RECENSIONITRACK BY TRACK

Måneskin – “RUSH!”

A cura di Alice Bagli e Simone Zangarelli

C’è mai stato un fenomeno musicale come quello dei Måneskin prima? Iniziato in sordina a casa nostra ed esploso oltre i confini europei nel giro di pochi mesi tra la vittoria del Festival di Sanremo e, successivamente quella dell’Eurovision. C’è mai stato un gruppo italiano che abbia aperto un concerto dei The Rolling Stones, duettato con Iggy Pop e con Tom Morello, che abbia intrapreso un tour sold out negli States e, in ultima istanza, abbia ricevuto una nomination ai Grammy Awards? E tutto questo mentre da ogni parte arrivano detrattori a dire che non sono abbastanza adulti per il rock, ma troppo cresciuti per fare pop, talvolta derisi per i loro atteggiamenti sopra le righe, vip persino tra i vip, al punto che persino Miley Cyrus e i RHCP vogliono apparire nei loro scatti. Tanti, troppi ancora coloro che sostengono che i loro “quindici minuti di celebrità” stiano per terminare, ma qualcosa lascia presupporre il contrario. Con il nuovo “RUSH!” (primo album dopo il cambio di management e il successo internazionale) il quartetto romano fa all-in e cerca di auto consacrarsi icona pop-rock della generazione Z, dando voce a coloro che nello stile dei loro genitori ricercano la trasgressione dei loro tempi, aggiungendo al rock da liceali il trucco, androginia, promiscuità, costumi che non lasciano nulla all’immaginazione, bellezza, talento e una montagna di irriverenza. Uscito il 20 gennaio per Epic Records, “RUSH!” porta nel titolo la sintesi di tutta la sua essenza: è lungo, ma passa via in un attimo, senza lasciare molto all’ascoltatore se non la sua stessa leggerezza autoconsapevole. 

OWN MY MIND: ottima apertura con una potente rock song dalla struttura interessante. Il riff è orecchiabile anche se qualcosa sembra già sentito. Una delle tracce migliori del disco soprattutto se pensata in ottica live. 

GOSSIP (feat. Tom Morello): un tonfo al cuore quando è stata annunciata la collaborazione. Tanta delusione nel sentire che uno dei più innovativi chitarristi del ventennio scorso sia così poco a fuoco in questa traccia che non lascia granché se non un groove abbastanza stantio. Il testo è un cumulo di cliché sulla perdizione losangelina fatta per aggredire il mercato d’oltreoceano. Se avessimo chiesto a una IA di creare una canzone in stile Måneskin il risultato non sarebbe stato troppo diverso da questo.

TIMEZONE: una power ballad sulla distanza fisica che a volte separa le persone ma non i cuori. Qui la voce di Damiano assume tinte un vagamente black soprattutto nella strofa. Nel complesso è il pezzo più classicamente pop del disco, somigliante ad alcune obbrobriose “hit” statunitensi che hanno popolato le radio nell’ultimo anno. La canzone tuttavia è suonata bene e cantata con l’intenzione giusta.

BLA BLA BLA: sull’interpretazione Damiano trova il suo primo vero ostacolo che il talento vocale non riesce a superare. Carina l’idea di una canzone che riprende la lezione dei The Stooges di rock istrionico, ma sembra che il frontman non sappia come approcciarla al meglio. Il risultato è legnoso e poco credibile.

BABY SAID: il pop-rock che riesce meglio alla band, che fonde voce e riff in un’amalgama catchy e sbarazzina. Decisamente uno dei ritornelli più forti del disco, dove il fascino sta tutto nell’eccitazione, nella passione e nella sessualità non filtrata che riescono a suscitare. 

GASOLINE: Accolto da una fragile linea di basso, Damiano canta di un personaggio che ha le mani sporche di sangue. La drammaticità nel testo e nella musica apre a una dimensione cinematica per una storia che sembra quella di Davide e Golia, con sprazzi di rivoluzione dappertutto. Si tratta del pezzo meno orecchiabile ma in un certo senso quello più diverso e interessante per potenzialità dell’intero lotto.

FEEL: “Cocaine is on the table” sembra lanciare una frecciatina alla stupida querelle dell’Eurovision e al contempo strizza l’occhio a un mondo fatto di sesso, droga e rock n’ roll. Anche qui siamo nel campo del del pop chitarristico, una patina di garage rock che vuole rievocare i White Stripes. Una canzone semplice e ben riuscita grazie agli incastri ritmici di un titanico Ethan Torchio che si sobbarca gran parte della riuscita del pezzo.

DON’T WANNA SLEEP: un riff che richiama la “Sweet Dreams” rifatta da Marilyn Manson costituisce il perno principale di questa esuberante rock song perfettamente suonata. 

KOOL KIDS: forse il vero passo falso del disco è questo non necessario rifacimento alla musica degli IDLES, con tanto di scimmiottatura abbastanza fuori luogo di accento inglese (“mate”). C’è tanta imitazione e poca rielaborazione verso uno stile che non appartiene loro e che, per caratteristiche dei musicisti, può solo essere rifatto uguale o peggio. Forse la strada per un sound davvero distintivo non passa per chi il proprio sound lo ha già trovato. Tuttavia “I’m addicted to rock n’ roll” rimane forse una delle migliori frasi del disco.

