Anche apprezzato doppiatore, il torinese Davide Albano trabocca enorme passione per la musica, un amore capace di spingerlo a imbarcarsi nell’esperienza a nome Black And Blue Radio, progetto solista aperto alle contaminazioni e alle collaborazioni esterne. Il rilascio, il 27 ottobre, dell’album di debutto “This Order” su UMA Records/Sony Music Italy, ha rappresentato l’occasione giusta per discuterne con un songwriter che, tra dettagli tecnici e squarci personali, non si è minimamente risparmiato, accompagnandoci nel suo mondo sì umbratile e malinconico, ma mai privo di balsamiche luci emotive. Luci, spesso elettroniche, che si insinuano nei gangli angloamericani del blues, del folk, del rock cantautorale, matrici natie di un autore la cui levatura artistica sembra destinata a crescere e a espandersi. Ulteriormente, inevitabilmente.

Ciao Davide e benvenuto sulle pagine di SpazioRock. Come stai?

Tutto bene, grazie.

Prima di iniziare a parlare dei Black And Blue Radio e del debutto sulla lunga distanza “This Order”, uscito lo scorso 27 ottobre, vorrei porre l’accento sul fatto che ti sei attorniato di qualche musicista metal per la lavorazione dell’album. Che contaminazione, vero?

Sì, ho il chitarrista che suona con me, e che ha prodotto una parte dell’album, ovvero Joey Tassello, che fa parte di una cover band dei Pantera, oltre ad avere un gruppo, i Five Ways To Nowhere, che fanno metal davvero pesante e vanno in giro per tutta Europa. Quando lui suona con me, mi piace questa contaminazione e sentire un pochino di metal nel folk e nel blues. Adoro i contrasti. Certo, i Black And Blue Radio sono io, non c’è dubbio. Tuttavia, mi piace chiamarlo progetto perché posso coinvolgere più persone. Se fosse una band, sarebbe diverso. Invece, così, ho il chitarrista metal, poi, quando sono a Roma, ne ho uno che suona in una delle cover band più importanti dei cartoni animati Disney. Sono sempre le mie canzoni, ma c’è un altro stile e per questo non mi piace definirlo gruppo in senso stretto.

Né gruppo, ma forse neanche one man band a questo punto.

Ma guarda, qualche settimana fa ero a Berlino a suonare, però ero da solo, con chitarra acustica e armonica. I Black And Blue Radio sono sia una one man band sia un collettivo che a volte va verso il metal, a volte più verso il pop. Venerdì scorso, ad esempio, abbiamo avuto una serata acustica ed eravamo in due. Comunque, i pezzi sono sempre quelli, ma c’è un mood sempre differente e questa cosa è cool, almeno secondo me. Questo approccio sempre diverso ti fa vivere la canzone mille volte di più. Anche perché, poi, il pubblico con cui ti interfacci cambia continuamente.

Davide, tu sei doppiatore di professione, anche piuttosto noto nell’ambiente. Quando è nata l’idea di intraprendere una seconda carriera da musicista?

Allora, guarda, io sono sempre stato molto appassionato di musica perché avevo mio zio che è stato uno dei dj più importanti a livello locale. Quindi, sin da piccolo, ascoltavo tantissima musica, però, per mille motivi, non mai avuto la possibilità di suonare. Ho fatto il dj in un gruppo rap per un certo periodo, poi ho scoperto che mi piacevano Bob Dylan, Neil Young, Johnny Cash  e artisti simili e, di conseguenza, ho cominciato a imparare a suonare la chitarra e l’armonica da autodidatta. Mi piace tantissimo suonare da solo e approcciarmi al pubblico con chitarra e voce. Tuttavia, avere un collettivo mi permette di imparare, perché comunque la maggior parte delle volte suonano con me dei musicisti straordinari, che sono anche miei amici tra l’altro, e questa cosa comunque migliora il prodotto finale. Essendo autodidatta e non un musicista di professione, magari conosco quattro accordi, ma se chiamo un chitarrista che sta in tournée per sei mesi durante l’anno in tutta Europa e viene a suonare con me, ho solo da imparare e le mie canzoni, i miei live, i miei dischi, ne risentono al meglio. Se hai a che fare con gente più brava, fondamentalmente non devi fare niente, è una paraculata (ride, n.d.r.).

