Può esserci dell’incanto, quando guardiamo un determinato film cult o un trailer di una pellicola attesa, nell’ascoltare colonne sonore che fanno da sottofondo a scene visive cruciali. Alcune sono intrise di un lirismo ed una potenza che lascia attoniti, così inconfondibili che, anche se prima della visione non ci siamo informati sull’autore, sappiamo nel profondo che possono essere esclusivamente create dal genio di Hans Zimmer, leggenda vivente del panorama musicale contemporaneo. E dopo uno slittamento di oltre 3 anni, l’artista tedesco ha potuto finalmente portare in Europa, e per tre date in Italia – tutte sold out -, quello che è un vero spettacolo di bellezza artistica su più livelli.

Fiumane di persone più o meno cinefile, variegate nell’età e nella provenienza ma accomunate da un senso di riverenza nei suoi confronti, confluiscono verso l’Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO), trepidanti in maniera composta di aspettative che sperano (ma di questo sono quasi certi) vengano ripagate totalmente. Attorno all’orario di inizio del concerto sono pochi gli spettatori a prendere ancora posto, riflessi in uno schermo-specchio che ha i colori della bandiera ucraina: notiamo così sin dall’inizio la chiara e ferma presa di posizione di Zimmer riguardo il conflitto, confermata ulteriormente nei fatti dalla scelta di portare in tour con sé parte dell’orchestra dell’Opera House della città di Odessa.

Varie sirene annunciano l’apprestarsi dell’inizio del concerto, e una ventina di minuti dopo le 21 lo schermo si oscura: una figura avvolta in un drappeggio incede sul palco intonando la suite “House Atreides” dal film “Dune”, accompagnata da proiezioni di sinusoidi sonore che simulano dune del deserto. Il rullio di tamburo di un’altra figura precede l’alzarsi del sipario digitale e in un gioco incredibile di luci e suoni scorgiamo nella penombra tutta la enorme crew. Notiamo ed apprezziamo sin da subito a livello scenografico un allestimento complesso, dove ognuno ha il proprio ruolo e ne viene valorizzato: l’orchestra organizzata su più file di gradini, i musicisti solisti liberi di muoversi in armonia con il resto, le luci fisse ad intermittenza che ricordano piante di una magica foresta e quelle mobili che valorizzano precisi atti della mise en scène. Successivamente le batteriste aprono in perfetta sincronia “Mombasa” (da “Inception”), che in un crescendo di cordofoni e fiati si stratifica e crea il clima di costante tensione che si respira dalla pellicola di Nolan.

A guidare “Wonder Woman” non possono che essere delle donne altrettanto meravigliose, delle vere amazzoni. Una di queste, elogiata da Hans Zimmer stesso, è la carismatica Tina Guo: rimaniamo incantati dal tocco modulato con cui fa vibrare l’archetto sul violoncello elettrico, che assume, specialmente con le voci e gli archi nei vari movimenti, prima i contorni di un pezzo di musica classica, poi tribale e infine non così distante dal symphonic metal. A seguire, Zimmer al pianoforte precede l’inconfondibile serie di glissando sulla chitarra elettrica della parte 1 di “Man Of Steel” e l’incredibile assolo della 2, suonati dal grande Guthrie Govan (The Aristocrats, Asia): il tedesco non manca di far notare la tracolla della chitarra di Govan marcata con 4 stelle su 5 dai tempi in cui lavorava al Mc Donald’s, per ricordarsi che non importa quanto brutta sia la musica che suona, è pur sempre meglio che servire patatine e milkshake. Hans Zimmer lo acclama come uno dei più bravi nel mondo, ed è difficile rimanere obiettivi riguardo un mero giudizio personale, ma se avevamo qualche dubbio dopo averlo sentito dal vivo possiamo in cuor nostro sicuramente includerlo in una personale classifica.

Il compositore ci annuncia che sta per arrivare un qualcosa che ha a che fare con l’Italia, in particolare con Roma: sorridiamo perché non può che essere la colonna sonora de “Il Gladiatore”, con il flautista Pedro Eustache al duduk che sembra imprimere dolcemente l’aria che fa ondeggiare i campi di grano proiettati; e questa volta troviamo Zimmer alla chitarra classica a supporto della chitarra acustica di Govan e degli archi. Tra le rovine di Roma si susseguono gli altri due movimenti, l’uno più avvincente e l’altro reso famoso anche a livello pubblicitario accompagnato dalla viscerale interpretazione di Lisa Gerrard (Dead Can Dance). Dalla terra ci spostiamo tra le onde dell’oceano: con “Pirati dei Caraibi” ritornano le violiniste e violoncelliste al centro della scena trasformatesi in sirene mitologiche, e noi piano piano veniamo travolti dalla tempesta sonora da cui a tratti riprendiamo respiro solo per poi immergerci nuovamente. Ne usciamo conquistati: la standing ovation è spontanea.

