Foto di copertina: Hajo Mueller

Esce oggi “The Harmony Codex”, settimo album in studio di Steven Wilson. Un lavoro dalla lunga gestazione, iniziato con l’arrivo della pandemia, prima ancora della pubblicazione del precedente “The Future Bites” e del ritorno dei Porcupine Tree e concluso a gennaio, dopo quasi 3 anni. Un album che potremmo definire un eccezionale riassunto della carriera del musicista inglese e, secondo le sue stesse parole, culmine della sua ricerca verso la creazione del proprio universo musicale. Abbiamo avuto la possibilità di discorrere a lungo con Wilson riguardo l’idea dietro questo lavoro così significativo, le diverse influenze e la possibilità di rivoluzionare i propri spettacoli dal vivo.

Ciao Steven, bentornato su SpazioRock, è un onore averti qui! Come stai?

Ciao, sto bene, grazie!

In queste ultime settimane hai pubblicato diversi singoli, hai letto o sentito le reazioni del pubblico?

A dire il vero quando pubblico i singoli prima dell’album non cerco mai feedback dai fan. Di sicuro è utile per la casa discografica, ma personalmente mi interessa molto di più sapere cosa la gente pensa di tutto l’album.

Sì, sono d’accordo. Dunque, parliamo proprio del nuovo album “The Harmony Codex”, che esce oggi. Se non sbaglio l’hai scritto durante la pandemia ed era già pronto quando hai pubblicato “Closure/Continuation” con i Porcupine Tree oltre un anno fa…

Sì, ci ho lavorato durante la pandemia, ma quando è uscito “Closure/Continuation” non era ancora pronto al 100%, mancava qualcosa. L’ho completato a gennaio di quest’anno. A ripensarci è assurdo, perché ho iniziato a mettere insieme le prime idee per questo album appena è iniziata la pandemia, a marzo 2020, quindi ci sono voluti quasi 3 anni per completarlo. Però ovviamente non ho lavorato solo a quello per tutto questo tempo, nel frattempo è uscito “The Future Bites”, poi c’è stato il ritorno dei Porcupine Tree e così via.

Come primo singolo hai scelto “Economies Of Scale”. È molto particolare come brano e credo che sia stata scelta perché ha elementi estranei al resto della tua discografia, come il loop elettronico, ma anche elementi per cui è molto facile ricondurla a te. Ci sono altre ragioni dietro a questa scelta?

Grosso modo ti sei risposto da solo, i motivi principali sono proprio quelli che hai detto. Volevo dare una continuità al mio album precedente “The Future Bites” con l’utilizzo massiccio di elettronica, ma allo stesso tempo distaccarmene, essere più concettuale e avere una struttura più particolare. Oltre a ciò, mi ha riportato anche ad una fase di sperimentazione. A dire il vero c’è anche un altro motivo, ovvero il video. Lo trovo bellissimo e credo che sia un’ottima scelta quella di pubblicare come primo singolo un pezzo che abbia un video così bello e a suo modo iconico.

A proposito della continuità, ho sempre visto le tue pubblicazioni come una sorta di viaggio. Come sono collegati “The Harmony Codex” e “The Future Bites” da questo punto di vista? Riflettendoci ci sono alcuni territori comuni se parliamo dell’utilizzo dell’elettronica in brani come “King Ghost”, che era in “The Future Bites” e “Economies Of Scale” o la titletrack di questo nuovo album, stiamo parlando di loop elettronici minimali, un sound abbastanza dark e così via. Quindi che collegamento c’è?