E poi c’è anche l’aspetto della condivisione che, credo, sia fondamentale a livello emotivo, soprattutto per una persona, come te, che mastica arte attraverso diversi linguaggi.

Questa cosa di suonare insieme mi motiva un sacco, perché, come appassionato di musica, mi piace tantissimo l’idea di andare a suonare in giro, stare in tour, fare i concerti, stare con la gente che ci viene a sentire. Poi, essendo tutto autoprodotto, quando vedo le persone che segue dal vivo i miei spettacoli, che siano anche cinque o sei, mi si riempie il cuore. È come per il teatro: quando scrivi lo spettacolo e vengono anche soltanto quattro persone, se non lo fai per soldi, è bellissimo, davvero. Lo so che è una cosa romantica. Io ho quarantatré anni e spesso ragiono come un ragazzino di quindici. Ma il mio lavoro di doppiatore, come quello di musicista, è un qualcosa che afferisce all’arte e io vivo di questo. È fondamentale, per me, anche la condivisione, nonostante io sia molto solitario nella scrittura e nella vita in generale. Il fatto di poter condividere la musica con dei musicisti, con gli amici e con gente che dice: “Quanto mi piace questa canzone!”, ma anche con gente che, come è successo, dice: “Guarda, questa canzone mi fa cagare, però sento il lavoro che c’è dietro”, ebbene, mi fa tantissimo piacere. Anche le critiche negative, per me, sono un complimento. Perché, comunque, arriva tutta la fatica di autoprodursi un disco e lo sbattimento che ne consegue.

Concentriamoci, ora, su “This Order” che, come già detto, rappresenta l’esordio dei Black And Blue Radio. Rispetto all’EP del 2017, “Out Of Time”, mi sembra palese un miglioramento, sia a livello prettamente tecnico che di songwriting. Intendevi sperimentare, rischiando anche qualcosa in più?

Abbiamo provato, con i mezzi che avevamo, di combinare dei suoni diversi rispetto al passato. Prima era veramente tutto chitarra, basso e batteria. Adesso ci sono dei sequencer, ci sono delle tastiere, ci sono degli effetti diversi.  “Waits” o anche “Lontano”, il primo pezzo in italiano che ho scritto, ha degli effetti elettronici che non avevamo mai utilizzato, è un piccolo passo da questo punto di vista. Anche con la scrittura in italiano ho provato a cercare di cambiare, di non restare nella stessa zona di comfort di un tempo. Non stiamo parlando della qualità delle canzoni in senso stretto, piuttosto del fatto che c’è stata una ricerca. Spero che si senta questo e si senta anche nel modo di cantare, perché, comunque, ho un carissimo amico, che è anche il mio insegnante di canto, che è venuto in sala quando abbiamo inciso. Anche nel canto, nel coro, nelle doppie voci, abbiamo cercato di trovare una soluzione diversa rispetto al rock blues da garage di qualche anno fa. C’è un pochino più di attenzione, un qualcosa, credo, dovuto anche all’età, al tempo, alle esperienze fatte. E comunque, questi quattro anni, in qualche modo, hanno inciso su tutto.

Infatti, a causa dell’esplosione dell’emergenza COVID-19, l’album ha subito notevoli ritardi e vicissitudini varie, tanto che lo stesso titolo può essere inteso in due modi diversi, visto che la lingua inglese che non fa molta distinzione tra la pronuncia di this order e disorder.

La scrittura del disco è partita nel 2019 con tre singoli, poi si è bloccato tutto per il discorso della pandemia. Alcuni pezzi sono stati scritti a Roma, alcuni pezzi sono stati scritti a Torino, alcuni pezzi sono stati scritti e arrangiati a Roma e a altri scritti e arrangiati a Torino. “This Order”, quindi,  è sia l’ordine in cui le canzoni sono state composte sia un disordine di organizzazione, ma è anche un disordine  creativo e, passami il termine, mentale. Il periodo pandemico, che è stato davvero molto difficile, ci ha causato un mental disorder, un senso di sbandamento generale che ha influenzato la stesura e le atmosfere dell’album.

