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NUOVE USCITERECENSIONI

Corey Taylor – CMF2

Che piaccia o meno, non si può oggettivamente mettere in discussione l’influenza che Corey Taylor ha esercitato negli ultimi due decenni abbondanti sul mondo del metal alternativo. Ma il buon frontman, ormai con la pancia decisamente piena e con un bel fascicolo di obiettivi marcati con una vistosa spunta verde, continua a spingere in avanti il suo carrozzone da solista, il cui assemblaggio trova come starting point il buon “CMFT” (2020), utilizzando mattoncini ricavati pescando in diverse fasi di vita e carriera, a giustificare una vivida eterogeneità che assimila dei punti di coesione in più nel neonato “CMF2”.

Sia chiaro, il lavoro in solo del cantante di Des Moines rimane uno sfizio – o meglio, un modo per esprimersi senza vincoli di genere o di proposta musicale – coltivato con la stessa band che firmava il predecessore, eccezion fatta per il rimpiazzo di Jason Cristopher con Eliot Lorango al basso.

Zero sorprese, quindi, dal buon succo strumentale, alcune – poche – in fase di songwriting: come anticipato, il mosaico multiforme del primo capitolo perde presa in favore di un più liscio dipinto ad olio, decisamente più levigato e riportato su un piano più omogeneo, tagliando i picchi alti e bassi di “CMFT” e radunando il tutto attorno ad una linea guida seguita senza troppi stravolgimenti; piacevole sì, ma nulla di trascendentale.

Se prima “Silverfish” o “CMFT Must Be Stopped”, in maniera molto diversa tra loro, attiravano – o almeno provavano a dare uno scossone – all’attenzione dell’ascoltatore, in “CMF2” Corey Taylor sembra serrare i freni sulla sua necessità di sperimentazione in favore di un album rock privo di un’identità vigorosa, con poche contaminazioni e gap d’età tra un pezzo e l’altro.

Le tirate hard rock dominano gran parte del platter tra buoni momenti (“Post Traumatic Blues”, “Talk Sick”) e altri decisamente più opachi – i coretti di “We Are The Rest” che si spalmanoo su virate pop-rock, il roccioso e anonimo mid-tempo della conclusiva “Dead Flies” – con largo respiro lasciato a ballad e lentoni di repertorio, tra influenze southern (“Breath Of Fresh Smoke”) ed impostazioni folk più classiche (“Sorry Me”).

“Beyond” è, forse, il tentativo più audace di stratificazione: ne esce fuori un bel pezzo tirato, che ritrova l’efficacia delle melodie, affiancata alle schematiche stoppate delle sei corde e al refrain più convincente dell’album. “Midnight” cerca di riunire fumose armonie notturne al groove, “Starmate” e “Punchline” si formano sui soliti meccanismi di genere, mentre “All I Want Is Hate” si intrufola in territorio punk rock à la “Meine Lux”.

“CMF2” non evolve nulla, forse sposta qualche paletto; il risultato, tirando le somme e facendo i dovuti paragoni, è esattamente lo stesso del fratello maggiore. Nel primo capitolo la sufficienza era scaturita da un equilibrio tra punti di luce ed ombra, qui.. bhe, dalla sufficienza generale del plot. Non giudichiamo l’artwork – non ce ne sarebbe il bisogno – ma a livello musicale tutto si ferma ad un modo di approcciarsi al rock datato, a cavalcare onde trite e ritrite che fanno sì il loro lavoro, ma non vanno oltre il piacevole ascolto, col rischio dimenticatoio dietro l’angolo. Anche perchè, diciamocelo francamente, ci sono uscite decisamente più stimolanti.

Tracklist

01. The Box
02. Post Traumatic Blues
03. Talk Sick
04. Breath of Fresh Smoke
05. Beyond
06. We Are the Rest
07. Midnight
08. Starmate
09. Sorry Me
10. Punchline
11. Someday I’ll Change Your Mind
12. All I Want is Hate
13. Dead Flies

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