prevalente sull’ultimo disco “Alchemical Warfare”, fila via che è una bellezza, preparando il terreno per i due main event della giornata.

Il palco secondario si tinge di nero: è il momento degli Hierophant di calcare le assi e sfoderare il blackened death metal che li ha resi celebri. L’impatto scenico del gruppo di Ravenna è decisamente notevole, con un face painting pesante e grumoso che, unitamente alle tinte rosse che illuminano il palco, riesce a restituire la giusta atmosfera allo show. I membri della band presentano un’attitudine da blackster consumati: interazioni col pubblico ridotte all’osso, con la musica elevata a vera e propria chiave di volta dell’esperienza che, manco a dirlo, si rivela essere di primissimo livello, capace di coinvolgere un pubblico già numeroso.

Arriva il momento per il primo gruppo di richiamo del Frantic 2023: gli Harakiri for the Sky. La band austriaca propone un set decisamente vario, pescando in maniera pressoché uniforme dalla sua discografia e proponendo pezzi ad alta intensità emotiva come “Stillborn”, “Us Against December Skies” e “Calling the Rain”, che fanno immediatamente presa e mandano in estasi il pubblico. Ogni parola sulla qualità dello show potrebbe risultare superflua: c’è veramente qualche lode che non sia stata già fatta agli Harakiri for the Sky? Dei suoni ineccepibili sono stati capaci di rendere giustizia ad un gruppo che, come pochi altri, è capace di coniugare aggressività e melodia, con una coppia di chitarristi che, inutile dirlo, possiedono una preparazione che non sfocia mai nel mero sfoggio tecnico, ma che è sempre al servizio del brano, anche nei momenti in cui il metronomo aumenta i suoi battiti. “Song to Say Goodbye” dei Placebo è il pezzo con cui il gruppo chiude il suo set di appena un’ora, forse troppo poco per soddisfare l’appetito dei presenti, ma perfettamente sufficiente per comprendere la caratura di una band capace sempre di stupire l’ascoltatore, tanto in studio quanto dal vivo.

Parlare degli Inchiuvatu equivale a parlare della storia della musica metal italiana. Il gruppo in questione rappresenta uno dei progetti più particolari che lo stivale abbia mai partorito, capace di unire generi come gothic metal, black metal e atmosfere folk con testi in dialetto siciliano, terra di origine di Agghiastru, deus ex machina del combo. La scenografia che ci troviamo davanti è decisamente notevole, con una tenda che, come un sipario, si apre su quel teatro nichilista che è la vita umana, dando il via ad uno show che vivrà di fasi alterne. Da un punto di vista squisitamente tecnico, il set del gruppo siculo non spicca, conoscendo diversi momenti di indecisione, dovuti soprattutto alla volontà del frontman di rivestire contemporaneamente i ruoli di cantante, chitarrista e tastierista. Tuttavia, nonostante quanto finora scritto, il pubblico si dimostra estremamente partecipe e coinvolto in uno show di cui si sente parte integrante, soprattutto nei momenti più teatrali. Anche in questo caso, il repertorio è capace tanto di spingere sull’acceleratore quanto di rilassarsi con momenti maggiormente strumentali, concludendosi con una sezione quasi “cantautoriale”, in cui Agghiastru sfodera il suo lato più intimo con dei brani composti da voce e tastiera. Nonostante qualche scivolone tecnico, non possiamo negare quanto lo show degli Inchiuvatu sia stato coinvolgente, anche grazie al fascino di un progetto che, secondo chi vi scrive, ha raccolto molto meno di quanto avrebbe meritato.

Eccoci arrivati al main act della prima giornata. I Rotting Christ non hanno certo bisogno di presentazioni e, forti di un pubblico che attende solo loro, iniziano il loro set con “666” e “Kata Ton Daimona Eaytoy”, facendo capire a tutti su quali coordinate su muoverà lo show. Nei sessanta minuti a loro disposizione, la band ellenica sfoggia tutti i classici del suo repertorio, capaci di coinvolgere non solo con delle ritmiche catchy ed aggressive, ma anche con delle atmosfere epiche e, a tratti, quasi liturgiche. Sakis si conferma essere un frontman consumato, capace di tenere il pubblico nel palmo della mano, grazie anche al supporto di una band composta da musicisti di altissimo livello. “Grandis Spiritus Diavolos”, “In Yumen-Xibalba”, “The Raven” e, ovviamente, “Non Serviam”, sono capaci di catturare l’attenzione anche dei più distratti, portandoli al cuore di un concerto che trova pochissimi eguali, anche tra gruppi più blasonati. “Noctis Era” chiude uno show che lascia tutti soddisfatti e desiderosi di rivedere all’opera i fratelli Tolis il prima possibile, magari anche in uno show più corposo.

