“Nectar” è il secondo album dei Silent Skies, il duo composto dal cantante e leader degli Evergrey Tom S. Englund e del talentuoso pianista e polistrumentista statunitense Vikram Shankar. È lo stesso Vikram che ci racconta la genesi e le sensazioni legate a questo nuovo lavoro, toccando moltissimi interessanti aspetti, dalla musica alla vita, dalla natura sino allo stretto legame artistico con Tom.

Ciao Vikram, per prima cosa grazie di essere qui con noi di SpazioRock. Come stai?

Sto bene, sto molto bene in questi tempi così strani. Ti ringrazio. L’album è uscito da qualche giorno ed essere occupati è sempre una cosa positiva.

Penso che probabilmente entrambi speravamo di fare quest’intervista senza accennare alla pandemia, ma purtroppo  sembra non abbandonarci ancora. Come musicista e anche come uomo come hai e vissuto e stai vivendo questo periodo?

È davvero una cosa terribile quella che è capitata. Ci sono stati periodi difficili per la sofferenza, per le limitazioni fisiche, per la socialità, per l’economia. È orribile per tantissimi aspetti. È stato davvero strano essere costretti a stare a casa e a vivere tutto questo. Ma da un certo punto di vista, per alcuni aspetti  è stata una sorta di tempo molto fruibile per me e per Tom. Certo, anche separatamente per le cose che stavamo facendo. Siamo riusciti a scrivere e produrre “Nectar” in tre mesi perché questa pandemia ci ha dato la possibilità di avere più tempo. Ed inoltre siamo riusciti a scrivere e registrare il nuovo album dei Redemption e Tom è riuscito a terminare il nuovo album degli Evergrey grazie a questo. È strano e brutto forse essere grati per tutto questo tempo a disposizione, che per molte persone è stato invece orribile, come allo stesso modo anche per noi, ma alla stessa maniera è stato un periodo molto produttivo. Ed è anche strano pensare che magari non si avrà più la possibilità di avere questo periodo così prolifico quando il mondo tornerà al suo normale corso.

Ti chiedo se questo periodo così produttivo, vissuto in un momento del genere è qualcosa di positivo per un artista ed un musicista come te o come Tom, o se magari questo contesto attuale poteva influenzare in maniera più cupa o malinconica le vostre composizioni.

È qualcosa di molto diverso tra me e Tom. Lui con gli Evergrey è abituato a passare molto tempo in tour, è una delle sue attività principali. Non solamente per le sue esigenze creative ma anche per la parte economica e finanziaria, in quanto l’attività live è la principale fonte di guadagno. Non poterlo fare per due anni ha causato sicuramente tanta frustrazione e preoccupazione e ha dovuto pensare anche a trovare delle attività alternative nel frattempo per poter guadagnare. Per me è un po’ diverso. Non sono mai stato un “guerriero dei tour”, non sono mai stato in giro per tanto tempo. Amo tantissimo suonare dal vivo, ma sono fondamentalmente un artista da studio. Quello che faccio per vivere è produrre band, faccio mix, sessioni di tastiera ed orchestrazioni. Ho perciò continuato a lavorare in studio come ho sempre fatto e dal mio punto di vista è stato molto diverso. A parte il fatto che probabilmente ho avuto più lavoro da fare. Le band che normalmente erano “on the road” si sono fermate per creare musica e quando si scrive musica c’è bisogno di produttori, mixing, sessioni di tastiera per portare a termine completamente un album in studio. Sono stato più occupato del solito, ho avuto molto più materiale su cui lavorare ed ero pieno di lavoro, in maniera maggiore rispetto a prima della pandemia. Ma allo stesso tempo c’è quella sorta di nube grigia emozionale che ti copre in un momento del genere, che ti fa sentire che il mondo non sta andando per il verso giusto. Non è difficile essere malinconici quando capitano cose così orribili nel mondo, ma a pensarci bene quasi sempre nel mondo capitano cose orribili, e questo senso di tristezza rimane sempre. Ma è importante anche avere una sorta di meccanismo di difesa rispetto a questo ed essere sempre pronti a contrastare queste cose negative che ti mette di fronte la vita. E credo che magari la pandemia abbia costretto molte persona a combattere contro questi loro demoni interiori come non avevano mai fatto prima. Questo significa aver passato un periodo molto duro e stressante, ma credo che sia comunque un periodo importante per crescere perché ti fa pensare, ti fa riflettere su quelle che magari sono le cose realmente importanti. E cosa bisogna fare per essere più felici e vivere al meglio.

