Frontiers Rock Festival II
12/04/15 - Live Club, Trezzo Sull'Adda


Articolo a cura di Luca Ciuti
Un successo nonostante tutto. Due giorni, quattordici bands, svariate centinaia di presenze per giorno, tonnellate di CD venduti sotto i nostri occhi, quasi una roba d'altri tempi. Si tirano le somme della seconda edizione del Frontiers Rock Festival e in tempi come questi sono numeri di tutto rispetto. Sopratutto per i CD: lo stand dell’etichetta nostrana, regina indiscussa del rock melodico targato eighties,ha deliziato il pubblico con un catalogo a prezzi decisamente popolari (dai 5 ai 12 euro, incluse le deluxe edition), perché una rassegna come questa ha fra i suoi obbiettivi anche quello di saper coccolare un pubblico che per due giorni vuole sentirsi a casa propria: la simbiosi fra artisti, fans e addetti ai lavori è un altro elemento che rende il piccolo Frontiers Rock Festival più europeo di tante rassegne altisonanti. Capita di vedere Jim Peterik servire la pizza al bar dell’area esterna, o di incrociare Ted Poley che dispensa sorrisi e pose plastiche fra pubblico e stand, insomma, non c’è alcuna concessione al divismo anche se gli anni ’80 sono il periodo di riferimento. La Frontiers porta dunque a casa un risultato positivo contro i pronostici di certi "gufi" che vedevano un cartellone sulla carta meno appetitoso rispetto alla prima edizione. Al di là delle preferenze di genere, il Frontiers è un festival che in Italia non ha eguali almeno in termini qualitativi: location di prim’ordine impeccabilmente attrezzata con un’ampia area relax esterna, gli immancabili stand (fra cui anche il nostro), pubblico appassionato ma rilassato, vuoi anche per motivi anagrafici, preparato e desideroso di godersi la musica in un’atmosfera rilassata. Ancora una volta si è dovuto dire grazie a quella parte di pubblico (circa la metà) proveniente da oltreconfine: tedeschi e svizzeri, ma anche francesi e persino statunitensi, segno inequivocabile di quanta strada debba fare ancora il Belpaese per dare il giusto spazio a generi di nicchia o comunque diversi da tutto ciò che è nazionalpopolare.
 
Come ogni festival che si rispetti, non sono mancati né i buoni nè i cattivi: negli highlights del primo giorno finiscono dritti il debutto in terra italica degli inglesi FM (tanta classe ma anche qualche ombra, arrangiamenti sofisticati e pezzi rallentati, gli anni si fanno sentire per tutti…) e gli inossidabili Praying Mantis dei fratelli Troy, punto di incontro fra NWOBHM e hard melodico (indiscrezione raccolta sul campo: sintonizzatevi su un “vero” festival tedesco per il 2016, a breve ci saranno news interessanti…). Il Frontiers è stata anche l’occasione di riscatto per Doug Aldritch: mentre il suo ex datore di lavoro David Coverdale gioca a tributare se stesso, il fuoriuscito chitarrista rispolvera a il suo progetto solista Burning Rain con una performance incredibile, seconda solo a quella dei canadesi Harem Scarem. Non potevamo tralasciare quella che pare essere la band del momento a giudicare dai consensi raccolti: gli svedesi Eclipse si confermano ottimi musicisti in studio e anche dal vivo, offrendo uno spettacolo all'altezza, mentre un capitolo a parte va aperto invece su Joe Lynn Turner. Un pubblico appassionato e competente come quello del Frontiers avrebbe senz’altro apprezzato estratti da “Sunstorm” o dal repertorio solista, e c’è da scommettere che persino qualche citazione dei troppo dimenticati Deep Purple di “Slaves And Masters” avrebbe reso felice molte persone. Invece il singer americano gioca la carta più facile trasformando la sua esibizione in un vero e proprio tributo alla scuola dei Deep Purple, come se si trovasse davanti a una sterminata platea generalista: passi la citazione dei “suoi” Rainbow, ma “Smoke On the Water”, "Burn", “Highway Star” e “Man On the Silver Mountain” sono pezzi che non gli appartengono direttamente e rendono lo show non così diverso da quello di tante tribute band sparse in giro per il mondo, senza contare lo stato di forma approssimativo del singer che però si è scusato pubblicamente per un problema di voce. Ci addentreremmo in un discorso complesso che riguarda gli addetti ai lavori, per cui ci limitiamo a manifestare la nostra piccola delusione, l’unica macchia di una giornata decisamente da ricordare.
La domenica del Frontiers Rock Festival inizia con l'omonima band di Nigel Bailey, bassista di comprovata esperienza sufficiente a riportare il pubblico in sintonia dopo il lungo risveglio domenicale. Decisamente una marcia in più sembrano avere gli inglesi Vega, autori di due release in odore di Def Leppard e ultimi Journey. Superfluo introdurre i Pink Cream 69, band di comprovata esperienza nota ai più per aver lanciato Andi Deris prima del suo ingresso negli Helloween;  l’hard rock dei Pink è granitico, ritmico e anthemico (e non potrebbe essere altrimenti) e la loro performance senza fronzoli. Ted Poley come gli Eclipse, c’è chi al Frontiers si affeziona al punto da replicare la partecipazione, il singer dei Danger Danger è un autentico mattatore dentro e fuori dal palco, mentre un’esibizione da ricordare è senz’altro quella degli House Of Lords, James Christian resta l’unico erede di uno degli acts migliori di quell’epoca, carisma da vendere e il pubblico si esalta trascinato dai ricordi sulla cover di “Can’t Find My Way Home” e “I Just Wanna Be Loved” : la classe di George Lynch è altrettanto grande e va ben oltre il suo guitar solo d’alta scuola, ma i Lynch Mob scaldano il pubblico solo sui pezzi del disco d’esordio e sulle solite cover di Dokken.

L’esibizione dei Pride Of Lions è un’altra di quelle da ricordare, merito dell’incredibile ugola di Toby Hitchcock che fa da collante alla presenza di Jim Peterik, una delle figure più influenti di tutto l’AOR americano, coautore dei  maggiori successi targati Survivor. Ed è proprio nel nome dei Survivor si chiude la rassegna, dedicando a loro e al compianto Jimi Jamison una buona metà di scaletta, da “Can’t Hold Back” fino alla conclusiva “Eye Of The Tiger”, forse il modo migliore per concludere questa parata di stelle che fa ben sperare per una a questo punto più che probabile terza edizione. Allo staff della Frontiers (da Elio Bordi a Mario De Riso), e a tutti coloro che li hanno supportati in questa impresa, va il nostro ringraziamento.



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