Il disco, dunque, chiude anche una sorta di cerchio, esistenziale e artistico.

“This Order” chiude quello che è iniziato con “Out Of Time” e dà avvio a un nuovo percorso, perché comunque ci sono dei brani in italiano, dei pezzi esclusivamente blues come “Po/Mississipi Blues”, altri che sono proprio delle ballad. Ci sono degli esperimenti come “Vorrei”, una canzone che io non avrei mai scritto cinque o sei anni fa, visto che la trovo proprio basica. Però, sai, se non fai una cosa e non ti metti in gioco e non la provi, non puoi sapere se questa canzone, quando qualcuno l’ascolta, riesce effettivamente a comunicare qualcosa oppure no. Ho bisogno di saperlo e l’unico modo per saperlo è mettermi lì e dire: “Okay, vediamo se mi arrivano più schiaffi che complimenti”. Non mi preoccupa la critica, anzi, mi serve per il passo successivo.  

Come mai questo approccio pudico verso la lingua italiana? Tale circospezione ti ha influenzato anche dal punto di vista del cantato?

Allora, scrivere in italiano lo trovo difficile perché ho sempre paura di risultare banale, poco incisivo e tanto prolisso. La cagata era dietro l’angolo. Sono sincero, ho avuto molta paura. Però non potevo non farlo. Ho seguito, più di un anno fa, un corso di scrittura creativa, perché avevo bisogno di imparare e di capire come scrivere. Io scrivo tanto a mano e non uso il computer. Anche in questo corso scrivevamo, confrontavamo i nostri testi e questo mi ha dato la possibilità di capire cosa c’era che non andasse. Però ho bisogno di tanto allenamento da questo punto di vista, perché comunque mi viene molto più facile scrivere in inglese, anche solo per una questione di ascolto. Io seguo tantissima musica inglese e americana, comunque in lingua straniera, e, avendo l’orecchio abituato a tali ascolti, per me è più facile rubare quella roba lì piuttosto che qualcosa in italiano. Anche perché il Ryan Adams italiano non esiste. E, quindi, non ho nessuno a cui appoggiarmi. Ecco, non mi piacerebbe essere il Ryan Adams italiano, ma mi piacerebbe essere per l’Italia quello che Ryan Adams è musicalmente per gli Stati Uniti. Oddio, ho fatto l’esempio sbagliato perché quattro anni fa lo hanno accusato di molestie sessuali e violenza psicologica.

Beh, alla fine quello scandalo non ha portato a nessun processo. In ogni caso, parliamo soltanto della sua caratura artistica.

Esatto. Per quanto riguarda il cantato, se ci fai caso, è molto più leggero in “Vorrei” e “Lontano”. Credo sia anche una questione di abitudine, di confidenza, di approccio. Forse, cantandole molto di più dal vivo con un pubblico davanti, queste canzoni mi daranno dei feedback che cambieranno il mio approccio verso la lingua italiana.

E con “Po/Mississipi Blues” lanci davvero un guanto di sfida, dal momento che si tratta di un blues in lingua italiano.

Vero. È una bella sfida e, sinceramente, mi piace tanto. E il testo mi piace un sacco. Le persone che mi conoscono e che hanno ascoltato la canzone mi hanno detto: “Sei tu”. Perché è proprio una dichiarazione di intenti, come per dire: “Okay, eccomi qua”. È più di una carta di identità.

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Parlavi in precedenza di “Waits”, le cui pulsazioni elettroniche mi hanno ricordato certe cose dei Simply Red, benché inserite all’interno di un contesto molto umbratile. Una canzone più Johnny Cash o, considerato il titolo, à la Tom Waits?

