I fratelli Andreas e Simon Truelsen, Anton Holm Smindstrup, Ruben Brandt, Matias Zacho: questi sono i nomi dietro il monicker Plaguemace, giovane band danese che, dopo il sacrilego EP d’esordio “Primal Priest” (2020), debutta sulla lunga distanza con il divertente e sanguinoso concept album Reptilian Warlords. Cavernicoli paleolitici e rettili giganti si sfidano sulle note di un death metal vecchia scuola rivisto in chiave moderna da un gruppo che, presentatosi ai nostri microfoni al gran completo, non ha certo lesinato riguardo a rivelazioni e particolari intorno e dentro al disco, mostrando grande entusiasmo e una buona dose di autoironia. E quante risate!

Ciao ragazzi e benvenuti su SpazioRock. Allora, visto che i Plaguemace sono una band molto giovane, potreste presentarvi a i nostri lettori?

Simon: Sì, con piacere. I Plaguemace sono semplicemente una sordida band metal vecchia scuola, formatasi, tre anni fa, nelle cantine umide di una città “importante” della Danimarca come Horsens, nello Jutland, lo stesso luogo di nascita dei Pretty Maids. Rispetto a tanti gruppi death di oggi, ci situiamo nella parte più lenta dello spettro sonoro, ma sperimentiamo anche un po’ di songwriting atipico, se questo può avere senso.

Partiamo dal vostro esordio discografico del 2020, l’EP “Primal Priest”, tra l’altro completamente autoprodotto. È stato un inizio sacrilego, direi in stile black metal per quanto concerne le liriche.

Andreas: Vero. Non siamo tra i fan del Cristianesimo e canzoni come “Primal Priest” e “Sacred Vermin” sono direttamente rivolte alla Chiesa cattolica e ai suoi orribili misfatti. “Brothelhem” è il racconto di ciò che pensiamo facesse davvero la Vergine Maria, quindi ha una buona dose di blasfemia. In aggiunta, abbiamo “Torture” che, come dice il titolo, è una canzone sulla tortura, e probabilmente non dovrebbe sfuggire agli appassionati il fatto che i testi siano fortemente ispirati ai Cannibal Corpse. “Bogill”, invece, si ispira a un antico mito scozzese su un mostro orribile che vive nella foresta e mangia i bambini. Era molto usato come una sorta di babau per far sì che i bambini si comportassero correttamente. Insomma, un bel disco (ride, ndr).

Rispetto a tre anni fa, ciò che si ascolta in “Reptilian Warlords” sembra quasi provenire da un’altra band.

Simon: Sì, siamo migliorati parecchio e oggi prendiamo decisioni tecnicamente più avanzate rispetto agli inizi, concentrandoci su ogni singolo strumento. Abbiamo un sound molto più raffinato, visto che non si tratta soltanto del vecchio pedale HM-2 che eri abituato a sentire. Allo stesso tempo, stiamo ancora spremendo ciò che di buono musicalmente c’era in “Primal Priest”.

Il fatto, poi, che un debut album sia pubblicato da un’etichetta come la Napalm Records testimonia la bontà del vostro lavoro. Siete stati sorpresi da questo interesse immediato da parte della label tedesca?

Ruben: Beh, è stato un po’ strano, ma eravamo totalmente entusiasti e totalmente felici che qualcuno decisamente più grande di noi ci apprezzasse, e non pensavamo certo di poter fare subito un così grande passo dopo soltanto un EP, oltretutto autoprodotto. Quindi, sì, è qualcosa di veramente fantastico. Ancora non crediamo che lavorino davvero con noi, ma siamo assolutamente contenti che lo facciano.

L’artwork di “Reptilian Warlords” sembra tratto da un fumetto grondante fiamme e sangue e rende benissimo il concept che lega i brani. Chi si nasconde dietro l’ideazione della copertina?

Andreas: Si chiama Rasmus Hoeygaard, è un artista, oltre che un tatuatore. Personalmente, gli ho semplicemente detto cosa volevamo sulla copertina dell’album, poi lui ha lo realizzato ed è stato dannatamente disgustoso (ride, ndr).

Cosa potete dirci, invece, a proposito dello stretto rapporto che avete con il produttore Andreas Linnemann? È facile lavorare con lui?

Anton: Intanto, abbiamo registrato l’album ad Aarhus, al FinlandStudio. Confermo, ci troviamo benissimo, è un bravo ragazzo ed è bellissimo per noi lavorare con lui perché abbiamo un ottimo flusso che ci connette. Ha un sacco di idee meravigliose ed è molto fantasioso e intelligente in qualsiasi cosa faccia. È anche mentalmente molto aperto e spesso anticipa le nostre richieste. Certo, a volte, ci dice di provare delle cose che a noi magari non piacciono, ma lui è determinato a inserirle lo stesso. È consapevole che si tratta comunque del nostro album, ma lui sa vedere oltre, riuscendo a convincerci della correttezza delle sue intuizioni. E ha sempre ragione.

