Viene pubblicato oggi “The Elephants From Mars”, diciannovesimo album solista di Joe Satriani, uno tra i chitarristi viventi più apprezzati. Abbiamo avuto l’occasione di fare una lunga chiacchierata con Satriani, che, oltre a raccontarci la genesi di questo nuovo lavoro, ha ripercorso vari momenti della sua lunga e articolata carriera.

Ciao Joe e bentornato su SpazioRock, sono molto contento di averti di nuovo con noi. Come stai e come sta andando il tuo anno finora?

Sta andando benissimo. Qui a San Francisco sta andando benissimo e mi sto godendo il sole. Ho passato la mattina a parlare con persone da tutto il mondo di “The Elephants From Mars”, il nuovo album, quindi è sempre fantastico.

Il tuo nuovo disco, appunto “The Elephants From Mars”, esce oggi via earMusic. Qual è stata l’ispirazione stavolta?

Tutto il disco è davvero ampio, eclettico, una collezione di materiale. Credo che il punto centrale – anche se ha questo titolo assurdo e una storia altrettanto assurda – è che l’album sia una collezione di canzoni che escono fuori da un tema particolare. Oltretutto volevo fare il mio album migliore. Tutto ciò che pensavo era scrivere meglio, suonare meglio, arrangiare meglio, ottenere suoni migliori, e dare a tutti i componenti della band e nel team una licenza artistica per fare del loro meglio e provare le idee più pazze. È stato qualcosa che ci è stato possibile perché non avevamo fretta, abbiamo avuto il tempo dalla nostra parte e tutti hanno iniziato a lavorare all’album per conto loro prima di mandare i file delle loro performance in giro per il mondo. È stato davvero un esperimento stupendo su come registrare il disco, soprattutto pensando a uno dei momenti più brutti avremmo mai pensato di affrontare, una pandemia. Ma il nostro mestiere è quello dei musicisti, il nostro lavoro è fare musica per le persone e quindi ci siamo messi sotto.

Colgo una certa citazione al disco di David Bowie “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars”, i due dischi hanno qualcosa a che fare tra loro o è solo una questione di nomi?

È solo una questione di nomi, ero un grande fan di David Bowie quando stavo al liceo. Suonavamo tutte le sue canzoni, abbiamo iniziato con le canzoni dei Led Zeppelin e Black Sabbath e poi siamo finiti a suonare T-Rex e David Bowie. Sono sempre stato un suo grande fan. Ho anche avuto l’opportunità di fare alcuni show con lui tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, è sempre stato fantastico lavorare con lui. Ma la fantascienza è sempre stata una grande parte della mia vita. Ho un’azienda e un partner con cui scrivo storie di fantascienza, una delle nostre storie “Crystal Planet” è diventata una serie di fumetti l’anno scorso e abbiamo molti titoli a cui stiamo lavorando adesso. Quindi è molto comune per me sognare storie di scienziati che trasformano il pianeta Marte e per sbaglio creano questa razza di antichi elefanti che si uniscono ai coloni ribelli per riconquistare l’indipendenza del pianeta, per salvarlo dallo sfruttamento dalle multinazionali della Terra. Questa è la storia a cui ho pensato con la band, quando abbiamo pensato alle canzoni. Ho chiesto loro di pensare a questa trama di fantascienza e ho dato loro la licenza artistica di creare qualcosa di pazzo.

Non so perché suona abbastanza attuale.

È vero (ride, ndr). Ho sempre amato la fantascienza e ho sempre cercato di metterla in mezzo quando facevo i dischi e sono stato in grado di ottenere un contratto discografico, e avere la di libertà di registrare quello che voglio. Questo disco è una sorta di combinazione di tutti quei decenni in cui provavo di fare qualcosa di giusto. In questo album, anche se non c’è un tema unico, la title track ti lascia intendere che è divertente ma c’è anche un sacco di musica seria al suo interno.

C’è qualche collaborazione speciale all’interno di questo progetto di cui ci vuoi raccontare?