Il vostro secondo album “Nectar” è uscito da pochi giorni. Quante attese c’erano per questo nuovo album e come è stata la risposta di pubblico e critica dopo il vostro debutto di due anni fa?

Quando è uscito “Satellites” eravamo abbastanza sicuri di cosa aspettarci. Siamo entrambi musicisti, abbiamo fatto moltissime cose nella nostra vita. Tom ha 25 anni di carriera con gli Evergrey ed ognuno ha il suo pubblico, quindi eravamo abbastanza sicuri che ci segue normalmente avrebbe ascoltato il nostro album. Ma allo stesso tempo eravamo comunque una band nuova che partiva da zero ed eravamo in trepidazione per capire come sarebbe stato accolto anche da chi normalmente ascolta metal. Siamo stati piacevolmente sorpresi dal fatto che la gente amasse veramente il nostro album, dei giudizi delle riviste metal, alcune delle quali ci hanno inserito tra i migliori dischi dell’anno, pur non essendo noi una band metal. Penso che l’audience metal ci abbia compreso, nella tipologia di sensazioni di oscurità e di atmosfera emozionale  che scaturivano dalla nostra musica. C’è una connessione tra quello che facciamo e tantissima musica metal. Amiamo entrambi questo genere di musica e credo che non siamo gli unici seguaci che apprezzano anche qualcosa di più lento e malinconico. Ora vogliamo portare nuova energia dopo aver costruito la nostra base, le nostre fondamenta. Sappiamo che dobbiamo ancora crescere molto. Ma ora ci sentiamo più sicuri e abbiamo maggiore consapevolezza dei nostri mezzi rispetto al nostro album di debutto. Quando abbiamo realizzato “Satellites” dovevamo trovare e capire chi eravamo in questo nuovo percorso. Ora lo sappiamo, abbiamo maggior consapevolezza e con “Nectar” ci siamo sentiti liberi  di sperimentare un po’ di più, portare parti più elettroniche, inserire parti di synth e di percussioni ed evolvere il nostro sound. Chi ha amato il primo album potrà forse pensare che magari ci siamo persi o abbiamo tradito qualcosa, ma è stato solamente un processo di crescita. Ma credo che in realtà la gente la pensi come noi, che è uno step ulteriore come gruppo, mettere qualcosa di diverso, sperimentare, rendere le canzoni più forti, più potenti. Capiremo presto come le persone hanno recepito quest’album ma sono felice di quello che abbiamo fatto e di essere stati comunque coerenti.

Come è nato il progetto Silent Skies? Quale è stata la prima scintilla che ha fatto nascere questa collaborazione?

Abbiamo cominciato all’inizio del 2017. Una storia che ho raccontato spesso è che Tom mi ha contattato dopo aver sentito alcune cover che ho fatto al piano. Potevamo metterci insieme a quel tempo, fare un album, ma sarebbe stato solamente un progetto unico, una parentesi. La cosa interessante è che quando io e Tom abbiamo cominciato a lavorare insieme abbiamo sentito qualcosa di veramente speciale tra noi, oltre la musica. Lavorare insieme in maniera così creativa, in un modo così speciale era qualcosa che non mi era mai capitato, come percepire le emozioni e la musica allo stesso modo. Abbiamo tantissime cose in comune, stessi gusti, stesse prospettive, i nostri obiettivi sono molto vicini. È un processo di lavoro in un ambiente assolutamente speciale. E abbiamo pensato entrambi che fosse giusto seguire questa connessione tra noi per più tempo possibile. Penso che molta gente abbia pensato che questo poteva essere un progetto unico, fare un album insieme e poi ritornare ognuno nel proprio mondo e non lavorare più tra di noi. Ma abbiamo costruito qualcosa momento dopo momento, abbiamo realizzato “Nectar” e stiamo già cominciando il terzo album. Insomma, non vogliamo fermarci.