I pezzi raccontano di lucertole giganti che si ribellano all’umanità, una storia bizzarra in stile fantascienza cinematografica anni ’50. Chi tra di voi si è occupato delle liriche? Ci sono magari influenze provenienti da altri linguaggi artistici?

Andreas: Lo dirò e basta, una volta per tutte: sono soltanto io che ho scritto tutti i testi (ride, ndr). È un album che ruota attorno al nostro piccolo universo immaginario, non ci sono elementi tratti da fumetti, letteratura o film. Inoltre, gli eventi che sono raccontati in questo disco saranno intrecciati almeno con quelli dei prossimi due lavori. E alcune cose, oggi ancora piuttosto fumose, verranno spiegate nel corso di questi tre full-length. Adesso, le canzoni non sembrano seguire apparentemente un ordine cronologico preciso, ma, in futuro, cercheremo di rendere comprensibile l’intera storia e come le diverse trame combinate e ogni sorta di stranezze interagiscano tra loro.

Dal punto di vista musicale, invece, le varie “Cannibalicious”, “Impenetrable Leather”, “Carnivore”, sono chiaramente ispirate al death euroamericano dei ’90, ma senza perniciose fossilizzazioni. Siete d’accordo?

Anton: Sì, sicuramente. C’è un sacco di vecchia scuola, ci sono riff infuocati, ci sono i Cannibal Corpse, i Grave, gli Obituary: cercavamo di evocare tutto questo, almeno credo. Ma le strutture sonore sono un’altra cosa e guardano spesso altrove, allo sludge, al thrash, al doom, persino al rock in un certo senso.

image 8

Una delle tracce più curiose è sicuramente “Warcries From The Crypt”, un interludio che addirittura evoca atmosfere jazz …

Ruben: È un intermezzo costruito sugli stessi accordi sporchi di “Among The Filth”, di cui “Warcries From The Crypts” rappresenta il preludio. Ho realizzato un piccolo arrangiamento per tromba e trombone, strumenti suonati rispettivamente da Johanna R. Mosbech e Laura Marie Brandt, entrambe nostre amiche. Erano entusiaste di venire in studio per fare la loro parte. Ci ha pensato Andrea a concretizzare la magia, poi abbiamo pensato di inserire un grande coro, quindi abbiamo registrato strati di voci e urla, a cui hanno partecipato Søren Tuborg, singer dei Galge, e Niels Napalm Kasule, chitarrista degli Swartzheim. È stato divertente.

“Ambrosia” non è proprio il nettare degli dei, considerata la sua natura tossica e melmosa. Come è nata l’idea di una canzone la cui forma mutevole contraddice un po’ la fisionomia sonora della scaletta, a parte i due intermezzi?

Simon: Indovina come è nata? Come una canzone completamente diversa! In realtà, l’avevamo suonata dal vivo senza registrarla, poi abbiamo smesso di farla live perché volevamo cambiarla un po’. Poi, quasi ce ne siamo dimenticati e non abbiamo tirato fuori nulla da essa per molto tempo. Mentre stavamo realizzando l’album, visto che il vecchio main riff ci piaceva, abbiamo ripreso in mano la canzone, abbiamo selezionato le cose che funzionavano e ne abbiamo ricavato un altro brano. E finalmente è diventata una stronzata (ride, ndr). A parte gli scherzi, smontare e rimontare i pezzi penso sia uno dei nostri trucchi preferiti. D’altronde, i danesi sono bravi con i Lego, li abbiamo inventati noi!

Tra i video rilasciati, quello di “Cavedweller’s Soliloquy/Rhythmic Demise” supera di gran lunga gli altri per efficacia e inventiva, dal momento che si tratta di un cartone animato ambientato nella Preistoria, con gli uomini delle caverne come protagonisti assoluti. Ci raccontate qualche dettaglio in merito a questo piccolo gioiello?

Andreas: Sì, il video è opera di Lauge Eilsøe-Madsen per quanto riguarda la parte tecnica. La storia tratta di uno dei capi guerrieri di una tribù che ritorna da una commissione che ha svolto, torna nella sua adorabile caverna e scopre che la maggior parte dei suoi amici sono stati avvelenati da una strega cattiva. E, quindi, ballano in modo incontrollabile fino a quando i piedi si disintegrano. Questo è tutto, ma ne saprai di più in futuro visto che ci sarà un seguito a quello che vedi ora. Prima o poi, uscirà un altro cartone animato. Tra non molto tempo, a dire il vero. Rimarrai un po’ sorpreso. Comunque, successivamente, elaboreremo meglio quello che sta accadendo adesso nella storia e racconteremo davvero qualcosa in più su cosa avverrà dopo.

La Danimarca è ricca di band dedite all’estremo e al death metal in particolare. Cosa rende i Plaguemace davvero diversi dagli altri?