È divertente perché il disco è iniziato quando alla fine del 2019 ho finito l’album “Spaceshifting” e ho registrato un videoclip con mio figlio per la canzone “1980”. Qualche mese dopo eravamo pronti a fare le prove con la band, partire per il tour ma ovviamente tutto è cambiato all’inizio del 2020. Ma una delle cose che è accaduta e che ha avuto un ruolo centrale, è stato l’ingresso di un nuovo membro nella band, un musicista di nome Rai Thistlethwayte dall’Australia. È un chitarrista, cantante e tastierista della band Thirsty Merc e ho iniziato pensando che sarebbe stato divertente registrare due dischi con una voce e Rai che cantava e un altro che si concentrasse sulla sezione ritmica di Bryan Beller (bassista, ndr) e Kenny Aronoff (batterista, ndr). E quindi avremmo dovuto portare in tour queste nuove idee, cosa che non è mai accaduta. Quindi quando ho realizzato che il mio prossimo disco sarebbe stato richiesto la prossima volta che avremmo intrapreso il tour, avrei dovuto davvero usare questa nuova band per una collaborazione strumentale. E l’elemento chiave è stato fare i conti non solo con Rai alle tastiere – che è fenomenale – ma anche con il mio produttore e amico Henry Cordeo che suona anche lui le tastiere e la chitarra. Abbiamo provato tutti insieme a suonare più che potevamo e così sarebbe stato davvero uno sforzo collaborativo. E lo abbiamo potuto fare questa volta perché avevamo mesi per lavorarci e ognuno ha potuto prendere tempo per riflettere su come lavorare alle canzoni, a volte provare tre soluzioni diverse in tre tempi diversi. È stato un bell’elemento da avere, perché a volte quando fai delle collaborazioni hai a disposizione solo tre ore di tempo e devi accontentarti con qualunque cosa funzioni all’inizio. Ma in questo caso abbiamo davvero potuto essere selettivi, il ché rende l’album molto migliore.

Nel 2015 hai detto che i Chickenfoot sono finiti nonostante i tentativi di pubblicare il nuovo disco. C’è possibilità di ascoltare il nuovo materiale o è andato insieme alla band?

Non lo so davvero! Ne parlavo ieri con Sammy (Hagar, ndr) e sai tutti sono a posto, siamo tutti occupati con le nostre cose ed è stato così da molto tempo. Quindi ho questa sensazione che ognuno sia andato avanti e non abbiamo davvero bisogno di fare un album forse, ma quello che ho imparato dai Chickenfoot è che sono a portata di telefono. Le cose accadono così all’improvviso e velocemente che non puoi mai dire che non si farà.

Ok, quindi mai dire mai?

Esattamente (ride,ndr).

Tra aprile e maggio 2023 sarai in tour per l’Italia con 6 date lungo tutto il paese, per esempio Milano, Napoli, Roma e così via. Qual è il tuo rapporto con l’Italia e come ti senti a tornare a suonare dal vivo dopo tutto questo tempo?

È stato terribile essere costretto a cancellare 3 volte di fila. Voglio davvero ringraziare tutti gli amici, colleghi e promoter in giro per l’Europa che sono stati fantastici nel lavorare con noi e i fan, onorando i biglietti che sono stati venduti all’inizio del 2020 o forse anche nel 2019. Gli eventi hanno ostacolato questo tour, forse perché è in primavera e non è un buon periodo dell’anno e stiamo continuando ad incontrare difficoltà, ma siamo davvero fiduciosi che ci saremo nel 2023. Ci siamo impegnati, l’abbiamo promesso e ci saremo. Ho parenti lì ovviamente, la famiglia di mia madre viene da Bari, mentre la famiglia di mio padre viene da Piacenza. Non andavano per forza d’accordo, sai tutta la questione nord/sud (ride, ndr), sono cresciuto come un bambino della guerra civile. Ma i miei genitori sono nati a New York e hanno iniziato il loro sogno americano per i genitori italiani. Ogni volta che torno in Italia è un grandioso ritorno a casa, posso vedere i miei parenti che vedo solo raramente, loro abitano nei dintorni di Milano ed è sempre divertente stare con loro. Non riusciamo mai a passare abbastanza tempo insieme, sono stato in grado di fare una vacanza in Italia solo una volta, il resto del tempo devo lavorare. Spero che questo possa cambiare nel corso degli anni: spendere più tempo lì in vacanza piuttosto che essere impegnato con le mie cose.

Hai avuto molti studenti illustri tra le tue fila negli anni, come Steve Vai, Kirk Hammett e molti altri. Quale caratteristica ti fa pensare: “Ok, questo ragazzo sarà un grandissimo chitarrista”?