Quindi avevate in mente che non sarebbe stato solo un progetto da un album, sapevate che sarebbe diventato qualcosa di più concreto?

Penso che abbiamo sempre voluto che questa fosse una reale e concreta nuova band. Almeno dal mio punto di vista, non sono mai stato interessato ai side-project o cose del genere, non lavoro in quel modo. Voglio sempre fare qualcosa che abbia un senso, che mi porti ad un percorso che abbia una conclusione logica. Seguire un sentiero fino a dove mi conduce. Non mi piace fare una cosa singola che si conclude immediatamente. Ci sono tantissime cose che voglio esprimere nel mio essere musicista e tra queste ci sono queste atmosfere lente, malinconiche e di sofferenza con solo piano e voce che non potevo portare alla luce da solo. E la cosa bella è che Tom ha la stessa prospettiva, la stessa visione. Non sarebbe obbligato ad averla o a fare qualcosa in quella direzione. Dopo aver creato la musica degli Evergrey per 25 anni non è obbligato a fare nulla o a dimostrare qualcosa al mondo. Potrebbe anche non conoscermi, non ha importanza, ma quello che conta è che sente la musica nella stessa maniera in cui la sento io e vuole portare avanti questo in maniera molto speciale. Ci sentiamo molto bene quando riusciamo a creare questa musica insieme. Ci viene in mente la parola “destino” quando riusciamo a comporre qualcosa di speciale, che funziona e ci piace. Questo è un messaggio davvero forte ed importante, riuscire a trasformare in qualcosa di intenso ed unico quello che per entrambi è così significativo. Questo è come va il mondo, non puoi mai sapere cosa ti aspetta dietro l’angolo.

Sono sincero, quando si ascolta anche il vostro ultimo lavoro sembra di entrare in un mondo parallelo. Tutto attorno a te cambia, diventa sussurrato, onirico. Ed è una sensazione davvero intensa. Come siete riusciti a fondere in maniera così viva i vostri due talenti?

Ti ringrazio per le belle parole. Io credo che la cosa principale riguardi l’intuito, e le sensazioni tra di noi. Non dobbiamo pensare molto, è qualcosa che esce molto istintivo. È molto bello ed importante quando ogni membro di una band lavora su questo stesso livello creativo ed istintivo. È una miscela delle differenti parti di noi, di quello che noi in realtà siamo, che viene tradotta in musica e non ci soffermiamo troppo su questo perché ci viene naturale. Ed è per questo che funziona. Le parti di synth, il mio approccio classico al piano, la voce di Tom con quel suo carattere metal e tutte le altre sfumature si uniscono e si mixano in un modo vincente. Credo appunto che non bisogna pensare troppo, ma agire e fare quello che ci si sente. Ci sono canzoni in cui ti chiedi quali siano i differenti input che ognuno di noi porta, o altre canzoni in cui magari Tom canta più nella sua comfort zone o altre in cui alza l’asticella, perché è proprio la canzone che lo richiede. E la stessa cosa accade per me. Ci sono canzoni come “The One” il cui approccio musicale più classico è molto simile al sound di “Satellites”, mentre ci sono canzoni come “Leaving” che è dominata da suoni synth più di ogni altra cosa il che dona una luce totalmente diversa al pezzo. È una cosa istintiva. E la cosa bella, è che quando mi chiedi come siete riusciti a mettere insieme tutto, non posso che darti la risposta che l’abbiamo semplicemente fatto, credendo in noi stessi. Siamo stati onesti tra di noi, siamo stati onesti con la musica. Se c’era qualcosa che non ci convinceva ci abbiamo lavorato finché non eravamo soddisfatti. C’è stato assolutamente un grande lavoro alla fine di tutto, su ogni dettaglio, anche quello più piccolo. Cercare di rendere tutto il meglio possibile, sempre avendo in mente di essere brutalmente onesti con noi stessi. Ogni canzone deve avere dietro il giusto lavoro. Se lavori troppo ad un pezzo c’è sicuramente qualcosa che non va. Soprattutto quando la musica è così minimalistica. È molto semplice fare troppo, perdendo il focus. Alla fine, sinceramente, tutto riguarda questi aspetti.