È difficile da dire, visto che comunque cerco sempre di fare qualcosa di diverso ad ogni pubblicazione. Con “The Future Bites” ho dato più spazio all’elettronica facendo canzoni rivolte verso il pop, era un album molto compatto e diretto, durava relativamente poco per me. “The Harmony Codex” invece è molto più cinematico, concettuale e sperimentale, quindi si potrebbe dire che questo album è quasi una reazione opposta al precedente. Ma come hai detto giustamente, se parliamo di elementi musicali c’è un senso di continuità in molti pezzi per quanto riguarda l’utilizzo di elettronica e cose simili. Allo stesso tempo però in “The Harmony Codex” ci sono pezzi che non avrebbero mai potuto stare in “The Future Bites”. Qualcuno ha detto che in questo album c’è tutta la mia storia e alla fine non è sbagliata come affermazione. Un pezzo come “What Life Brings” avrebbe potuto stare in un album dei Porcupine Tree di 20 anni fa o in un lavoro dei Blackfield, “Economies Of Scale” come hai detto te sarebbe stata bene in “The Future Bites”, “Impossible Tightrope” con i suoi elementi prog e jazz potrebbe stare in un altro mio disco solista. Quindi c’è un senso di familiarità, ma ascoltare tutti i pezzi insieme nell’album secondo me dà sensazioni diverse.

Sì, assolutamente, ovviamente se parliamo di un brano come la title track, nonostante abbia elementi musicali simili non avrebbe mai potuto stare in “The Future Bites”, il mood e la struttura sono completamente diversi.

Sì, anche perché stiamo parlando di un brano di 10 minuti praticamente strumentale, in cui non succede molto, è minimale e tende all’ambient. In “The Future Bites” le canzoni erano dirette e brevi. Qui abbiamo a metà album questo pezzo senza ritmo, senza parti vocali, senza chitarre, che punta tutto su sensazioni ambient quasi cosmiche. Un brano del genere non avrebbe potuto stare in nessuno dei miei album precedenti, è qualcosa di completamente nuovo.

StevenWilsonPromo

Sì ed è proprio per questo che è la canzone che mi ha sorpreso di più, la prima volta che l’ho ascoltata era come se stessi galleggiando nello spazio. E la cosa migliore è il fatto che nonostante sia diversa da tutto quello che hai fatto in precedenza, essendo così ambient, dark e minimale, alla fine pensando ai suoni e al songwriting credo che un pezzo del genere possa essere solo tuo.

Spero davvero che sia così, ma è difficile guardarsi allo specchio. A volte scrivo qualcosa che per me è completamente diverso da qualsiasi cosa fatta in passato, poi la faccio sentire a mia moglie e ai miei amici e mi dicono “Si sente che è una tua canzone”. Quindi, quando ti guardi allo specchio noti un sacco di cose diverse, ma non ti concentri su di te. Magari vedi che i capelli sono diversi e cose simili, ma invece le altre persone che ti conosco quando ti vedono notano te, non altri particolari. Credo che alla fine questa sia una buona cosa, significa che posso usare un sacco di elementi diversi, ma che alla fine ho un senso di coesione e si capisce che viene tutto dallo stesso artista. Anche se prese singolarmente le canzoni sono diverse, addirittura sono di generi diversi, alla fine ricordano sempre me, quindi non è una cosa frammentata.

Da ascoltatore questa è una delle cose che mi piace di più, un artista che riesce a fare un sacco di cose diverse rimanendo sempre se stesso. E proprio per questo motivo credo che “The Harmony Codex” sia uno dei tuoi lavori migliori, come hai detto ha una miriade di canzoni e di elementi diversi, ma ascoltando dall’inizio alla fine è comunque coeso e acquista un senso in più. Immagino che fosse proprio questo il tuo obiettivo con questo album…

Grazie mille! Sì, ma in parte. Quello che dici è interessante perché ho sempre avuto difficoltà quando arriva il momento di dover presentare un nuovo album e dover scegliere poche canzoni da pubblicare per prime, completamente estrapolate da quello che è il loro posto all’interno dell’album. Tornando a una delle tue prime domande, la scelta di “Economies Of Scale” non è stata per niente facile, eravamo indecisi, stavamo pensando ad altre due canzoni che ovviamente erano molto diverse. Una cosa che ho imparato negli anni con tutte le pubblicazioni che ho fatto è che ci sarà sempre un pregiudizio sull’album basato sul primo singolo. Ad esempio se in questo caso a qualcuno non è piaciuta “Economies Of Scale”, allora sarà portato a pensare che tutto l’album è così e quindi una parte della sua mente avrà già deciso che l’album non gli piacerà. Quindi in queste situazioni ho sempre un po’ di difficoltà. In un mondo perfetto vorrei pubblicare direttamente l’album, ma purtroppo non si può fare [ride, ndr]. C’è una campagna di promozione da seguire e tutta una serie di cose, cose che comunque mi piace fare (come i video), però il punto è che non puoi sapere com’è un album finchè non lo ascolti tutto dall’inizio alla fine. Questo è il motivo per cui stiamo organizzando delle sessioni di ascolto dell’album al buio, senza nessun pregiudizio, concentrandosi al massimo sulla musica.

