La stagione dei festival è quel momento in cui, nell’arco di pochi giorni, è possibile assistere ad un enorme numero di concerti, sia di band di primissimo livello che di altre un po’ più di nicchia. Nel corso del tempo, l’Hellfest è stato uno dei pochissimi open air a riuscire a proporre una formula capace di accontentare i palati più diversi, allestendo palchi più mainstream ed altri destinati all’estremo, senza mai dimenticarsi della sua prima vocazione: l’hardcore punk.

Siamo da poco reduci dall’edizione 2023 dell’evento francese (cliccate qui per recuperare il nostro live report) e, nei quattro giorni festival, si sono alternati ottimi show, performance memorabili ed altre, invece, un decisamente sottotono. Nelle righe che seguono, daremo un breve giudizio sulle alcune delle esibizioni dell’Hellfest 2023 a cui abbiamo assistito, segnalando i migliori concerti e quelli che, secondo noi, non hanno lasciato il segno.

KATATONIA: Voto 7.5 – Gli svedesi raramente sbagliano un colpo e, dopo averci incuriosito con l’ultimo “Sky Void of Stars”, non potevamo perderci il loro concerto. Il quintetto ci ripaga con melodie affascinanti e malinconiche che, complici un palco più piccolo ed una notte già fonda, rendono il loro show ancora più intimo e trascendente, rendendo religiosamente silente il pubblico. SPAZIALI.

HOLLYWOOD VAMPIRES: Voto 6.5 – Quando si parla dei supergruppi, spesso si parla di operazioni commerciali nate per attirare la luce dei riflettori e poco altro. Due mostri sacri come Alice Cooper e Joe Perry, unitamente a Johnny Depp, sono dei veri e propri monumenti di classe, stile e mestiere… ancora una volta calati in un repertorio composto prevalentemente da cover, eseguite con qualità altalenante, soprattutto quando l’ “uomo dai mille volti” va dietro al microfono. Il fascino degli Hollywood Vampires è facilmente comprensibile ma, dopo dieci anni di attività e due dischi, ci saremmo aspettati qualcosa in più. AMARO IN BOCCA.

KISS: Voto 8 – Ogni bella storia ha la sua fine, ma sta al protagonista renderla lieta o meno. I Kiss tutto questo lo sanno benissimo e, per celebrare il loro tour di addio, danno fuoco alle polveri, mettendo in piedi uno show dove non si bada a spese in termini di luci, fuochi d’artificio, effetti speciali e, ovviamente, musica. Nonostante gli anni migliori siano alle spalle, Stanley, Simmons e soci sanno di che cosa è alla ricerca il loro pubblico. Risultato finale? Una performance maiuscola, senza sbavature degne di nota e capace di imprimersi nella mente dello spettatore, ad imperitura memoria di uno dei pilastri della musica rock. DEI DEL TUONO.

DEF LEPPARD: Voto 8.5 – Sono a supporto di una band che dovrebbe (?) essere al suo addio, ma i Def Leppard non vogliono proprio saperne di appendere gli strumenti al chiodo, e sfoggiano un concerto che sembra sfidare le leggi del tempo e dello spazio. Joe Elliot, nonostante un’età non più verdissima, è in forma sia vocalmente che fisicamente, il duo Collen / Campbell è incontenibile, così come incontenibili sono il sorriso e la classe di Rick Allen. Aggiungete a tutto questo una scaletta che pesca a piene mani dal meglio della discografia della band inglese, e capirete perché il mondo non sia ancora pronto per il loro addio. CLONAZIONE IMMEDIATA.

MACHINE GUN KELLY: Voto 5 – L’artista statunitense, inutile girarci troppo attorno, era uno degli oggetti misteriosi dell’Hellfest 2023, e l’inizio del suo show non riesce a far ricredere gli scettici. Dopo un inizio a base di ottimo pop rock e pop punk, l’americano rispolvera il suo passato da rapper/trapper; il pubblico non sembra gradire e MGK, con il suo atteggiamento da rock star, non fa molto per migliorare la situazione che, al termine della scaletta, (de)genera in delle bordate di fischi di rara intensità e in cui, a memoria d’uomo, mai ci siamo imbattuti nel festival francese. Poteva andare meglio, ma tant’è. RIMANDATO A SETTEMBRE.