Quindi questo è il segreto della vostra alchimia?

Sì, lo spero. Quando mi fermo un attimo a pensarci, credo sia una cosa rivoluzionaria. Credo che a volte tanti artisti non pensino a certi aspetti e guardino alla musica in maniera differente. Magari in maniera più calcolata, cercando il giusto mix di elementi che possano piacere di più al pubblico e alle persone. Dal mio punto di vista cerco di essere un po’ più egoista. È ovvio che cerchi di far sì che il pubblico sia più soddisfatto possibile, ma paradossalmente credo sia giusto ottenere questo essendo un pochino egoisti, perché la musica fatta in maniera sincera ed onesta, è la perfetta rappresentazione di ciò che sei e che vuoi esprimere. Sarà la musica fatta in questo modo quella vera, che rimarrà nel tempo per decenni e decenni. Ed è quello che sono interessato a fare perché credo comunque che il pubblico percepisca quando un artista non è onesto. È davvero qualcosa di fondamentale per me essere onesti.

Si percepisce nella vostra musica tanta malinconia e sentimenti tipici delle terre del Nord e della Scandinavia. Quanto fascino hanno esercitato su di te queste atmosfere?

Sì, è davvero una grande ed importante parte di quello che sono. È divertente perché poi io sono degli Stati Uniti. Ho passato la maggior parte della mia vita a Cleveland in Ohio, che è nella parte Nord a metà degli USA. Vivendo per la maggior parte in quell’ambiente conosco bene quel tipo di atmosfera nordica e fredda, la neve che ricopre ogni cosa, i laghi ghiacciati. Non sono uno straniero rispetto a questo tipo di natura. Certo sicuramente è un po’ diversa l’Islanda rispetto a Cleveland in Ohio (ride, ndr). Ora vivo in North Carolina che è differente, è più a Sud, ma sono circondato da montagne. E ho comunque quella sensazione riguardo alla bellezza della natura ed è davvero qualcosa di importante per me. Lo è stato da sempre, anche prima che ad una certa età capissi quanto questa connessione con la natura fosse così importante per la mia musica. Penso sia qualcosa che c’è sempre stata anche agli inizi quando ho cominciato ed imparato a suonare ed a comporre. Poi questa consapevolezza è uscita quando ero più maturo, al college, quando mi chiedevo quali erano i veri motivi del mio fare musica, i veri motivi delle mie composizioni. Ho cominciato a comprendere che questa era davvero una parte significativa di quello che stavo facendo. Ho avuto questa rivelazione prima dell’incontro con Tom e poi da lì c’è stato un connubio molto forte ed intenso con la musica Scandinava e le sue velature malinconiche così legate alla natura, così evocative sui grandi paesaggi del Nord . Credo che questo sia davvero bellissimo. Penso non ci sia niente di più bello ed intenso nel creare qualcosa così legato al mondo naturale, in questo legame forte tra creazione della musica e creazione della natura.

Sono atmosfere che ritrovo benissimo nel video di “Leaving”, con immagini fantastiche, terre desolate, ma anche in primo piano il tuo pianoforte in fiamme. Cosa simboleggia? C’è un dualismo molto forte tra l’immagine del tuo piano in fiamme e le distese innevate o il mare in burrasca.