Ho partecipato a una di queste sessioni per “Closure/Continuation” ed effettivamente è stata un’esperienza incredibile. È il modo in cui la musica andrebbe ascoltata.

Sì, anche se ovviamente non abbiamo mai occasione di farlo in questo modo. Cioè, sono cresciuto ascoltando musica così, ma ora è difficile. La vita è piena di distrazioni ed è difficile anche solo prendersi il tempo di ascoltare tutto un album senza fare altro, senza controllare lo smartphone, le mail e così via. Quello che amo di questi eventi è che il pubblico anche volendo non puoi mettersi a fare altro, perché le luci sono spente [ride, ndr]. E alla gente piace un sacco.

Tornando all’album, hai lavorato con molti musicisti diversi, ma Adam Holzman è presente in quasi tutte le canzoni e avete anche scritto insieme “Economies Of Scale”. Com’è il rapporto tra voi due?

Fantastico. Quando scrivo e suono da solista ho un gruppo di musicisti di cui mi fido al 100%, so benissimo che con loro posso intendermi al volo e che riescono a capire cosa voglio. Questa è una cosa molto preziosa e mi succede sempre con Adam. A volte parli con un musicista, credi che abbia capito, ma alla fine ottiene qualcosa di completamente diverso da quello che ti aspettavi [ride, ndr]. Adam è il contrario, capisce come intendo la musica e riesce anche a sorprendermi. Questo è il bello del collaborare, rimanere sorpresi da come un musicista interpreta la tua idea. Lui è uno dei miei collaboratori più fidati, un po’ come Nick Beggs.

Per “What Life Brings” invece, tra gli altri hai lavorato con Guy Pratt, che è una sorta di leggenda in questo ambito, ha suonato anche con i Pink Floyd.

Sì, decisamente. È un amico ed era perfetto per quel pezzo. Un’altra cosa che mi piace di questo album è il fatto che avendoci lavorando durante il lockdown ho potuto assemblare praticamente una band diversa per ogni pezzo. Normalmente quando registri un album metti insieme una band, vai nello studio e registri tutto con quella band. Questa volta non ho potuto farlo, non potevo neanche incontrare dal vivo altri musicisti, quindi ho pensato di fare le cose in modo diverso e di pensare a musicisti diversi che fossero adatti ai pezzi. Guy è un esempio lampante, era perfetto per “What Life Brings”, che ha un mood nostalgico, un senso dello spazio quasi floydiano. Quindi chi era meglio di lui al basso?

ARTWORK Harmony Codex

Sì, effettivamente quando l’ho sentita la prima volta non sapevo ancora che suonasse lui il basso, ma qualcosa mi ha ricordato i Pink Floyd e tutto quel mood.

Sì, esatto, era la scelta migliore. In condizioni normali il basso l’avrebbe suonato Nick Beggs in tutte le canzoni. Ascoltando l’album, non solo si ascoltando tanti generi diverse, ma si ascoltano anche diversi gruppi di musicisti che suonano insieme.

Visto che stiamo parlando di un album diverso dai precedenti, stai anche pensando di cambiare qualcosa per quanto riguarda i concerti? Hai già qualche tour pianificato?

Per questo album non vorrei fare un tour classico, come i precedenti. Non c’è ancora nulla di definito perché ho appena iniziato a pensarci, ma quello che vorrei fare se l’album piacerà al pubblico è organizzare eventi in qualche modo simili alle sessioni di ascolto al buio con audio spaziale. Quindi l’idea è di fare più serate in una stessa città suonando in location piccole, invece che una serata in una location grande, mettendo un sistema di audio spaziale con le casse ovunque nel locale, anche sopra e dietro il pubblico. Oltre a ciò vorrei anche creare scenografia e visuals molto immersive, con schermi e luci. Ovviamente con anche i musicisti e la musica dal vivo, ma questo andrebbe un po’ a ridefinire il concetto di quello che è una classica esibizione con la band che suona sul palco e i suoni che vengono tutti da lì. Quindi sì, sto pensando a qualcosa di diverso, più immersivo e cinematico.