Io ho una passione spasmodica per Johnny Cash, e qui si sente. Quando ho scritto questa canzone, avrei tantissimo voluto farla alla Tom Waits. Però io ho una voce che è tutto tranne che à la Tom Waits. E mi faceva ridere questo contrasto. Mi piace tanto anche prendermi in giro, perché se tu ascolti la mia voce è tutto tranne che quella roba lì. Ma il testo l’ho tenuto, visto che c’era tanto Tom Waits nella mia testa. E, di conseguenza, l’atmosfera del pezzo è molto dark, molto fumosa. Ai Simply Red non avevo pensato, invece, ma ti posso assicurare che sono uno dei miei gruppi preferiti.

Per quanto riguarda invece l’opener del disco, “Weather Man”, venne girato un video a fine febbraio 2020, che sembrava anticipare, vista l’atmosfera di tristezza e desolazione, il periodo vissuto durante il lockdown.

Sì, l’ambientazione è stata puramente casuale, ma incredibilmente premonitrice. Certo, in maniera conscia, non pensavamo assolutamente a quello che sarebbe successo. Cioè, non ne avevamo minimamente idea, tant’è che da lì a neanche un mese feci un concerto a Roma, al Pigneto, poco prima che chiudessero tutti. Ed era impressionante perché, a parte il fatto che eravamo in quattro al concerto, per strada non c’era nessuno, c’era un clima di terrore assurdo. Mi ricordo benissimo quella sensazione.

Con “It Will Be NIce”, d’altro canto, la solitudine assume un valore positivo, diremmo auspicabile in determinate situazioni. Non hai avuto dubbi nello sceglierla come singolo?

Guarda, io sono molto, molto solitario e “It Will Be Nice” è proprio una dichiarazione d’amore, è quando tu vuoi spiegare all’altra persona che voler a volte rimanere soli non significa non provare nulla o allontanarla. Piuttosto, è veramente avere bisogno di quello spazio, che poi è uno spazio che andrà condiviso, perché, appunto, la canzone dice che tu capisci questa mia sensazione, non saremo mai soli, saremo sempre insieme. Quindi sì, c’è la solitudine, quindi sì, c’è la difficoltà del rapporto, ma, come in tutte le mie canzoni, nonostante la malinconia di fondo, mi piace sempre pensare che ci sia un lieto fine. Perché nella vita, nonostante io sia molto appunto solitario, malinconico e blue, non mi arrendo facilmente, cerco sempre di trovare il lato positivo e di andare avanti al netto delle difficoltà. E questo, credo, si rifletta nelle canzoni, c’è sempre una doppia faccia in ognuna di esse, il black e il blue. Poi, per quanto riguarda la scelta di farla diventare il singolo portante dell’album, non ho avuto dubbi. Non so perché, forse per il periodo mio personale e per un sacco di altre cose. Mi sembra anche una canzone che si presti, eventualmente, al sing along, nel senso che, se alle persone dovesse piacere, credo sia facilmente cantabile. A me piace, quando vado ai concerti, cantare i pezzi insieme agli altri, tutti insieme.

Non abbiamo dato dettagli sulla copertina, che penso sia estremamente significativa, oltre che perfettamente contestuale allo spirito del platter.

Allora, l’idea è mia, ma mi ha aiutato nell’editing un mio carissimo amico, Giuliano Emanuele. Anche lui lavora nell’ambito del doppiaggio, ma come fonico e imprenditore. Mi piaceva l’idea che le finestre del palazzo rappresentassero le lettere di “This Order”. Di notte, quando tu vedi una finestra accesa, che siano le due o le tre, o c’è qualcuno che è tornato da lavoro o c’è qualcuno che sta lavorando, ma chi lavora a casa a quell’ora? Lo scrittore, il disegnatore, il poeta, il musicista. Il fatto che ci siano tantissime finestre, è la speranza che tantissime persone abbiano voglia di creare e condividere. Non sto augurando l’insonnia a tutti, ci mancherebbe (ride, n.d.r.).