La chiusura della prima giornata di Frantic è affidata ai Mispyrming, band black metal islandese che, nonostante una carriera piuttosto giovane, è già riuscita ad imporsi agli occhi (ed alle orecchie) di chi ama il metal più oscuro. Dopo pochi minuti di set, il gruppo chiede scusa al pubblico: per motivi logistici, uno dei chitarristi non è riuscito ad aggregarsi, costringendoli a riadattare i brani. Quanto ora detto avrà delle ripercussioni, impoverendo una pasta sonora altrimenti granitica ma, al contempo, rende più intellegibili le tessiture che compongono le atmosfere dei brani. I Mispyrming conoscono bene il loro mestiere e, nonostante questo inconveniente, riesco a proseguire il loro show senza particolari intoppi, sfoggiando un repertorio tanto aggressivo, con blast beat e riff serrati, quanto pezzi più mid tempo, in cui si dà spazio alle melodie oscure di cui la proposta musicale del gruppo è pregna. Speriamo di poterli rivedere presto a ranghi completi.

GIORNO 2

IAmMorbidBand

Questo secondo giorno di Frantic si apre all’insegna del death e del brutal; d’altra parte, vedendo chi sono gli headliner, non potrebbe essere altrimenti. La nostra mattina viene inaugurata dagli Slug Gore, il progetto estremo di Danny Metal, noto content creator di YouTube, nonché polistrumentista; la band propone un death/grind tutto pogo, distorsione e cazzeggio e, stando alle reazioni del pubblico, questa formula fa subito presa, scatendo un po’ di moshing e facendo comparire i primi gonfiabili. Questo “metal per cavernicoli”, così definito dal frontman, è forse la “colazione” ideale per un fan del Frantic, che potrà iniziare la giornata con la giusta dose di ironia e, ovviamente, di lividi da pogo. Subito dopo è il turno dei Golem of Gore, band gore grind di Bologna. La loro formula, per certi versi, ricalca quanto abbiamo visto pochi minuti prima, proponendo un sound violento, brutale e compresso, con pezzi diretti, senza troppi fronzoli e dal grande impatto, come testimoniato dal brano “Iron Blastbeat Propaganda”.

Alle 18.10 è tempo di spostarci sul palco principale, che verrà inaugurato da una delle band più colorate, divertenti e, al tempo stesso, più violente di questo Day 2: stiamo parlando dei Party Cannon. Il loro merch ci aveva colpiti e, quindi, non aspettavamo altro che di vederli all’opera: col senno di poi, possiamo dire che la festa che si è scatenata è andata oltre le più rosee aspettative. Il gruppo inglese ha lanciato una decina di palloni sul pubblico, che ha controbattuto con coccodrilli, balene, fenicotteri ed ogni altro animale che la mente umana abbia realizzato in versione gonfiabile balneare. A questa coloratissima festa si aggiungono moshipit, i primi crowd surfing di giornata, tanto growl da far impallidire un animale e, va da sé, abbondanti dosi di divertimento, come il pezzo “1000%” sta a testimoniare. La band chiude il proprio show con un’improbabile gara di flessioni con il pubblico, che partecipa in massa, confermandoci che, all’interno di ogni metallaro, c’è un’anima festaiola che aspetta occasioni del genere per uscire allo scoperto e “tamarrizzare” tutto ciò che la circonda.