Ti ringrazio tanto. Siamo davvero entrambi molto orgogliosi di quel video. L’idea essenziale dietro la canzone “Leaving” è guardare avanti, andare incontro ad un nuovo inizio, e per me come artista, una delle immagini che poteva rappresentare meglio questo concetto, alla fine di una performance è quella di bruciare tutto per guardare avanti. Non è legata a qualcosa riguardo la morte dell’arte o la distruzione, io amo totalmente gli strumenti musicali, non voglio bruciare gli strumenti musicali né tantomeno il mio pianoforte da dove nasce la mia musica. Ma vedi riguarda più il concetto: “Cosa devo fare nella mia vita in certi momenti per andare avanti!?” E a volte devi lasciare andare qualcosa per proseguire, per guardare al futuro e non rimanere attaccato al passato e a quello che è accaduto. So che è qualcosa di molto difficile da fare perché spesso siamo molto attaccati a tante cose, alle persone, alle esperienze, e questo è sì giusto, è qualcosa che ci fa essere umani, ma bisogna anche capire quando certe cose sono terminate e quando è tempo di guardare avanti. “Leaving” è una testimonianza di questo, visivamente con l’immagine del piano in fiamme, che per me è un’immagine molto significativa. Un mio amico mi ha detto che gli ha ricordato qualcosa che aveva visto in un video dei Pink Floyd che amo molto, ed è un paragone molto importante.

Ti ringrazio per questa spiegazione. Penso che ora riguarderò il video con in mente le tue parole ed il tuo punto di vista.

Sì certo, e se sei un amante degli strumenti musicali come me, pensa che quello strumento non aveva già più musica da offrire. Non ho niente contro Jimi Hendrix o cose del genere, ma non distruggerò mai uno strumento che abbia ancora della musica da offrire, è una cosa che vale molto per me ed è troppo importante.

Ti faccio una domanda particolare. In parte hai già toccato l’argomento prima. Una persona che ascolta prettamente rock e metal, ma dalla mente comunque aperta, come dovrebbe approcciarsi nell’ascolto dei vostri lavori? La vostra musica è molto particolare, rallenta i ritmi ai quali siamo abituati e permette di sviluppare qualcosa di più intimo e profondo. Credo che la parola giusta per descriverla sia “arte”. Una perfetta forma di arte.

Grazie davvero, è un commento importante e generoso da ricevere. Credo che la risposta alla domanda, è in quello che tu dici. Le persone hanno bisogno di andare più piano e pensare, ora come non mai è importante fare questo. E credo anche che questa particolare forma di musica contemplativa possa avere un certo feeling con un fan del metal. Fuori c’è tantissima musica contemplativa, ma allo stesso modo è musica che non ha questa particolare energia oscura, con questo tipo di atmosfera molto malinconica. Quindi credo che per ascoltare al meglio questo sound bisogna capire quello che ti porta ad amare anche il metal. Ed anche in un mood più introspettivo, rallentare, guardare indietro e prendersi un momento per respirare. Come quando sei nello stato d’animo per ascoltare un brano black metal, ti puoi trovare nelle stesse emozioni. Per questi motivi credo che questa musica possa essere particolarmente valida per una persona abituata ad ascoltare metal, che abbia voglia di prendersi un momento per fermarsi, ma allo stesso tempo non voglio sentire qualcosa di debole o molle, perché ovviamente non sarebbe significativo per loro. Ho avuto questa conversazione con Tom parlando di questo argomento, parlando della musica più cupa, e come chi ascolta metal può apprezzare questo tipo di sfumature anche nella vita. A volte si tende ad essere un po’ alienati dalla musica troppo allegra, perché non rappresenta al meglio quello che senti, non ti fa sentire te stesso ma qualcun altro. E credo sia per questo che molta gente non ha connessione con questo tipo di  “pop music”. Nella nostra musica ritrovi la malinconia e quelle sfumature oscure e dark, ma ti fa anche riflettere. Non siamo certo gli unici a proporre questo, c’è un intero universo con queste caratteristiche, moderno, classico, cinematografico. Tante proposte davvero interessanti. La cosa importante è che tutto rallenta per farti riflettere e crescere.

Credo che l’ultima canzone dell’album “Nectar” sia davvero perfetta come colonna sonora di un film emozionante e malinconico, ed è molto significativo per me averla messa alla fine del disco.