IF NOT FOR YOU: In mezzo a un turbinio di antichi tòpos del rock ‘n roll, I Måneskin trovano uno spazio per la grande canzone d’amore. Ci sono le lyrics drammatiche, ci sono le influenze del rock all’italiana, ci sono persino gli archi nell’ultima sezione del brano: dire “sanremese” potrebbe essere un azzardo — oppure l’eufemismo del secolo, chissà.

READ YOUR DIARY: Si riparte in quarta con un altro inno pop-rock. Groovy quanto basta, danzereccio senza essere banale, con una buona bassline a condire il tutto: in radio si potrebbe ambientare senza sfigurare. Lo zampino di Max Martin è più che evidente nella progressione melodica del ritornello che ricorda quella di “If You Seek Amy” di Britney Spears, alla quale i Nostri non hanno mai nascosto di essersi ispirati.

MARK CHAPMAN: La prima delle sole tre tracce in italiano del disco sembra portarci a uno strano mashup fra Teatro d’Ira e le primissime cover. Tra testi e ritmica serrata (che ricorda vagamente la loro versione di Vengo dalla luna — Caparezza, del resto, è un’influenza conclamata), la voce di Damiano nella sua lingua natìa aggiunge un quid in più; la strumentale è energica e l’headbanging assicurato. 

LA FINE: Meno degna di nota a livello musicale, offre tuttavia una riflessione interessante a livello testuale: “Sappi che non è l’inizio, è la fine/Anche la rosa più bella ha le spine/Forse l’unica risposta è partire/O restare a marcire” sentenzia Damiano. Che sia un riferimento al percorso musicale della band? Ai posteri l’ardua sentenza.

IL DONO DELLA VITA: La trilogia madrelingua dell’album si conclude con un brano dalle atmosfere fortemente nostalgiche nonché, a onor del vero, derivative: la chitarra di Thomas Raggi – soprattutto nella outro – sembra presa pedissequamente dai Red Hot Chili Peppers più hendrixiani.

MAMMAMIA: Il primo singolo post-Eurovision e successo planetario non è invecchiato benissimo: se già al momento dell’uscita era un palese tentativo di emulare I Wanna Be Your Slave – con un pizzico di “locura” stereotipicamente italiana per far contenti i fan all’estero – all’interno di un disco che scimmiotta il post-punk e parla di problemi di erezione passa (quasi) in secondo piano.

SUPERMODEL: Rilasciata quasi un anno fa, la penultima traccia di Rush! – un pop radiofonico, sebbene piuttosto generico – vede i quattro alle prese con gioie e dolori dello showbiz hollywoodiano, il tutto raccontato attraverso la parabola di una modella degli anni ’90 (“If you wanna love her, just deal with that/She’ll never love you more than money and cigarettes/Every night’s a heartbreak”).

THE LONLIEST: In coda al disco, vi è una ballad che riprende gli stilemi di altre hit del passato (Torna a casa, Vent’anni), ma in chiave anglofona – e forse, musicalmente, un po’ meno ispirata. O più probabilmente, a essere meno ispirata è la tracklist: chiudere un album così lungo con una serie di tracce uscite da molto tempo potrebbe, in effetti, appesantirne la fruizione. 

Il risultato è quello di un disco compatto nel sound, con alti e bassi, e se l’orecchiabilità è un reato, allora, vostro onore, siamo colpevoli di aver ballato su molte delle tracce. “Rush” è puro intrattenimento, performativo, pensato per essere ascoltato live, inserito nei TikTok, suonato alle feste dei teenager. Chi si aspettava l’album della maturità rimarrà deluso, la sensazione è piuttosto quella di un ulteriore momento di passaggio in una carriera che corre più veloce delle mode. C’è poca arte ma tanto mestiere. Le tracce sono ben suonate, ben prodotte e ben scritte da alcuni dei migliori autori del pianeta (uno su tutti Max Martin) e dunque il risultato non può che essere pregevole. Tutto si può comprare. Anche una bella canzone.

Bello il richiamo agli anni ‘70, il glam rock, i costumi firmati Gucci, gli strumenti spaccati sul palco, ma senza pezzi davvero memorabili, la domanda che ad oggi molti sembrano porsi è: “Per quanto potranno andare avanti?”. Se da un lato è vero che l’autenticità nello stile è ancora una chimera sfuggevole per i Måneskin, dall’altro è pur vero che esiste una certa reticenza (e spesso e volentieri presunzione) da parte dei cultori e dei musicofili nell’accettare che, sovente, la musica del ventunesimo secolo possa essere anche solo un prodotto pensato per le masse. Per ora Damiano, Victoria, Thomas e Ethan non sembrano preoccuparsene e tirano dritto per la loro strada. Il tempo è tutto dalla loro parte, e sembra che quei famosi “quindici minuti di celebrità” per loro siano appena iniziati.

Tracklist

OWN MY MIND
GOSSIP feat. Tom Morello
TIMEZONE
BLA BLA BLA
BABY SAID
GASOLINE
FEEL
DON’T WANNA SLEEP
KOOL KIDS
IF NOT FOR YOU
READ YOUR DIARY
MARK CHAPMAN
LA FINE
IL DONO DELLA VITA
MAMMAMIA
SUPERMODEL
THE LONLIEST

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