Con i Devoid of Thought, invece, torniamo su lidi più death metal. I ragazzi di Busto Arisizio sono una tra le realtà più giovani che calcheranno le assi del Tent Stage in questa giornata di festival e, nonostante la loro proposta musicale sia quella espressa in precedenza, è possibile rintracciare, di tanto in tanto, alcune venature più thrash, forse frutto delle reminiscenze dei Warstorm, band dalle cui ceneri sono nati i Devoid of Thought. Il loro set di 40 minuti fila liscio come l’olio, lasciandoci ottime impressioni. I Gatecreeper continuano il discorso estremo avviato sin da questa mattina, proponendo delle canzoni in classico stile death metal, tutte dotate di una certa varietà ritmica. Nonostante il gruppo sia attivo da poco meno di una decina d’anni, siamo di fronte ad una band tecnicamente preparata, dotata di un ottimo riffing e di una certa cura per la melodia, perfettamente integrata e mai preponderante (sentire “Flamethrower” per credere); quanto ora detto rappresenta il terreno ideale su cui innestare la voce gutturale di Chase Mason che, inutile dirlo, raccoglie i consensi di tutti i presenti.

Per motivi di approvvigionamento di vivande per la cena, riusciamo ad assistere solo ad uno scampolo della performance degli Artificial Brain, di cui riusciamo però ad apprezzare il technical death metal proposto, con diverse progressioni strumentali degne di nota. Si passa così al primo grande nome della serata: quegli Asphyx che ogni metallaro stava attendendo sin dalle prime luci di questo 19 Agosto. Con oltre 30 anni di carriera, la band olandese rappresenta uno dei punti fermi del metal estremo, e la data al Frantic Fest 2023 non fa che confermare quanto ora detto; nell’ora di setlist vengono pescati tanto brani dal più recente “Necroceros” quanto da “The Rack”, il loro primo ed indimenticato lavoro in studio. La performance del quartetto di Oldenzaal è granitica e assolutamente priva di sbavature, con un Martin van Drunen che non risparmia neanche un’oncia delle sue urla ferali ed un Paul Baayens che, da solo, crea un muro sonoro impenetrabile, tanto nelle sfuriate ad alto tasso di bpm, quanto nelle fasi più lente e cadenzate, da cui si percepiscono le influenze doom, vero tratto distintivo del gruppo. Potremmo essere in presenza del miglior show di questa seconda giornata, o forse delle due giornate di Frantic, ma tempo al tempo.

Il Tent Stage ospita una delle più piacevoli scoperte del festival: stiamo parlando dei Capra. Nonostante la loro formazione sia nata nel 2016, la band sfoggia un’energia ed una padronanza di mezzi da fare invidia a colleghi ben più blasonati; il loro hardcore metal sprigiona un’aggressività in cui raramente ci si imbatte, che trova il suo sfogo principale nella voce di Crow Lotus, cantante di chiara impostazione hardcore, le cui urla sprigionano tutto il disagio contenuto in pezzi come “Medusa” e “Loser”. I 45 minuti a disposizione del combo americano volano via in un batter d’occhio, ma siamo sicuri che la strada dei Capra sia solo all’inizio, e che sentiremo ancora tanto parlare di loro.

Molti avevano inarcato più di un sopracciglio all’annuncio degli I Am Morbid come headliner della seconda giornata del Frantic 2023, quasi come si trattasse di una cover band, composta da vecchie glorie in età da pensione. Ebbene, bastano pochi minuti per rendersi conto di quanto tali opinioni fossero totalmente insulse e prive di fondamento. Il poker d’assi “Immortal Rites”, “Fall From Grace”, “Visions From the Dark Side” e “Blessed Are the Sick” ci mostra una band in perfetta forma, capace di eseguire con disinvoltura pezzi che farebbero tremare i polsi anche al più scafato dei musicisti. Dave Vincent chiede al pubblico di scatenarsi, perché sta per avere inizio la celebrazione del trentennale di “Covenant”, uno dei capolavori dei Morbid Angel, che verrà eseguito quasi per intero. La coppia d’asce, pur non avvicinandosi completamente al sound malato ed ultra-effettato di Trey Azaghtoth, riesce ad ricalcarne lo stile tecnico, tanto nei repentini cambi di tempo che negli assoli al fulmicotone. Se Pete Sandoval è il solito schiacciasassi, la solita macchina infernale, confermandosi il padrino del blast beat, ciò che cattura maggiormente l’attenzione è lo stato di grazia in cui si trova il frontman; Vincent sprigiona carisma da ogni singola nota, sia essa suonata o cantata, riuscendo a passare con disinvoltura dai growl più cupi a parti molto più alte, senza disdegnare qualche passaggio in pulito. “Maze of Torment” rappresenta alla perfezione quanto finora detto, eseguita in maniera impeccabile e capace di scatenare un pubblico che, fino a quel momento, era rimasto in uno stato di profonda ammirazione; ammirazione che si protrarrà fino a “World of Shit”, che chiude un set micidiale. Se lo show degli Asphyx ci aveva convinto, quello degli I Am Morbid scava un solco profondissimo tra tutte le band che hanno suonato prima e quelle che, loro malgrado, saranno costrette ad esibirsi dopo; ci dispiace, ma è esattamente questo che accade quando si ci confronta con delle leggende viventi del Death Metal.