Ti ringrazio! Forse perché è una traccia completamente strumentale mi ricorda quello che mi ha detto Tom proprio agli inizi della nostra collaborazione. Voleva avere delle visioni dal proprio occhio interiore, dal proprio animo. Una colonna sonora di un film che si sviluppa nella tua mente. Se ogni tipo di musica, non solamente la nostra, riesce ad essere così evocativa e così potente interiormente può essere davvero una colonna sonora per la tua vita, o per quello che vedi quando chiudi gli occhi. È una cosa bellissima per me ed è per questo che mi è piaciuto concludere l’album con questa canzone strumentale. Dopo che hai ascoltato l’intero disco per quaranta minuti circa, hai sentito i testi, sei così vicino alla fine e puoi riflettere dicendo: “Ok, che significato ha quest’album per me? Che significato hanno questa musica e queste parole per la mia vita?” E quest’ultimo pezzo strumentale ti guida in queste riflessioni e in questi pensieri. Tutto ciò si sviluppa maggiormente quando non ci sono le parole e ti lasci trasportare solo dalla musica. Questa è la grande forza della musica strumentale e questo è il perché sia io che Tom amiamo la musica strumentale. È una parte fondamentale per noi. Abbiamo sempre a cuore i testi certo, e le linee vocali sono estremamente importanti in fase di songwriting, ma pensiamo sempre alle parti strumentali. Tom ascolta le mie parti strumentali senza parti vocali e queste parti fanno nascere immagini e visioni nei suoi occhi, nel suo profondo, direttamente dalla musica che ho registrato. Le immagini che scaturiscono interiormente sono davvero importanti: nascono sin dai primi iniziali processi creativi e finiscono con la fine dell’album.

C’è l’idea di portare la vostra musica dal vivo, magari anche in location adeguate e suggestive?

Sì, certamente. Abbiamo parlato sin da prima dell’uscita del primo album di suonare dal vivo. Ma purtroppo c’è stata una pandemia ed era davvero difficile coordinare dei live tra due persone che vivono in differenti continenti, e poi siamo stati davvero molto occupati. Tom con gli Evergrey e altre cose nella sua vita, io con il mio lavoro da studio. Ma lo abbiamo sempre voluto perché amiamo la performance dal vivo, amiamo quella speciale energia che si crea con il pubblico quando sei sul palco. C’è uno scambio di energia così bello ed intenso. È un’esperienza unica che va oltre la musica, oltre te e oltre il pubblico che ti ascolta, qualcosa di davvero potente. Vogliamo suonare come Silent Skies in questa maniera. Una delle cose più importanti per cui non siamo riusciti ancora a fare nulla riguarda il fatto che le vibrazioni e l’atmosfera per la nostra musica sono estremamente importanti e se vogliamo suonare live non vogliamo scendere a compromessi su questo. Anche per quanto riguarda l’organizzazione delle date e delle location. Tanti degli artisti da cui prendiamo ispirazione suonano nei teatri o negli auditorium, ma normalmente non vanno in tour con dei gruppi di apertura. Quindi potremmo suonare assieme ad una band metal che ha qualcosa di similare a noi, o forse con qualche artista o cantautore pop o indie, che magari ha le stesse frequenze dark, ma sarebbe comunque un tipo di pubblico molto differente dal nostro. Ci sono molte cose a cui pensare, ma lo vogliamo veramente fare e non vediamo davvero l’ora di portare la nostra musica sul palco. Valutando le varie opportunità, sono fiducioso che tra non molto potremmo portare la nostra musica on the road.

Grazie mille, è stato un piacere averti con noi. Per concludere, ti chiedo se vuoi mandare un saluto ai lettori di SpazioRock e ai vostri fan italiani.

Sicuro! Grazie mille per il vostro interesse e per darci modo di realizzare quello che amiamo. Dal più profondo del cuore, grazie. Siate certi di ascoltare il nuovo album “Nectar”, uscito il 4 febbraio. Ascoltatelo con la mente aperta e avrete a che fare con musica senza chitarre distorte o batteria potente, ma avrete atmosfere malinconica e scoprirete esattamente quello di cui avete bisogno in questo tempo a vostra disposizione. E se per caso non vi piace, va bene lo stesso! (ride ndr)

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