Più sacrileghi che mai, gli eroi del mondo oscuro infestano la coda di questo caldo settembre.

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Aset – Astral Rape (Les Acteurs De L’Ombre Productions)

Alleanza franco – finlandese con membri ignoti di Oranssi Pazuzu e Seth, ma la cui line-up racchiude anche musicisti provenienti da altre band – sempre d’identità anonima, s’intende – , gli Aset debuttano sulla lunga distanza con questo “Astral Rape”, album latore di un black metal sì molto aggressivo e, a tratti, in combutta col death, ma aperto a contaminazioni di indole teatrale e atmosferica. D’altronde, il monicker del gruppo, che richiama il nome originale della dea Iside, rivela, in maniera istantanea, l’approccio tematico dell’oscura compagnia, gustosamente impelagata tra i riti occulti di un Antico Egitto gravido di cosmico e torbido misticismo. Più vicini all’approccio polifonico dei Seth che a quello sperimentale degli Oranssi Pazuzu, l’ensemble si rende protagonista di un disco godibile e dalla produzione estremamente moderna, arricchito da molteplici riferimenti stilistici contemporanei (Akhlys, Deathspell Omega, Gaerea, Regarde Les Hommes Tomber, The Great Old Ones) e provvisto di una tavolozza d’umori davvero variegata, capace di elevare la credibilità arcana dell’insieme. Apocalittico, drammatico, inquietante, ipnotico, minaccioso: peccato che, probabilmente, resterà un lavoro di natura squisitamente occasionale.

Tracce consigliate: “A Light In Disguise”, “A New Man For A New Age”, “Serpent Concordat”

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Cannibal Corpse – Chaos Horrific (Metal Blade Records)

Se alcune band veterane appaiono purtroppo in difficoltà già da diversi anni, altre, invece, sembrano godere dell’elisir di lunga vita, rinsaldando continuamente uno status di culto inscalfibile. Mentre a inizio mese i Dying Fetus sono tornati a mettere le cose in chiaro con un nuovo album carico a pallettoni quale “Make Them Beg For Death”, oggi tocca ai Cannibal Corpse ribadire, ancora una volta, la propria posizione egemone in ambito death metal. Certo, qualcuno, anche a ragione, potrebbe contestare tale giudizio, eppure pare difficile trovare obiezioni valide in merito, soprattutto dopo una carriera ultratrentennale caratterizzata prevalentemente da lavori di grande calibro e da pochissimi, se non addirittura impercettibili momenti di down artistico. A ogni modo, ad appena due anni dall’ultimo “Violence Unanimaged”, il gruppo a stelle e strisce pubblica, ora, “Chaos Horrific”, un disco forse imprevisto, che giunge, rispetto alle abitudini, a poca distanza di tempo dal predecessore, nato tra gli intervalli di una lunga serie di concerti, ma con il singolo dettaglio messo al posto giusto per funzionare al meglio. La seconda presenza consecutiva di Erik Rutan alla chitarra, così come la sua attività di produttore del gruppo dall’epoca di “Kill” (2006) in avanti, rappresenta sicuramente quel quid capace di conferire sostanza e tetragona freschezza a un sound che, malgrado mostri un pizzico di brutalità in meno del solito, rimane ugualmente pesante e massiccio, profondendosi altresì, nel mezzo di stoccate thrash e barlumi atmosferici, in territori tecnici e orecchiabili. George “Corpsegrinder” Fisher, Rob Barrett, Alex Webster e Paul Mazurkiewicz, fanno il resto, per un sedicesimo full-length di meravigliosa levatura, probabilmente il disco che gli Hate Eternal desidererebbero scrivere. Giù il cappello a questi eterni giovincelli.