Ai Fulci spetta il compito di chiudere la serata. Si tratterebbe di un’impresa neanche troppo complessa, se non fosse che, pochi minuti prima, si erano esibiti gli I Am Morbid; proprio per questa ragione Dome, chitarrista e co-fondatore del gruppo, chiede un incoraggiamento da parte di un pubblico decisamente numeroso e che, come vedremo, risponderà nel miglior modo possibile. La band è un vero e proprio omaggio musicale estremo a Lucio Fulci, celebre regista italiano definito “il padre fondatore del gore”; sulla base di queste parole, ogni brano eseguito sarà accompagnato da immagini e suoni direttamente provenienti da film come “Zombi 2” e “Voci dal Profondo”. Spostandoci all’aspetto prettamente musicale, la band propone un brutal death metal che sembra fatto apposta per scatenare il pubblico con chitarre a motosega, batteria (o, in questo caso, drum machine) in stile martello pneumatico, growl, scream, pig squeal e tutti gli altri ingredienti che il genere in questione prevede, senza disdegnare qualche piccola melodia. Più che una semplice band, i Fulci sono paragonabili ad un’esperienza musicale e cinematografica, un connubio in cui raramente è possibile imbattersi e che, non per caso, li ha portati in tour negli Stati Uniti in qualità di headliner. Speriamo di poterli rivedere presto all’opera, tanto per calarsi nuovamente nell’immaginario di un regista tanto amato all’estero quanto bistrattato in Italia, quanto per rivedere all’opera una band che, senza troppi giro di parole, vince e convince, anche vicino ai mostri sacri del genere.

GIORNO 3

DownsetBand

Il terzo ed ultimo giorno di Frantic è all’insegna dell’hardcore punk e dello stoner; a parere di chi vi scrive, è proprio in giornate di questo genere che è possibile scovare qualche sorpresa, quella gemma nascosta che ti fa benedire tutti i soldi spesi per il biglietto. Ad aprire le danze di una giornata calda tendente al torrido ci pensano gli Inerdzia, punk band che, con la loro attitudine allegra e stradaiola, rientrano subito nelle simpatie del pubblico che, seppur non ancora folto, è desideroso di godersi queste ultime ore di festa. Dopo il sound estremamente distorto dei Marigold, ci imbattiamo nei Tons, band torinese che, con il loro approccio a metà strada tra lo stoner e lo sludge, con un cantanto molto acido in growl/scream e, soprattutto, con dei riff lenti come pachidermi, riescono ad avere un impatto sui presenti.

La prima band a calcare le assi del Main Stage sono i Conan, band doom metal di Liverpool che, per molti, era una delle attrazioni principali della giornata. Capiamo subito che non si sarebbe trattato di uno show come gli altri perché, accanto ai musicisti, troviamo Welt (un noto tatuatore romano) intento a realizzare un quadro, traendo ispirazione dalle note del trio inglese. E di che tipo di note si tratta? Più volte descritti come “caveman battle doom” a causa del loro suono cupo e cavernoso (frutto di un notevole downtuning), al di fuori del genere menzionato, gli inglesi si muovono anche su coordinate più stoner e sludge; le parti cantate saranno una minoranza (e quasi tutte urlate), così come poche saranno le sfuriate ritmiche della band, che prediligerà un approccio più “pachidermico”. Nei 50 minuti di set, la band completa il suo show e, considerando lo spettacolare demone realizzato dal summenzionato artista, non possiamo che prendere atto dell’efficacia della musica appena ascoltata.