Sarebbe un’esperienza fantastica.

Sì, è una cosa che mi piacerebbe tantissimo fare, anche per portare un po’ di innovazione nell’esperienza live.

Come dicevo prima, mi piace considerare la tua carriera come un viaggio. Guardando a tutta la musica che hai scritto, registrato, prodotto e mixato c’è tanto lavoro e tanta ricerca, non solo in termini di generi, ma anche riguardo alle tecniche di registrazione e così via. Credo che questo sia uno dei motivi per cui sia con i Porcupine Tree, che con i tuoi album solisti riesci a parlare a diverse generazioni. Ovviamente la tua musica parte dalle vecchie rock band, ma grazie a questa ricerca riesci a includere anche la modernità e in questo modo a parlare sia alle vecchie generazioni che alle nuove. Da questo punto di vista, come definiresti la tua etica lavorativa?

Credo che tutto si riconduca all’idea di creare un mio universo musicale e di non essere legato alla definizione di un genere musicale. Dicevi dei ragazzi giovani che in qualche modo sono legati alla mia musica, i ragazzi giovani sono nati in un mondo che produce un sacco di suoni elettronici. E non sto parlando di musica, ma proprio di suoni che sentiamo nella nostra quotidianità, che provengono da qualsiasi dispositivo. Le chitarre hanno dominato il mondo della musica per 50 anni, fino alla fine del secolo scorso. Si può quindi dire che sono il suono del 20esimo secolo, ma non quello del 21esimo secolo ed è naturale che persone nate in questo contesto non sia attratte dal suono analogico di una chitarra, ma da suoni elettronici, in mezzo ai quali sono cresciuti. Sono rimasto affascinato dall’idea di combinare questi elementi in un certo modo e forse è per questo che il mio pubblico, allo stesso modo, è una combinazione di generazioni. Quindi ci sono persone che sono cresciute ascoltando il classic rock anni ’70 e che trovano qualcosa nella mia musica, ragazzi che sono cresciuti ascoltando metal e che trovano qualcosa nella mia musica, ragazzi alternativi che ascoltano Aphex Twin e che trovano qualcosa nella mia musica… Ci sono anche giovani cresciuti ascoltando musica pop recente che trovano interessante la mia musica. Credo che questo derivi dal fatto che sono molto curioso riguardo la scrittura e riguardo le tecniche di registrazione, ma soprattutto ci tengo che la mia musica non sia generica. Questo è quello che intendo con il concetto di creare un proprio universo musicale. Prendiamo una serie di artisti per cui ho una grande ammirazione e stima. E non dico che musicalmente sono per forza tra i miei artisti preferiti, solo che li ammiro per quello che sono riusciti a fare. Prendiamo ad esempio Nick Cave, Frank Zappa, David Bowie, Kate Bush, Peter Gabriel, sono tutti artisti che, indipendentemente dal fatto che mi piacciano o meno, hanno creato il proprio universo musicale e se qualcuno ti chiede “Che tipo di musica fa Nick Cave?”, come puoi rispondere?

Già, è impossibile dare una risposta…

Sì, è difficile, la risposta più ovvia sarebbe “Fa la musica di Nick Cave” e lo stesso vale per tutti gli altri. E il mio desiderio è che in futuro (non per forza ora, ma in futuro), quando qualcuno chiede “che tipo di musica fa Steven Wilson?” l’unica risposta possibile sia “ha creato il suo universo musicale e va ascoltato per capire”. Quindi “The Harmony Codex” è il culmine di questa idea. E tornando alla tua domanda, credo che la varietà di pubblico rifletta proprio questa idea.

Questa era l’ultima domanda, grazie mille per le tue risposte e la tua disponibilità, è stato un piacere. Congratulazioni per l’uscita dell’album!

Grazie a te per le domande, buona giornata!

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