Una pausa di una ventina di minuti è quello che ci vuole per la crew e per noi spettatori per provare – fallendo miseramente – a riprenderci. Dopo una breve parentesi-omaggio con l’anthem di “Top Gun” per i più nostalgici (del cui sequel-reboot “Maverick” Zimmer ha scritto le musiche), l’artista tedesco ci preannuncia “una delle esperienze più vicine alla morte” da parte del primo violino Rusanda Panfili che nella struggente esecuzione “L’ultimo Samurai” tocca corde dell’animo che credevamo dimenticate. Su “Il cavaliere oscuro” abbiamo la discesa del compositore tedesco in mezzo alla platea in un gioco di luci ed immagini stupefacente, accompagnato anche da Juan Garcia Herreros che con la sua chitarra contrabbasso sostiene ed accentua la suspence. Il seguente brano “X-Men: Dark Phoenix” combinato con la ripresa del tema di “Dune”, con figuranti in mezzo alla platea e la mistica voce di Loire Cotler, gioca brutalmente con i nostri sentimenti. Su “Interstellar” entriamo in un’altra dimensione: prima volteggiamo al solo ascolto delle tastiere del maestro, oltre a sperimentare l’altra esperienza pre-morte offertaci dalla Panfili, poi la danza aerea chiude in bellezza questo viaggio spaziale. Sentiamo all’improvviso un urlo riconoscibile, che risuona come un richiamo filogenetico comune specialmente in chi era bambino o neo-genitore in quegli anni: è “Il Cerchio della Vita” cantato in lingua zulu dalla voce de “Il Re Leone” in persona, Lebo M.: i suonatori di bongo danzanti e il ritmo dello xilofono ci fanno immergere ulteriormente nel clima della savana resa bene anche dall’allestimento scenico. Non sappiamo come ripagare dell’enorme regalo ricevuto se non alzandoci in piedi e ricambiando il calore trasmessoci attraverso i battiti delle nostre mani e le urla d’acclamazione.

Il concerto sembra ormai volto al termine, ma proprio quando stiamo per provare a raccapezzarci si sentono squilli di tromba inconfondibili e parte “No Time To Die”, e il famoso tema costruito su linee di basso incalzanti lascia pian piano il posto a passi di latinoamericano di ballerini e musiciste. Dopo mezzanotte è il momento di “Time” (da “Inception”), che si pone come il miglior finale di concerto, aperto come il film: sappiamo per certo che il totem di Cobb per noi continuerà a girare per giorni, sospesi tra sogno e realtà. Il compositore infine ringrazia tutti i membri della crew di cui fa parte ed è debitore, sottolineando l’enorme piacere che ha nel lavorare con loro; ringrazia inoltre il pubblico italiano e l’Italia soprattutto per il suo patrimonio culturale, e ci saluta con l’augurio e la volontà di ritornare al più presto.

Quando si vivono esperienze al limite del mistico, non è semplice spiegare le emozioni provate. Il corpo non è che un compresso ammasso di brividi che talvolta sfocia in un pianto di gioia, e la mente si eleva completamente ad uno stato di simil-trance. Non è semplice conseguentemente ritornare con i piedi per terra e riacquistare le proprie facoltà sensitive ed intellettive: è un qualcosa che si vorrebbe non finisse mai, che assuefa così tanto da non averne mai abbastanza. Non è un’esagerazione dunque affermare che è un privilegio respirare la stessa aria di questa leggenda vivente e poter godere di un concerto del genere.

Un’ opera d’arte che è essa stessa un connubio delle principali forme d’arte – musica, cinematografia, danza. Per non parlare di un’acustica ed una scenografia degne, mantenute tali per tre ore di fila che a noi sono parse un soffio. Se non esiste un concerto perfetto, Hans Zimmer ne riscrive le regole: provare – per chi non ha ancora avuto la fortuna di farlo – per credere.

La nostra mente è ormai settata per il prossimo tour, con un repertorio che ci auguriamo sia ancora più amplificato e premiato. Grazie infinite, Maestro.

Setlist

Parte 1

House Atreides
Mombasa
Wonder Woman Suite: Part 1
Wonder Woman Suite: Part 2
Wonder Woman Suite: Part 3
Man Of Steel Suite: Part 1 “What Are You Going To Do When You Are Not Saving The World?
Man Of Steel Suite: Part 2
Gladiator Suite Part 1
Gladiator Suite Part 2
Gladiator Suite Part 3
Gladiator Suite Part 4
Pirates Of The Caribbean Suite: Part 1 “Jack Sparrow”
Pirates Of The Caribbean Suite: Part 2
Pirates Of The Caribbean Suite: Part 3

Parte 2

Top Gun: Maverick
The Last Samurai Suite: Part 1
The Last Samurai Suite: Part 2
The Last Samurai Suite: Part 3
The Dark Knight Suite: Part 1
The Dark Knight Suite: Part 2
Dark Phoenix Suite
Paul’s Dream
Interstellar Suite: Part 1
Interstellar Suite: Part 2
The Lion King Suite: Part 1 “He Lives In You”
The Lion King Suite: Part 2
The Lion King Suite: Part 3

Encore

No Time To Die Suite
Time

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