SUM 41: Voto 8 – Direttamente dall’adolescenza di ognuno di noi, quella segnata dal punk rock più divertente e scanzonato, i Sum 41 infiammano un palco con un performance adrenalinica, tutta pogo e classici, ricordandoci quanto il punk, come musica e attitudine, non sia mai veramente morto. NOSTALGIA CANAGLIA.

MOTLEY CRUE: Voto 5 – In molti aspettavano al varco i Saints of Los Angeles, non solo per assistere ad uno degli ultimi show della loro carriera, ma per capire se tutte le voci sul loro stato di forma fossero veritiere o meno. Il tempo di iniziare le danze e tutto è più chiaro: Tommy Lee, Nikki Sixx e John 5 riescono a performare in maniera ottima, mentre per Vince Neil il discorso è completamente diverso. Il frontman sembra non averne più, avendo difficoltà su diversi pezzi della scaletta e facendosi aiutare in vari modi, più o meno evidenti. Nonostante una scaletta dai grandi classici, l’idea è quella di trovarsi davanti ad una band a fine carriera che, nonostante un carisma ancora integro, accusa tutto lo scorrere del tempo. SIPARIO.

RIVERSIDE: Voto 7 – Il Main Stage “parla” prog rock, ed i Riverside non se lo fanno ripetere due volte, sfoderando uno show a base di melodie sognanti e poliritmie. Nonostante i nomi che seguiranno siano mostruosi, i polacchi non sono di certo gli ultimi arrivati e si fanno valere con la forza della loro musica, riuscendo a non sfigurare e ad attirare l’attenzione di un pubblico già numeroso. VOLENTEROSI.

BEAST IN BLACK / POWERWOLF: Voto 7.5 – Se il prog “spara”, il power si “incazza” e risponde in tutta la sua potenza. Si, lo sappiamo, abbiamo riunito due band nel medesimo voto, ma entrambe le performance sprigionavano energia, carisma e quelle smargiassate che tanto ci piacciono. Riff serrati, atmosfere auliche, bassi profondi, acuti taglienti, assoli al fulmicotone: i due gruppi non si risparmiano su nessuno di questi punti, andando ad un passo dal mettere al tappeto il pubblico presente per K.O. tecnico. LIBIDINE.

PUSCIFER: Voto 8 – Il confine tra genio e follia, volendo parafrasare le parole di un grande del nostro tempo, è quella sottile linea che divide l’emisfero destro dall’emisfero sinistro del cervello di Maynard Keenan. I Puscifer, come ognuna delle sue creature, rappresentano come meglio non si potrebbe alcune delle sfaccettature dell’istrionico cantante, capace di allestire uno show fatto di sperimentazione ed umorismo, mettendo in mostra tutto il talento dei suoi agenti segreti travestiti da musicisti e sconvolgendo un pubblico che non aspettava altro. OGGETTO VOLANTE NON IDENTIFICATO.

PORCUPINE TREE: Voto 8.5 – Steven Wilson e soci erano attesi come pochi altri artisti, ed il boato che accoglie il quintetto sul palco ne è la prova più lampante. I Porcupine Tree sanno di essere mancati al loro pubblico e, per questo, si fanno perdonare con una scaletta che lascia tutti a bocca aperta, anche (e soprattutto) quegli scettici che credevano morta e sepolta la band. Melodie capaci di sciogliere il più duro dei cuori, armonie che mandano in solluchero l’ascoltatore più esigente e, soprattutto, la classe di cinque musicisti che, per motivi diversi, rappresentano l’eccellenza nei loro rispettivi campi. È veramente possibile desiderare qualcosa di più? DOPPIA LIBIDINE.

IRON MAIDEN: Voto 8 – Ma come? Date solo 8 ad un concerto dei Maiden? Prima di saltarci alla giugulare, lasciateci spiegare le nostre ragioni: la band inglese è e rimane su un livello di eccellenza assoluta, e lo show dell’Hellfest ne è l’ennesima prova. Tuttavia, l’età ha iniziato a far sentire qualche scricchiolio. Se anche la grande Muraglia Cinese ha dovuto arrendersi, non possiamo di certo pretendere che gli Iron Maiden possano sconfiggere del tutto lo scorrere del tempo. Si tratta, va da sé, di piccolezze che non hanno inciso più di tanto sulla performance complessiva, ma che ci fanno capire quanto i nostri idoli siano non solo leggende viventi ma, soprattutto, esseri umani. COLONNE PORTANTI.