Forse l’arte è la cura migliore per l’insonnia …

Sicuramente. La luce nel buio è anche quella cosa che ti può fare andare avanti in questo periodo terribile: una bella poesia, un bel film, una bella canzone, un bel quadro, l’arte in genere, qualcosa, in breve, capace di arricchire e consolare il cuore umano.

A proposito della radio, parola che compare nel monicker da te scelto per questo progetto, non credi che, oggigiorno, siamo di fronte a un suo terrificante appiattimento?

Allora, io la ascolto sempre e tantissimo, anche perché era il mio sogno farla e la mia carriera, diciamo così, è iniziata proprio perché volevo fare la radio.  Quindi  non manca mai in casa mia. D’altra parte, però, mi rendo conto che le radio sono musicalmente molto, molto simili tra di loro. Sono molto piatte. Se poi prendi le radio di settore, tipo quelle rock, anche lì fanno tutte le stesse canzoni e solo ogni tanto ne trovi una un pochino diversa. Adesso, per trovare della musica nuova, mi sono abbonato al canale di Enrico Silvestrin su Twitch. Me ne sono innamorato perché adoro lui, adoro il suo modo di non avere peli sulla lingua. Mi sta facendo scoprire veramente tantissimo materiale nuovo, cose che io non ascolterei mai, tipo della roba elettronica che mi fa dire: “Ma questa roba che cazzo è? Che bomba!”. Di italiano c’è ovviamente pochissimo nella programmazione. Però c’è della roba veramente interessante. Quindi, quando voglio andare a scoprire qualcosa di nuovo, vado lì, ascolto qualcosa e poi la approfondisco.

Passiamo, ora, alla tua professione di doppiatore, un’attività che ti ha visto prestare la voce anche a numerosi anime, tra cui Ken il guerriero – La leggenda di Toki. Quali difficoltà pone tale tipologia di doppiaggio?

Sì, guarda, quella che hai citato fa parte di edizioni che escono random, l’ho doppiato tantissimi anni fa e credo di averlo fatto soltanto quella volta, Abbiamo anche fatto la nuova serie di Naruto che è uscita adesso, ma io sono veramente una merda dal punto di vista degli anime e dei manga, sono pessimo perché non mi piacciono e anche perché doppiare quei prodotti è un bucio di culo enorme. Farlo bene è complicato, questi strillano, stanno a mille in continuazione e di recitazione c’è davvero poco. Cioè, c’è tantissimo trasporto, tantissima energia, ma se fai una serie tutta così, muori, oltre a buttare le corde vocali per la grande fatica. E poi, ripeto, non sono un grandissimo appassionato. Io sono andato via da Milano per andare a Roma e cercare di migliorare il più possibile, perché Roma è la capitale del doppiaggio. Se fossi rimasto a Milano, avrei fatto molti più cartoni animati. Però non sarei cresciuto e non avrei imparato niente artisticamente, anche se ne ho doppiati parecchi di anime anche a Roma. Abbiamo rifatto recentemente anche “Beavis And Buttehead”, che certo non è un anime, ma è stato comunque parecchio impegnativo, perché è molto caratterizzato.

So che ti piace molto Noel Gallagher. Sembra che abbia rifiutato la presunta proposta del fratello Liam di suonare insieme nel tour celebrativo per il trentennale dall’uscita di “Definitely Maybe”. Credi ancora a una reunion degli Oasis?

Se dovessero fare davvero una reunion, venderei un ginocchio per andarli a vedere, anche se non avrebbe molto senso, credo. Liam lo sono andato a vedere lo scorso a giugno a Milano, è stato veramente un revival. Però lo senti che manca qualcosa, non è come ascoltare gli Oasis. Certo, preferisco Noel, ne vado pazzo, seguo tutti i suoi concerti e l’8 novembre, ovviamente, sarò a Milano a vederlo, però anche in quel caso qualcosa manca. Rispetto a Liam, comunque, Noel fa delle cose diverse ed è più musicista, più compositore a tutto tondo. Ripeto, una reunion sarebbe forse anacronistica. Insomma, un cinquantenne suonato che canta ancora  “Cigarettes & Alcohol” sembra un po’ fuori tempo massimo. In Inghilterra sono degli dei qualunque cosa facciano, soprattutto Liam. Credo sia un’epoca nella quale non possano più tornare, siamo stati fortunati a goderceli e cerchiamo di prendere ancora quello che possiamo. Poi anche basta.