Prendete tutto ciò che conoscete sullo stoner e sullo sludge, aggiungete delle atmosfere psichedeliche e spaziali, delle linee melodiche di grande fascino, mescolate tutto con cura ed otterrete ciò con cui gli Hyperwulff hanno conquistato il Tent Stage. La band di Bologna, grazie a quella varietà che non sempre è ravvisabile nei generi musicali appena menzionati, riesce ad imporsi e, soprattutto, a distinguersi dai suoi illustri colleghi, forte del materiale proveniente dal più recente “Volume Three: Burrowing Kingdoms”. I 40 minuti di set scorrono via che è un piacere, facendoci scoprire una delle realtà più interessanti dello stoner rock italiano.

È tempo di tornare sul Main Stage: ci sono i Booze & Glory ad attenderci. La band britannica, esponente del genere Oi!, si contraddistingue per un approccio tanto street quanto festaiolo, con un sound che, volendo fare un paragone, ricorda non poco quello dei Dropkick Murphy’s e che, quindi, ci mette pochi minuti per coinvolgere un pubblico che attendeva solo di scatenarsi. Brani come “C’est La Vie” portano quella ventata di spensieratezza di cui c’è sempre bisogno, innescando un pogo che, praticamente, non conoscerà pause, e che ci porterà alla fine del set con un enorme sorriso stampato sul volto: perché, è bene ricordarlo, la musica è anche (e soprattutto) allegria.

Gli Straight Opposition sono una di quelle band per cui ogni presentazione potrebbe risultare superflua. Tuttavia, per chi non ne avesse mai sentito parlare, il gruppo di Pescara rappresenta una delle realtà più solide dell’hardcore più duro ed intransigente del panorama italiano, ed i suoi oltre 500 concerti sono lì a testimoniare un’attitudine che non è mai venuta meno. Bastano poche note per capire quanto la formula del gruppo sia rimasta intatta per potenza ed aggressività, scatenando un pogo che metterà a dura prova tanto la security quanto la struttura stessa del Tent Stage che, fortunatamente, riuscirà a resistere al putiferio scatenato dagli abruzzesi, grazie anche ad un tempestivo intervento degli organizzatori.

Da una leggenda all’altra: è il momento degli Integrity di salire sul palco principale del Frantic Fest. Definiti come una delle prime band metalcore (se non proprio la prima in assoluto), Dwid Van Hellion e soci entrano in scena e fanno ciò che riesce loro meglio: sconvolgere il pubblico con il loro sound aggressivo, distorto e dalle mille influenze. Il set attingerà prevalentemente da “Humanity is the Devil”, di cui saranno eseguiti brani come “Psychological Warfare”, “Hollow” ed “Abraxas Annihilation”; tuttavia, non mancheranno estratti anche da altri capitoli della loro discografia, come “Taste My Sin”, “Judgement Day” e “Incarnate 365”. Lo show prosegue senza intoppi, incontrando i favori del pubblico che risponde con moshing e boati di approvazione fino alla conclusione, affidata ad “Hybrid Moments” dei Misfits.

Vi ricordate quando, qualche riga fa, vi avevamo detto che festival del genere sono l’ideale per imbattersi in delle “piacevoli sorprese”? Bene, è arrivato il momento di parlarvi dei Master Boot Record. Il progetto di Victor Love (al secolo Vittorio D’Amore) si colloca sul territorio della synthwave e della chiptune, le cui sonorità fredde e molto ottantiane rimandano alla cultura nerd e geek di quegli anni, soprattutto per quanto riguarda i videogame. Lo show, infatti, sarà accompagnato dalle proiezioni di gameplay di Castlevania, Contra, Doom e di tutti quei videogiochi che hanno accompagnato l’infanzia e l’adolescenza di tutti quei metallari con qualche capello bianco in testa. Ma per quanto riguarda la musica? Come detto poco fa, provate ad immaginare la musica di Perturbator e Carpenter Brut, rendete i loro suoni ancora più freddi ed aggressivi (quasi come se provenissero da un cabinato arcade), aggiungete delle parti di chitarra compresse ma, al contempo, tendenti al virtuosismo (in stile The Algorithm) ed avrete ottenuto la cifra stilistica dei Master Boot Record che, ovviamente, non poteva che ottenere i consensi di tutti i presenti, che hanno potuto portarsi a casa anche qualche floppy d’annata per Amiga, ricordando i bei tempi andati del gaming, che hanno fatto giri immensi e sono ritornati sotto il nome di Master Boot Record.