CARPENTER BRUT: Voto 9 – Sappiamo che questo voto potrebbe costarci i vostri improperi, ma anche qui dobbiamo essere onesti con noi stessi e riconoscere che Frank Hueso e compagni hanno messo in piedi lo show più devastante della terza giornata di festival. Poche note ben piazzate ed il pubblico è già coinvolto nel più violento dei balli: il moshing. Ognuno dei presenti sembra conoscere a memoria persino le melodie dei pezzi in scaletta, cantandole a squarciagola e lasciandosi trascinare dalle melodie oscure, dalle luci al neon e dalle immagini ipnotiche che scorrono sul ledwall. Il massacro finale di “Maniac” è il colpo di grazia ad un pubblico che si, ora può andare a riposare con qualche costola rotta, ma con il sorriso stampato sulle labbra. LIBIDINE COI FIOCCHI.

ELECTRIC CALLBOY: Voto 8.5 – State cercando un po’ di baldoria? Perché i ragazzi della Vestfalia sono qui con un solo scopo: far iniziare la festa. Il (Tekkno)Treno fischia e tutti, ma proprio tutti, iniziano a darci dentro come se il mondo finisse domani; la band non risparmia nessuno dei suoi classici, scatenando pogo e wall of death con disarmante naturalezza, elargendo basi elettroniche, coriandoli e ritornelli che più catchy non si può. Speriamo in un prossimo party a breve, perché già sentiamo la mancanza di questa tamarraggine di grandissimo gusto. SCATENATI.

VEKTOR: Voto 8 – Se non avete mai sentito parlare di questa band prima d’ora, andate subito su YouTube/Spotify, fatevi un rapido ripasso e chiedetevi dove abbiate vissuto per tutti questi anni. Scherzi a parte, i Vektor riescono finalmente a buttarsi alle spalle un periodo decisamente problematico e fanno parlare la loro musica, fatta di riff e tecnicismi che non temono paragoni con i mostri sacri del genere. Il set è breve ma intenso, capace di restituire solo una parte della qualità di un gruppo che ha raccolto molto meno di quanto ha seminato (per colpe non totalmente sue) e che ora, finalmente, può avere l’occasione di sedersi al tavolo dei grandi. LUCE IN FONDO AL TUNNEL.

CRISIX: Voto 7 – Se l’occasione della vita si presenta all’improvviso, si ha il dovere di coglierla o, quantomeno, di provarci. Mettere una toppa sull’improvvisa defezione degli Incubus, per la band spagnola, poteva essere un “Dramatic Turn of Events”, ma i ragazzi di Igualada, come ogni buon thrasher che si rispetti, hanno dato fuoco a tutta la benzina nel serbatoio e, pur se evidentemente emozionati, hanno portato a casa un risultato tanto inatteso quanto meritato. CUORE OLTRE L’OSTACOLO.

PANTERA: Voto 8 – Il nuovo corso di Phil e soci può causare reazioni molto contrastanti, ma di certo non l’indifferenza. Non si poteva non assistere allo show dei Pantera, quantomeno per ascoltare (o riascoltare, se avete qualche capello bianco in testa) alcuni dei pezzi che hanno fatto la storia del genere che noi tutti amiamo. Bastano poche note per dissipare ogni scetticismo, restituendoci una band in un buono stato di forma e capace di rendere giustizia a tutti i classici eseguiti. Niente è nessuno potrà ridarci Vinnie e Dime ma, per una volta, silenziamo le lamentele e lasciamo parlare la musica che, è bene ricordarlo, sopravvive sempre ai suoi autori. ODI ET AMO.

SLIPKNOT: Voto 9 – Far calare il sipario sull’Hellfest 2023 è un lavoro duro, ma qualcuno deve pur farlo e, stavolta, tocca agli Slipknot il non facile compito di chiudere un festival nel migliore dei modi. I cambi di formazione e le defezioni dell’ultimo minuto non sembrano aver intaccato minimamente la carica della band di Des Moines, Iowa, che calca le assi facendo quello che sa fare meglio: distruggere e devastare, senza fare prigionieri. Ognuno mette in mostra la sua classe, con un Corey Taylor in stato di grazia che sembra avere in mano il suo pubblico, come solo i grandi frontman sanno fare. Tutto fila liscio fino al congedo finale, che ci restituisce un gruppo solido come il granito e consapevole più che mai della sua forza. MACCHINE DA GUERRA.

Comments are closed.