A Torch In The Dark
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Atreyu – A Torch In The Dark

It feels like the old me is dead inside

È difficile affrontare l’oscurità. Cosa si cela nel buio? Non si può sapere a priori. Qualcuno pensa vi siano chitarre e synth, ma se si sbagliasse? Se scoprirlo significasse la nostra condanna? Diciamo che, però, se si è armati di una luce, anche piccola, di una torcia, addentrarsi nelle tenebre dovrebbe essere più facile. È quanto credono di aver fatto gli Atreyu con il loro ultimo EP, “A Torch In The Dark”: un disco, a parole loro, sulla scoperta di se stessi, dei propri obiettivi e della propria sicurezza, e sul ritrovamento del proprio percorso, la conquista dell’oscurità attraversando le ombre.

Dopo il mancato successo di “The Hope Of A Spark” e la totale delusione di “The Moment You Find Your Flame”, ora il quintetto californiano prosegue il proprio viaggio attraverso questo ciclo della vita (“Seasons Of Life”, il ciclo di questi EP) e mostra un po’ di luce e coraggio nella terza parte.

Per chi è fan di lunga data della band – come chi vi scrive – sarà forse naturale leggere tra le righe una sorta di ammissione di colpe nella traccia d’apertura. “(i)” non è un gran pezzo, anzi, è in perfetta linea con le ultime deludenti produzioni del gruppo, che cercano disperatamente di inseguire le tendenze, guidati dal produttore John Feldmann; ma fa effetto leggere frasi come quella che apre l’articolo, oppure “Tell who the fuck have I been/After all this time”. Esatto Atreyu, cosa siete diventati?

Il secondo brano si fa notare per la presenza di Sierra Deaton, ex membro del duo Alex & Sierra (vincitori di X Factor nel 2013), ora autrice nota ai più come fidanzata di Luke Hammings, frontman dei 5 Seconds of Summer e protégé per eccellenza di Feldmann. Gossip a parte, “Death or Glory” si propone come un brano potente, imponente quanto il suo titolo: ma, come una gag presente in parecchi film, la gigantesca silhouette dietro l’angolo si rivela in realtà una creatura innocua. Né le chitarre, né la batteria, nemmeno la fusione – satura di autotune, del tutto fuori contesto –  delle voci di Deaton e di Brandon Saller riescono a smuovere alcunché.

Proseguendo troviamo “Forevermore”, il pezzo tranquillo del disco: nulla di stupefacente, ma per lo meno non raggiunge il livello di banalità del suo corrispettivo nell’EP precedente (“I Don’t Wanna Die”). La scelta di mantenere un sound quasi esclusivamente sinfonico e di non far esplodere il brano in una classica power ballad trita e ritrita è apprezzabile.

“Come Down” invece stupisce, è da dire. Si tratta di un brano scritto discretamente bene, si fa ascoltare molto volentieri: la sezione ritmica dà un ottimo tiro, le chitarre svolgono il loro lavoro in tutte le sezioni, e finalmente si sente un po’ di dualismo vocale tra Saller e Marc McKnight. I sintetizzatori nell’intro e nell’outro ricordano parecchio “The Theft”, un loro vecchio successo degli anni 2000.

Pare ovvio che però non basta una traccia carina a salvare un disco, e soprattutto non basta per giustificare questa metamorfosi radicale degli Atreyu. È un bene che gli artisti cerchino di rinnovarsi, ma non basta imitare e svolgere compitini. Si rischia, altrimenti, che il buio ci inghiotta, anche se armati di un milione di torce. Se tutto questo faccia parte di un piano più grande, lo scopriremo con l’atto finale di questo ciclo, l’album “The Beautiful Dark Of Life“, previsto per la fine dell’anno.

Tracklist

01. (i)
02. Death or Glory
03. Foerevermore
04. Come Down

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