Anton: Prendiamo, le cose sul serio, ovviamente, come la scrittura delle canzoni e il resto, ma non decisamente sul serio (ride, ndr). E, questo, penso sia una delle caratteristiche che ci distingue, oltre a quello che personalmente penso sia un modo un po’ atipico di comporre canzoni, almeno quando si parla di death metal. Cerchiamo di cucinare una zuppa nella quale gli ingredienti principali sono groove e riff sporchi. E anche dal vivo siamo molto diversi dagli altri. È più come uno show punk. Non vogliamo essere come coloro che suonano e cantano guardando in basso e con i capelli davanti agli occhi e tutta quella merda lì. Adoriamo quelle band, certo, ma non è la nostra atmosfera. Vogliamo cambiare un po’ le carte in tavola.

Nonostante siate alle prime armi, avete già suonato con gruppi molto importanti, come Baest, Left To Die e Nervosa. A quale vi sentite più vicini per attitudine, al di là del genere? Avete delle preferenze per una delle tre?

Anton: Beh, sono band diverse e hanno anche qualità diverse. Ma io credo, in termini assoluti –  e questa è soltanto una preferenza personale – che la mia scelta cada sui Left To Die. Questa è la risposta più semplice perché a tutti piace il death metal e loro hanno una grande influenza sulla musica che proponiamo. Ed è stato bello vedere quei ragazzi suonare, perché sono delle leggende viventi. Praticamente, lo sono tutti e quattro. È stato fantastico. Ho grandissimo rispetto anche per le Nervosa e per quello che fanno, perché sono super professionali, realizzano ottimi album e sono un gruppo molto affiatato, oltre che di buona qualità.

Andreas: In termini di musica, anch’io opterei per i Left To Die, sono stati instancabili e avevano un suono di basso meraviglioso, ma è stato anche molto divertente vedere band molto diverse tra loro come Baest e Nervosa.

C’è qualche aneddoto particolare che ha accompagnato le vostre esibizioni, che sia prima, dopo o durante gli show?

Andreas: Una volta dovevamo suonare a Trondheim, in Norvegia, e per arrivarci guidare sin lassù. Oltre a un viaggio in barca a vela, abbiamo dovuto trascorrere otto ore in una station wagon partendo da Oslo, e, per molti versi, è stato un viaggio che non dimenticheremo mai. Non farò nomi per dignità (ride, ndr), ma uno di noi aveva mal di stomaco ed è dovuto andare in bagno parecchie volte, un altro ha dovuto sedersi con una borsa davanti per paura di vomitare e, oltre a ciò, aveva anche dimenticato la medicina quotidiana, quindi si sentiva molto male. In mezzo a loro c’era chi sedeva e pregava affinché il viaggio procedesse liscio e senza troppi ostacoli. È stata un’esperienza incredibile. In una situazione del genere, una station wagon diventa rapidamente molto piccola (ride, ndr).

Restando in ambito live, ci sono delle date in arrivo? O un vero e proprio tour europeo?

Simon: Fino a dicembre saremo impegnati nel Reptilsk Krigsførelse Tour, un breve giro tra store e birrerie  in varie città della Danimarca per festeggiare il rilascio dell’album, con una data anche in Germania, ad Amburgo, dove suoneremo al Plattenkiste e al Mantis Skateshop. Saremo presenti al CopenHell 2024, ma per il resto siamo ancora work in progress.

Sareste pronti, eventualmente, ad affrontare anche un tour mondiale, magari di supporto a dei giganti del metal? Una prospettiva che, se soltanto nel 2020 fa appariva impensabile, oggi o più avanti rischia di divenire qualcosa di plausibile.

Matias: Abbiamo chiarito ad amici, famiglia, fidanzate e alle altre persone che frequentiamo che ci saranno periodi in cui non saremo molto a casa, e finora è andata molto bene. Fin dall’inizio, è stato importante, per noi, poter parlare di tutto all’interno della band. È stata la strategia migliore a livello di rapporti. Siamo anche bravi a darci spazio a vicenda, e questo è fondamentale, poiché la nostra amicizia è una delle forze trainanti della band. In caso contrario, non saremmo produttivi, in studio come sul palco.

Grazie mille per il vostro tempo e per la grande simpatia che siete capaci di trasmettere. Quale messaggio vorreste lasciare ai lettori di SpazioRock e anche a coloro che ancora non vi conoscono qui in Italia?

Andreas: Amiamo molto l’Italia, il vostro cibo, il vostro vino e le vostre ragazze (ride, ndr). Tra l’altro, ho un amico che lavora con me, Riccardo, che mi ha insegnato molte parole in lingua italiana che, credo, sia meglio non ripetere (ride, ndr). Fosse per noi, verremmo da voi anche domani! Ciao a tutti, lucertoloni!

Comments are closed.