Devono sapere cosa vogliono in primis, quello è davvero l’elemento chiave. Per ogni studente, anche se non sono professionisti. Per ottenere il massimo da ogni lezione devono sapere cosa vogliono perché c’è tantissimo da imparare e non ha senso imparare cose che in realtà non ti piacciono. Specialmente se impari solo per divertirti a casa, magari con gli amici. Potresti anche presentare al tuo insegnante i tuoi parametri o quello che vuoi raggiungere, questo rende molto più semplice all’insegnate ciò su cui si deve concentrare. Quando insegnavo avevo giovani chitarristi davvero talentuosi come Kirk Hammet o Alex Skolnick, Charlie Hunter e loro sapevano esattamente cosa volevano, sapevano chi gli piaceva, quali stili di musica non ascoltavano e non si disturbavano a imparare. Avevano una solida serie di domande da pormi tipo: “Joe insegnami questo, come lo faccio? Non ho capito questo…”, e quindi lo rende più divertente e veloce nel procedere con il lavoro. L’altra cosa che è veramente importante è ovviamente il talento. Se non hanno nessun tipo di talento musicale sarà molto difficile farli eccellere. Quindi quando incontro per la prima volta uno studente cerco di capire com’è il suo senso del ritmo e che tipo di orecchio ha. È estremamente importante. Ogni tanto mi stupisco perché incontro studenti che hanno ottime dita e un buon senso del ritmo, ma non sanno dirti se suonano nella scala o fuori da essa, se sono nella tonalità o meno. Pensavo che fosse umanamente impossibile che qualcuno potesse avere tutto quel talento musicale ma gli mancasse quella cosa. E a volte trovi musicisti che hanno un fantastico orecchio, davvero un’ottima intelligenza musicale, ma hanno delle mani molto lente e non potranno mai essere dei chitarristi solisti. Tuttavia potrebbero essere i migliori autori perché hanno un senso dell’armonia e dell’arrangiamento. Penso che la chiave quando sei insegnante sia spendere del tempo per investigare le qualità speciali che ogni studente ha, perché avranno sempre degli attributi particolari, ma saranno sempre in differenti combinazioni. Ognuno è diverso e devi arrivarci il prima possibile e assicurarti di non farli lavorare su qualcosa per la quale non saranno mai bravi, non ha senso, e lavora sulle cose su cui hanno maggiori possibilità di portare a compimento.

Che rimanga tra noi, chi dei tuoi allievi più famosi era il peggiore all’inizio?

Sai, tutti quelli che conosci sono tali perché non hanno mai fatto male, non sono mai stati i peggiori. Steve Vai era forse il più principiante, ma è diventato molto bravo molto in fretta, è stato davvero notevole. L’ho visto progredire molto più velocemente di quanto ho fatto io ed è stato davvero divertente perché tutto quello che gli insegnavo lo rifaceva riuscendo perfettamente la settimana successiva. Ma gli studenti con cui ho avuto più problemi erano quelli che arrivavano molto impazienti di essere famosi perché non c’è nulla che puoi farci come insegnante (ride, ndr). Non puoi controllare il futuro o il mercato musicale e non puoi far piacere un allievo alla gente, quello dipende solamente da lui. Ma molto spesso arrivavano ed erano molto frustrati e portare quella frustrazione nella mezz’ora o un’ora a disposizione per la lezione rende molto difficile insegnare a qualcuno che è arrabbiato per la sua mancanza di successo. Puoi provare a dire: “Rallenta, riprovalo, migliorerai”, ma nulla di tutto ciò funziona se sono agitati dal non essere delle rockstar. Quindi questi studenti durano poco e nessuno ha mai avuto successo per quello che posso raccontare. Quelli di cui conosci i nomi erano molto bravi a prendersi il loro tempo, credere in loro stessi ma sapere che dovevano fare il loro lavoro. È davvero iniziata facendo i compiti a casa e prepararsi per il meglio, e se fosse arrivata l’occasione dovevano farsi trovare pronti e lo erano.

Nella tua carriera hai lavorato con moltissimi grandi stelle e musicisti come i Deep Purple, Alice Cooper, Rolling Stones e moltissimi altri. Qual è la collaborazione che ti è piaciuta di più?

