Non è semplice ripresentarsi sul palco insieme dopo 12 anni di pausa. Non è semplice ritrovare l’alchimia dopo tutto questo tempo, quel quid che rende una band un tutt’uno e non solo un insieme di musicisti che si esibiscono contemporaneamente sul palco. Non è semplice per nessuno, figurarsi per una band di culto, che negli anni si è ritagliata una nicchia di fedeli e che ha pubblicato almeno tre capolavori che possono essere considerati tra le massime espressioni del prog metal. Probabilmente i Porcupine Tree questa magia non l’hanno mai persa e, se bastano solo pochi secondi dopo l’intro di “Blackest Eyes” per spazzare via ogni tipo di dubbio sulla capacità di tenere ancora egregiamente il palco, è più difficile per il pubblico presente al Forum di Assago arrivare a scandagliare le sensazioni provate alla fine delle tre ore di esibizione.

Dopo un anno a contare i giorni – tanto è passato dall’incredibile annuncio della reunion della band, pur senza il bassista Colin Edwin –, finalmente il pubblico italiano ha potuto riabbracciare i Porcupine Tree, in una location da grandi occasioni, sicuramente per una band che non si è mai troppo esposta nel panorama mainstream, riuscendo comunque a lasciare un segno indelebile. Steven Wilson, Richard Barbieri e Gavin Harrison si presentano in tour in grande stile dopo aver dato alle stampe “Closure / Continuation”, buonissimo ritorno discografico che ha subito eclissato i dubbi circa la genuinità dell’operazione e, dopo le prime date europee a Vienna e Berlino, tocca a Milano accogliere in Italia il trio d’Albione, per l’occasione accompagnato da Nate Navarro al basso e Randy McStine alla seconda chitarra.

I posti ancora vuoti all’interno del Forum si possono forse contare sulle dita di una mano quando alle 20:30 in punto si spengono le luci e la band viene accolta sul palco da un pubblico in delirio: è tutto vero, i Porcupine Tree sono tornati. La temperatura è già bollente quando, dopo la opener “Blackest Eyes”, Wilson esorta il pubblico del parterre, comodamente rilassato su una schiera di sedie, ad alzarsi in piedi per godersi al meglio lo show e i fan non se lo lasciano certo ripetere due volte. A battezzare la prima sezione dedicata all’ultimo lavoro è la martellante linea di basso di “Harridan” e ci rendiamo immediatamente conto che la serata seguirà un continuo intreccio tra vecchio e nuovo e che i brani di “Closure / Continuation” si inseriscono perfettamente all’interno della scaletta, acquistano vigore e non sfigurano di fianco alla serie di perle immortali che la band mette in fila. La nostalgia di “Of The New Day” lascia spazio ai cattivissimi riff di “Rats Return”, prima che pezzi storici come “Even Less”, “Drown With Me”, “The Sound Of Muzak” e “Last Chanche To Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled” vengano riversati sulla folla adorante con potenza e una precisione chirurgica.

La prima sezione dello show viene conclusa dalla magnifica “Chimera’s Wreck” e durante la pausa abbiamo il tempo di provare a riflettere su quello a cui stiamo assistendo. La band non si limita a suonare bene – come se poi musicisti del genere potessero suonare male o sbagliare anche solo una nota… – ma propone uno show dall’impatto tecnico ed emotivo devastante. Sarebbe facile, con un simile bagaglio tecnico e una lista pressochè infinita di pezzi da novanta, cadere nell’errore di risultare freddi e distaccati sul palco, ma il coinvolgimento e l’emotività che scaturisce dai Porcupine Tree è quasi disarmante. La consueta ironia di Wilson, che ride e scherza con i presenti, accompagna tutto lo show e, oltre ai magici tappeti sonori tessuti da Barbieri e dall’ennesima esibizione con i fiocchi del mago delle pelli Harrison, anche i due turnisti si integrano benissimo al resto della band.

La seconda parte dello show è una cavalcata che parte dalla nervosa “Fear Of A Blank Planet” e alternando ancora vecchio e nuovo (tra le suggestioni elettroniche di “Walk The Plank”, la melodia di “Sentimental” e la furia di “Herd Culling”), lo show ha probabilmente il suo apice nell’esecuzione della mastodontica “Anesthetize”, che può essere semplicemente definita la Bibbia dei Porcupine Tree e probabilmente di tutto il prog metal made in UK. Non c’è un secondo di pausa perché, dopo una fantastica “Sleep Together”, la band viene richiamata a gran voce sul palco dal pubblico, al quale viene regalata l’emozionante performance di “Collapse The Light Into Earth”, prima che “Halo” e “Trains” mettano fine ad un’esibizione lunga quanto piacevole e coinvolgente.

Se qualcuno se lo stesse ancora domandando, la risposta ora pare più chiara che mai: sì, avevamo bisogno del ritorno dei Porcupine Tree. Ne aveva bisogno chi era tra le poche centinaia di persone che li seguiva ad ogni occasione quasi 30 anni fa, quando la band muoveva i primi passi nell’intricato panorama musicale internazionale, come ne aveva bisogno chi in quel periodo era solo un bambino (o addirittura non era neanche nato) e ha potuto conoscere la magia solo negli ultimi anni. Ed è proprio questo quello che fa sorridere: nonostante il lungo periodo di inattività, il Verbo dei Porcupine Tree ha continuato a spargersi sempre più a fondo, permettendo agli inglesi di suonare, nel 2022, davanti ad un pubblico mai sperimentato nel glorioso passato, un pubblico numeroso, eterogeneo e di ogni età, trasversale e universale come la musica suonata negli anni. E alla fine di questa serata, che fosse per noi la prima volta o la decima a godere di un’esibizione totale, solo una cosa è certa: dopo tutto questo tempo ad attendere, non poteva esserci regalo migliore.

Setlist

Blackest Eyes
Harridan
Of the New Day
Rats Return
Even Less
Drown With Me
Dignity
The Sound of Muzak
Last Chance to Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled
Chimera’s Wreck
Fear of a Blank Planet
Buying New Soul
Walk the Plank
Sentimental
Herd Culling
Anesthetize
Sleep Together
Collapse The Light Into Earth
Halo
Trains

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