Torniamo ai Black And Blue Radio. Sono previste delle date live prossimamente?

Allora, il 15 novembre ho una data da solo in acustico ad Amsterdam. Ovviamente, l’idea è andare lì a suonare e prendere dei contatti per poi tornarci e fare più serate, come è stato per Berlino. Poi, per il resto, sono in contatto con dei locali su Roma, ma è faticoso perché è tutto autorganizzato, sono io che faccio tutto. Questo periodo è veramente tosto perché lavoro dodici ore al giorno: ho le prove, le serate, passo da Roma a Milano, da Berlino a Torino e sono in difficoltà nello stare dietro a tutto.

Non pensi sia opportuno farti assistere da un agente? Questo potrebbe far crescere anche il progetto.

Io credo fermamente nella crescita del progetto. Io sono sicuro, senza essere presuntuoso, che, una volta ascoltato, il progetto Black And Blue Radio farà il suo percorso. E, come ti dicevo prima, non tanto perché le canzoni sono belle, ma perché dietro vedi il lavoro, l’onestà, la ricerca e tante altre cose. L’idea dell’agente, sinceramente, ce l’ho, ma con le persone che ho contattato è molto difficile. Non sono tanto bravo nei rapporti sociali e nei contatti e quelle persone che sono riuscito a contattare o non mi hanno risposto o mi hanno proposto delle cose imbarazzanti. A me servirebbe qualcuno sul piccolo, perché poi pian piano si cresce insieme, questo non è un problema. Però, ripeto, è molto, molto complicato, anche e soprattutto per l’appiattimento musicale che c’è in giro. Chi passerebbe “Po/Mississipi Blues” in radio di questi tempi?

In un futuro tour o anche semplicemente per eventi singoli, vista la natura intimistica e raccolta della tua musica, ti precluderesti volontariamente delle location di grande capienza?

Guarda, credo che la mia musica non perderebbe nulla ovunque la si suoni, perché, se dovessi affrontare una location più grande, mi affiderei a delle persone che la saprebbero sostenere e, di conseguenza, lo potrei fare anch’io. Quindi, non è una questione di location, non c’è alcuna preclusione, assolutamente. L’idea è proprio quella di poter portare la musica dove è possibile. Se io fossi da solo, non potrei andare a suonare in uno stadio. Ed Sheeran lo fa? Sì, ma stiamo parlando di un’altra roba. Se fossimo in cinque, ovvero due chitarre, basso, batteria e tastiere, non potremmo andare a suonare nel pub sotto casa per trenta persone. Quindi, il fatto di essere cangiante, di poter variare spesso assetto, è molto importante per me. Anche perché non fare sempre la stessa cosa non ti annoia e ti dà la forza di affrontare tutto il resto.

Davide, grazie mille per la tua disponibilità. Vorresti lasciare un messaggio ai lettori di SpazioRock, ai tuoi sostenitori e anche a coloro che ancora non conoscono i Black And Blue Radio?

Sì,  volevo invitare ad ascoltare “This Order” e ringraziare tutti quelli che ancora ascoltano la musica e lo fanno per cercare qualcosa o per cercare sé stessi. Perché anche una persona sconosciuta potrebbe comunicare delle parole a voi familiari. La mia speranza è questa, che magari anche soltanto una parola, una frase, un accordo, possa farvi sentire per un attimo a casa o in compagnia di qualcuno che ci tiene. Questa è il ragione per cui faccio musica. A sentire una sola persona dire: “Davide, ho provato delle emozioni ascoltando un tuo brano”, ebbene, è come se avessi veramente venduto un milione di copie. Sono veramente onesto. Ci credo. Assolutamente. La motivazione per cui si fanno certe cose non è certo il denaro che se ne ricava. Buon ascolto!

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