È il momento degli headliner di giornata e, quindi, dei Downset. Rey Oropeza e soci sono considerati i precursori del movimento Nu Metal; tuttavia la band americana, non raggiungendo mai un vero e proprio successo commerciale, è riuscita a mantenere intatte le sue influenze rap, alternative, hardcore e, soprattutto, il suo impatto sonoro, che investe in maniera fragorosa il pubblico del Frantic che, più di quello di tanti altri open air, è aperto ad ogni contaminazione musicale. La band conosce fin troppo bene il suo mestiere e, forte di una carriera più che trentennale, riesce a coinvolgere i presenti, scatenando mosh e circle pit come se non ci fosse un domani e suggellando una delle performance più palpitanti di questa tre giorni.

Abbiamo iniziato nel segno dello stoner e non potevamo che chiudere con lo stoner, con uno dei suoi nomi di maggior rilievo: quello dei Mondo Generator. Come i più appassionati sicuramente sapranno, la band ruota attorno al nome di Nick Oliveri, iconico bassista di Kyuss e Queens of the Stone Age che, come scopriremo, sarà il vero e proprio mattatore della serata. La band propone un set che pesca tanto dai quattro album della sua discografia quanto dagli iconici classici dei Kyuss, che mettono in difficoltà le già provate transenne del Tent Stage. Oliveri e compagni sanno come fomentare un pubblico che non aspetta altro e, quindi, non risparmiano un grammo di sudore, dando vita ad un concerto di rara intensità, scandito da riff energici, da strofe urlate e da una sezione ritmica in cui il basso di Oliveri giganteggia, quasi parlando al pubblico ed incitandolo all’ennesimo pogo, chiudendo il Frantic 2023 come meglio non si potrebbe desiderare.

Mentre le luci si abbassano, i ragazzi dell’organizzazione smontano il main stage e gli ultimi arrosticini vengono collocati sulla brace, è tempo di tirare le somme di questa edizione 2023 del Frantic. Come tutti gli affezionati sanno, il festival abruzzese pone la qualità dell’esperienza al centro del suo universo e, anche questa volta, l’obiettivo può dirsi pienamente centrato; l’area camping è stata migliorata e resa più comoda ed agibile, le carte prepagate ricaricabili hanno sostituito i vecchi (ed ingombranti) token cartacei, il menu è stato esteso, arrivando a comprendere anche soluzioni vegane; tutto questo riducendo al minimo la presenza di rifiuti. Chiunque frequenti questo genere di eventi non potrà non ricordare il tappeto di rifiuti che fa capolino quando il pubblico defluisce; ebbene, nei tre giorni di Frantic è stato difficile imbattersi anche in una singola cartaccia, segno di un’organizzazione attenta e, in secondo luogo, di un’audience educata e rispettosa. Lato stand, abbiamo trovato delle liete sorprese, come la casa editrice Hollow Press e Your Music Online, il cui concorso (con una chitarra in palio) ha attirato centinaia di persone. È difficile trovare lacune in un’organizzazione talmente minuziosa ma, volendo proprio trovare il pelo nell’uovo, si potrebbe pensare di inserire qualche zona d’ombra in più (soprattutto in prossimità delle panche che, nelle ore più calde, diventavano roventi), qualche punto per rifornirsi d’acqua e, soprattutto, aumentare il numero di stand in cui ricaricare il proprio conto cashless, in quanto l’unico presente, a causa della grande affluenza di pubblico, ha generato una notevole coda, dilatando i tempi di attesa. Sempre a questo proposito, si potrebbe adottare la stessa tipologia di braccialetti ricaricabili già presenti in diversi festival europei (Hellfest su tutti), così da evitare il rischio di perdere la propria carta, essendo così costretti ad attivarne una nuova.

Come avrete però dedotto, si tratta di miglioramenti facilmente apportabili e la cui mancanza non ha assolutamente inciso sulla nostra esperienza al Frantic 2023 che, come sempre, eleva la soddisfazione dello spettatore a massima priorità e, alla fine della fiera, forse è proprio questa la ragione che ci spinge a tornare ogni anno a Francavilla al Mare, diventata la seconda casa per tanti, tantissimi appassionati della musica live.

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