Tutte quante! Sono state tutte molto diverse. Non ho mai dovuto lavorare con persone che non mi piacessero – il che è molto buono – e ho imparato cose interessanti lungo il cammino. È davvero divertente perché le persone lo menzionano raramente, ma quando stavo cercando di finire l’album “Surfing With The Alien”, l’unico modo che avevo di pagare lo studio di registrazione era quello di prestarmi come session man per altri artisti che erano nello stesso edificio. Uno di questi era il progetto del produttore Sandy Pearlman che stava lavorando all’album dei Blue Öyster Cult “Imaginos”. Il disco ha una storia molto lunga, si estendeva per oltre 185-200 bobine di nastro, e stava cercando di riarrangiare alcune canzoni e metterle insieme ma la band non era lì a San Francisco. Così fece un accordo con me siccome stavo registrato nello stesso studio di registrazione che lui gestiva: se gli avessi dato 4 o 5 ore delle mie chitarre, lui mi avrebbe ripagato dello stesso tempo nello studio di registrazione gratuitamente più tardi quella settimana. Così l’ho fatto per qualche mese e mi ha aiutato a finire “Surfing With The Alien” e lungo la strada ho avuto l’occasione di osservare questo leggendario produttore lavorare in studio, è stato molto interessante. C’erano solo 3 di noi in sala e 3 al mattino, che aggiustavano le parti, e poi solo io che facevo gli accompagnamenti, nessun assolo, ne ho fatte un sacco. Erano essenzialmente per accoppiare parti di chitarra che Buck Dharma e gli altri ragazzi avevano registrato anni prima ma non erano mai state finite. Quindi è stato interessante guardare qualcuno che assemblava parti che sarebbero poi diventate un grande album e vedere come ragionava e processava il tutto. È stata una grande esperienza d’apprendimento.

Parlando invece dei G3, a proposito di collaborazioni, qual è stata secondo te la formazione migliore, quella con cui ti sei divertito di più a suonare?

Sono state davvero tutte molto interessanti. La ragione principale per cui ho iniziato il progetto era perché volevo provare l’esperienza di suonare accanto a chitarristi che reputo migliori di me in molti modi, quindi non solo sarebbe stato sfidante ed emozionante suonare con loro, ma ogni notte imparo qualcosa e divento un musicista migliore solo stando accanto a qualcuno che è davvero grande. Ed è andata sempre così, anche nei tour un po’ più difficili, forse per via delle nostre personalità, alla fine tutti ci siamo stretti la mano e ci siamo sentiti meglio per qualcosa che ci ha migliorati e ci siamo divertiti, e ovviamente i fan lo hanno amato. Ho un posto speciale nel mio cuore per il primissimo tour che abbiamo fatto con Steve Vai ed Eric Johnson. Prima di metterlo in piedi, abbiamo avuto molte resistenze e mi ci è voluto un anno per convincere Steve ed Eric a farlo e altrettanto tempo per convincere i promoter che era una buona idea. È una scommessa costosa per i promoter, avere tre headliner insieme in una sola sera, preferiscono dividerli in tre serate uno al mese. Ma una volta che abbiamo fatto il primissimo spettacolo in California nel 1996, tutti fecero: “Oh, ho capito, i fan lo adorano! Funzionerà”. Sì, il primo tour è stato davvero emozionante.

Ti sei sempre ispirato dalla letteratura sci-fi per comporre le tue opere musicali, c’è un argomento sul quale vuoi lavorare ma non hai mai avuto il tempo per farlo?

No, penso che se avessi un paio d’ore in più al giorno e un paio di giorni in più a settimana farei finalmente tutti i diversi dischi che vorrei fare. Sono molto fortunato, il 19esimo album “The Elephant Of Mars” arriva davvero in un momento grandioso della mia carriera, sembra davvero giusto e sono emozionato di suonare quelle canzoni dal vivo di fronte a un pubblico, è davvero una parte importante dell’intero processo creativo: la scrittura, la registrazione e finalmente portarlo live. Penso di aver coperto quasi tutti i soggetti, ma penso anche che per ogni soggetto puoi scrivere davvero 100 canzoni, quindi non finisce mai credo.

Ok, questa era la mia ultima domanda. Vorresti lasciare un messaggio ai nostri lettori e ai tuoi fan prima di salutarci?

Prima di tutto devo dirvi grazie per aver ascoltato la mia musica per tutti questi anni e spero che sarò in grado di suonare di fronte ai miei fan al più presto. Credo che tutti preghiamo per la stessa cosa, cioè che le cose migliorino sempre di più e che saremo in grado di festeggiare insieme la musica come eravamo abituati a fare.

Grazie mille Joe e in bocca al lupo per tutto!

Grazie, è stato bellissimo parlare con te oggi. A presto!

Comments are closed.