Tracce consigliate: “Overlords Of Violence”, “Blood Blind”, “Fracture And Refracture”

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Den Saakaldte – Pesten Som Tar Over (Agonia Records)

I Den Saakaldte sono sempre stati, in qualche modo, una di quelle band note più per alcuni membri di spicco quali Niklas Kvarforth o Hellhammer che per la qualità intrinseca, comunque discreta, dei vari lavori rilasciati. Oggi, nove anni dopo “Kapittel II: Faen I Helvete”, il quintetto internazionale di stanza in Norvegia, con il chitarrista e compositore storico Sykelig a guidare una formazione di nuovo rinnovata rispetto all’ultima prova in studio, torna a elargire sprazzi di black metal austero e tradizionale grazie a “Pesten Som Tar Over”, disco figlio soprattutto dell’incrollabile testardaggine del mastermind greco, mai arresosi di fronte alle difficoltà di tenere in vita la propria creatura. Di primo acchito, appare manifesto come il gruppo abbia abbandonato la glorificazione degli stati depressivi di un “All Hail Pessimism” (2009) a vantaggio di un approccio quasi rock’n’roll, grezzo e arrogante benché molto curato, simile, per certi versi, al sound proposto dai Mork, compresa una produzione sì poderosa, ma non troppo moderna, capace di riflettere appieno il mood oscuro dell’album. Il platter, dunque, rappresenta un’ottima risposta conservatrice a tutti quei pretenziosi avanguardisti rei di tradimento nei confronti del metallo nero originario: la ricombinazione di ingredienti tradizionali non genera sempre dei mostri amorfi.

Tracce consigliate: “Av Satans Ild”, “Hat”, “Den Stormen I Oktober”

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Profanatica – Crux Simplex (Season Of Mist)

I Profanatica, ovvero la depravazione suonata nel modo giusto dal 1990. La band si formò quando il vocalist e batterista Paul Ledney decise che le aspirazioni degli Incantation, pur malevole, non fossero troppo in linea con la sua visione blasfema del mondo e della musica estrema. Se il gruppo di John McEntee, ancora oggi vivo, vegeto e in piena forma, come dimostra la recentissima release “Unholy Deification”, costituisce soltanto un riferimento di secondo piano per il sentiero della mano sinistra, i Profanatica hanno confermato, nel corso del tempo, di essere i veri e unici campioni di un satanismo sacrilego fino al midollo. “Crux Simplex”, il loro sesto full-legth in studio, rappresenta l’ennesima testimonianza della crudeltà assoluta del black/death a stelle e strisce, crudeltà superiore rispetto a uno stile europeo interessato a evocare le proprie radici oscure, leggendarie e malinconiche piuttosto che indulgere in un’empietà, dall’altra parte dell’Atlantico, spesso e volentieri ferocemente sacrilega. In questo caso, il gruppo ci regala un concept album che si fa beffe delle prime dieci stazioni della Via Crucis, con la metà iniziale dei brani raccontati addirittura dal punto di vista di Gesù Cristo. Ne viene fuori un lavoro più grezzo e malato dello scorso “Rotting Incarnation Of God” (2019), ricco di influenze punk e attraversato da una schietta cattiveria anche quando gli statunitensi scelgono di rallentare i giri del motore: una sentenza che non tradisce.

Tracce consigliate: “Take Up The Cross”, “Meeting Of A Whore”, “Cunts Of Jerusalem”

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Ruin Lust – Dissimulant (20 Buck Spin)

Il terzo full-length dei Ruin Lust, “Choir Of Babel”, pur di ottima qualità, incappò nella sfortuna di essere rilasciato nel marzo del 2020, in piena esplosione pandemica, con i vari annessi e connessi del caso, specialmente l’impossibilità di promuoverlo dal vivo. Il trio newyorkese composto da J. Wilson, M. Rekevics e S. Bennett pubblica, ora, “Dissimulant”, un disco il cui rumore devastante  e minatorio pare scaturire dai movimenti gargantueschi delle placche tettoniche terrestri, generando un parossismo uditivo da guinness dei primati. A questo punto, gli statunitensi potrebbero quasi ritenersi i maggiori responsabili della grande colata di fango che ha afflitto l’ultima edizione del Burning Man Festival nel deserto del Nevada. Perché le otto composizioni del long playing centrifugano black primigenio e death sepolcrale in una mistura così poderosa da giungere alle soglie di un war metal a dir poco bestiale, emergendo dalle viscere del Pianeta come un turbine vorticoso, non lasciando alcuna traccia di vita dietro di sé. Un attentato all’esistenza progettato con precisione militare, nel quale anche e soprattutto i passaggi melodici non fanno altro che saturare di angoscia un clima già pregno di catastrofe: barbarie pura.

Tracce consigliate: “Eden”, “Thrall”, “Purge”

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