Sanguinosi e lugubri ceffoni prenatalizi per i cultori delle sonorità estreme.

Okkultist – O.M.E.N. (Alma Mater Records)

Dopo l’EP di debutto autoprodotto “Eye Of The Beholder”, gli Okkultist vennero notati da Fernando Ribeiro dei Moonspell, che li mise sotto contratto per la sua label Alma Mater Records e ne patrocinò il rilascio del primo album sulla lunga distanza, “Reinventing Evil” (2019). Sempre per la medesima etichetta, il commando portoghese pubblica ora un secondo LP, “O.M.E.N.” (acronimo di Omnis Malum Et Nocheo), intriso di un moderno death metal dalle leggere tonalità blackened, ma a cui non manca una buona dose di cattiveria vecchia maniera, con la fondatrice e frontwoman Beatriz Mariano che sibila e ruggisce come se avesse in corpo gigantesche quantità di veleno da spurgare. Riff à la Immolation e sezione ritmica poderosa costituiscono il motore del lavoro, eppure i lusitani sanno offrire agli avventori auricolari un piatto piuttosto policromo, spaziando da brani dal ritmo incalzante a mid-tempo assassini, senza trascurare, tra qualche impennata grindcore, una vena amaramente doomy. C’è n’è per tutti i gusti, dunque, per un album che non reinventa la ruota, ma riesce a centrare il bersaglio che intende colpire: gli amanti dell’estremo resteranno soddisfatti.

Tracce consigliate: “Reinventing Evil”, “Sniff The Blood”, “I Am The Beast”

Ritual Death – Ritual Death (Shadow Records)

Erosi dalla noia che gocciola dalle stamberghe subissate dal peso della neve, ma pieni delle rivelazioni eretiche reperibili soltanto nei circoli più desolati di Trondheim, il quartetto norvegese dei Ritual Death risponde barbarico al richiamo della Falce, confezionando un esordio omonimo di meravigliosa consistenza oscura. Archgoat, Beherit, Gorgoroth, Darkthrone, One Tail, One Head rappresentano i modelli principali seguiti dagli scandinavi, capaci di veicolare un black metal bestiale e repulsivo, coniato attraverso l’essenzialità ferale dell’hardcore punk, percorso da schegge thrash/death e pregno dell’esoterismo sonoro delle tastiere. Del resto, con membri che provengono da band particolarmente significative della scena nera locale ed europea (Behexen, Beyond Man, Darvaza, Dark Sonority, Fides Inversa, Funearl Harvest, Mare tra le altre), non potevamo aspettarci se non il meglio, quel meglio che tanto gli scorsi EP quanto gli split con 13th Moon e Aosoth avevano già parzialmente mostrato. Una mezzoretta di pure violenza e salace ipnotismo, in simpatica compagnia di Wraath, Lord Nathas, H. Tvedt e Nosophoros.

Tracce consigliate: “Ancient Devil Worship”, “Black Metal Terror”, “Morbid Veils Of Kharon”

Udånde – Slow Death – A Celebration Of Self-Hatred (Vendetta Records)

Udånde è il solo project di Rasmus Ejlersen, musicista danese già conosciuto per il suo apporto strumentale in sede live alle performance della one man band Afsky, creatura di proprietà del connazionale Ole Pedersen Luk. Il trentaquattrenne compositore di Store Heddinge, in questo “Slow Death – A Celebration Of Self-Hatred”, successore del buon debutto “Life Of A Purist” (2021), affronta un percorso tematico votato all’oscurità più profonda, raccontando una storia autobiografica piena di malessere, disturbi d’ansia e psicofarmaci. Tuttavia, per quanto titolo e contenuto del nuovo album possano apparire a dir poco angosciosi, l’entità scandinava di stanza a Bratislava ha scelto di allontanarsi dal depressive black dell’esordio, preferendo diffondere un mix di death e metallo nero, con alcuni momenti doomy entro i quali vengono spesso convogliate rabbia e aggressività. Un lavoro, dunque, dal colore molto diverso rispetto alla sublime e commovente freddezza nordica del predecessore, a cui contribuiscono, in maniera decisiva, il latrato uterino del mastermind, auto-sostituitosi al vecchio cantante Lars Johansson, e il batterista Martin Barla, drummer di provenienza heavy, rimpiazzo del batterista Miroslav Raučina e capace di dare ritmo e sostanza ai brani. Nero profumo di indipendenza dagli originali.

Tracce consigliate: “I’m Not A Pessimist, I’m A Realist”, “I Mean, Who Am I To Blackout?”, “Remember Not To Praise The False King”

Veilburner – VLBRNR (Trascending Obscurity Records)

I Veilburner vengono da sempre considerati una band eccentrica, scatenando, un po’ sulla scia dei compatrioti Imperial Triumphant e Phyrron, le solite diatribe tra chi li ritiene estremamente avvincenti e chi ne deplora l’onanistico sperimentalismo. I loro due ultimi LP, “A Sire To The Ghouls Of Lunacy”(2018) e “Lurkers In The Capsule Of Skull” (2021), esempi di selvaggio e dissonante black/death non immune da contatti con l’industrial e con certo avantgarde euroamericano, suonavano come una bomba nucleare in miniatura vagabonda all’interno di un flipper. Ebbene, il nuovo “VLBRNR”, un titolo obiettivamente poco ingegnoso al confronto della musica contenuta nell’album, conferma le medesime linee di scrittura dei più recenti predecessori, benché il vocalist Chrisom Infernium e il polistrumentista Mephisto Deleterio, unici membri della line-up, riescano a raggiungere un migliore centro di gravità permanente rispetto al consueto. Una produzione volutamente artificiale suggerisce la sensazione che il tutto sia stato creato in un laboratorio alieno ubicato al di sotto della crosta terrestre, ove anche il folk e il theremin possono beneficiare di un lungo permesso di soggiorno. Dalla Pennsylvania con gusto e bizzarria.

Tracce consigliate: “VI (Vulgar Incantations)”, “Envexomous Hex”, “Unorthodoxagon”

Written In Blood – Written In Blood (Trollzorn Records)

Dal 1997 al 2004, Bert Hoving ha suonato il basso nei God Dethroned, partecipando attivamente a quattro album della compagine dei Paesi Bassi, da “The Grand Grimoire” a “Into The Lungs Of Hell”. Dopo numerosi collaborazioni con diversi musicisti, mai divenuti progetti di ampio respiro, Beef ha deciso, nel 2019, di dar vita a una nuova band, i Written In Blood, prendendosi l’onere e l’onore del microfono, oltre a imbracciare le care e vecchie quattro corde. Supportati dall’etichetta tedesca Trollzorn Records, il quartetto orange, sul filo di lana di questo 2022, arriva all’esordio omonimo sulla lunga distanza eludendo la solita trafila di demo, split ed EP, come accade spesso quando si tratta di una prima discografica assoluta. Un lavoro privo di fronzoli, che veicola un death metal di stampo svedese, non connesso alla scena di Göteborg, bensì vicino ai Dismember e agli Unleashed colti nei loro momenti più melodici, coerente dall’inizio alla fine nel suo saper essere classico senza, per questo, suonare integralista e ammuffito. Le chitarre del duo Jeffrey Zwart/Marcel Heutink e i ringhi del singer rappresentano la forza trainante di un gruppo che, pur saltando spudoratamente sul treno del revival dell’old school, ha un’identità ben definita, protagonista di un platter incisivo e cattivo il giusto. E che copertina!

Tracce consigliate: “Germanic”, “Ghouls Of The Forest”, “Witte Wieven”

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