Io ci provo sempre, ogni settimana o quasi, a scoprire qualcosa di nuovo o almeno qualcuno… di nuovo, anche se fa felicemente qualcosa di vecchio, seppur fatta bene. Venivo da un paio di settimane di intense ricerche, locale per locale qui a Londra, di quel qualcosa che mi accendesse le orecchie. Nulla, questa volta tornavo a casa in lacrime, senza alcun nome appuntato nel mio taccuino da vecchio ficcanaso musicale. Anche con un bel centinaio di canzoni nuove pescate online… niente, tutto uguale, prevedibile. Nessuno che ci prova con un riff, tutti che vanno per il ritornello in maggiore e le strofe che, arpeggio di circostanza a sostegno, narrano la solita cantilena che parte rapida e finisce moscia, con le ultime due note piazzate lì, due valigette di cartone da buttare nell’immondizia. Tutto pop-rock, tutto pop-metal, tutto pop-noia. Colpa di Ed Sheeran? Colpa dei corsi di musica commerciale? Colpa dell’importanza di non provarci mai nella vita, ma di scrivere qualcosa di profondo su Instagram per accompagnare la solita-canzone-qualsiasi?

Improvvisamente la mia agendina mi strattona per ricordarmi del concerto dei Mr. Big, di lì a qualche giorno. Penso alle canzoni dei Mr. Big, e ripenso a quelle quindici band che sono andato appositamente a scoprire, per poi richiudere il barattolo. Lo dico a qualche amico che starò per gustarmi Sheehan e Gilbert, di lì a una settimana. Noto lo spartiacque tra chi mi deride per una presunta grossolanità e pacchianeria della band americana e chi invece trova i Mr. Big un mezzo miracolo dell’hard rock, nel pericoloso periodo che fuoriusciva dagli Anni Ottanta e penetrava nei Novanta. Ovviamente qualcuno non sa chi siano, passo loro il link di “To be with you” e… ma certo che li conosco! Torno a dedicarmi agli ignoranti, quelli che ignorano – come piace dire a chi vuole bisticciare con composta aggressività. Dal mio punto di vista, io che non sono un amichevole metallaro, ho gusti ricercati, adoro i riff complessi, le linee melodiche che fanno zig-zag, gli accenti imprevedibili, per me che mi squaglio quando trovo queste caratteristiche in canzoncine tra tre minuti… ecco che quindi reputo i Mr. Big deliziosi, e solo all’apparenza dei rockettari da fine Anni Ottanta, ma in realtà abili autori di canzoni per tutti, nell’accezione più positiva dell’espressione.

MrBigBand

Quindi, in compagnia di una cara amica che la pensa come me (ed è inoltre diplomata al conservatorio in violino, occhio!) mi reco a Shepherd’s Bush, Londra Ovest, quel lato di Londra meno musicalmente underground rispetto a Nord, Sud ed Est ma piuttosto ricco di venue di tutto rispetto, e di case pure niente male, per chi può permettersele. Quella che ci accoglierà sarà, da definizione, la “music venue” O2 Shepherd’s Bush Empire che, sarà stato per il nome Empire, me l’aspettavo come un’arena pazzesca, invece risulta essere una “piccola ma bella” sala da concerto, duemila persone di capienza, un grazioso teatro in pratica. Pochi fronzoli, le cinque grosse lettere del nome della band sul palco, già dal nostro arrivo. Sarà solo musica, è chiaro, nessuno si aspetta i raggi fotonici dei Pink Floyd.

Penso che vorrei che tanti giovani musicisti, giovani soprattutto nello spirito e volenterosi nelle intenzioni, fossero qui stasera, o si tuffassero a casa nell’ascolto sincero dell’intero “Lean Into It”, l’album del 1991 che Eric Martin e soci presentano nella sua interezza in questa loro ultima tournée. Lo rifanno seguendo esattamente la tracklist, e non apportandoci praticamente alcuna modifica. Quindi tutto previsto, e sulla prima traccia ecco che escono i trapani da lavoro e Sheehan e Gilbert fanno quello che tutti sappiamo. Cosa, se non lo sai? Plettri montati sui trapani e via di assolo all’unisono. Billy Sheehan, che bassista… Settant’anni (il più anziano della band), statuario, affabile, veste tranquillamente il suo Yamaha a manico doppio come se fosse un ukulele. Il suo suono moderatamente distorto e largo di ogni frequenza riempie qualsiasi canzone, Paul Gilbert viaggia libero e sicuro col suo genio chitarristico quando sa che al basso è presente tale sapienza artistica. Puro rock eppure così fantasioso, ricco, gustoso, cantabile. Quando arriva il momento dei due soli “da soli” (quindi riflettore addosso e i compagni di band dietro le quinte) sia Paul Gilbert, prima, che Billy Sheehan, poi, regalano al pubblico non una valanga di note ma tante ricche e piccole creazioni, tanta musicalità e tanto trasporto, tanta voglia di giocare col proprio strumento, di trascinare, non di mostrare.

Tornando al “Lean Into It” interamente dal vivo, io credevo che “Green-tinted Sixties Mind” piacesse solo a me… ma invece, quando Gilbert attacca con quella splendida intro, il pubblico esplode di gioia. Il palco assume tinte verdi e mi rendo conto di come quella canzone rappresenti davvero con efficacia il semplice genio artistico dei Mr. Big, oltre alla loro evidentissima qualità tecnica. Rieccoci, la composizione. L’arpeggio di chitarra complesso e preciso, il basso che intarsia parti su parti, la voce ispirata ma controllata, la batteria essenziale, hard rock ma mai e poi mai facilona. Alla voce, per le due date di Londra, Eric Martin necessita di una piccola spinta e ha sul palco l’eccellente Michele Luppi che doppia con sicurezza praticamente tutto il repertorio proposto dalla band. Martin può quindi respirare un attimo e se manca qualcosa Luppi la piazza con talento e fedeltà. Due voci all’unisono per un intero concerto non deve essere facile… Poi, per tutto il resto, c’è Paul Gilbert alla chitarra. Entra in scena serio serio, elegante, sembra quasi un professore di un corso di pittura moderna. Occhiali, capelli all’indietro, cravatta. Sheehan invece fa il rocker della situazione. Ma a poco a poco Gilbert si lascia andare e si fa prendere sempre più dallo show e il suo suonare guida ogni canzone. Lui è il volante dei Mr. Big, mentre Sheehan fa letteralmente tutta la carrozzeria, fanali e tergicristalli compresi. Penso tra me e me che con quei due ai manici, non si ha bisogno di altro, nella musica.

MrBigLondra

I Mr. Big in passato hanno spesso presentato gustose cover di brani famosi, lo fanno anche quando (come da tradizione) si scambiano gli strumenti sul palco. Sheehan alla voce non è affatto male e lo conferma anche quando eseguono “Shy Boy”, brano del repertorio dei suoi Talas, anche questa cantata da Billy e ricordo quando vent’anni prima vidi a Milano Steve Vai con Sheehan al basso, e proprio con quel numero aprirono lo show, e io non sapevo se guardare Vai o Sheehan, tanto era il bello della musica dal vivo, in quel momento davanti ai miei occhi.

La serata di Londra si chiude con l’iconico bassista che conferma l’importanza per loro di essere ed esibirsi nella capitale della musica inglese, della fortuna di essere stati travolti dalla British Invasion, sembra quasi stia per sciorinarci una lezione di storia della musica moderna. La proponevano già in passato, ma quando chiudono con Baba O’Riley degli Who, per noi “Londinesi”, è il tripudio, è festa. Vera gioia in musica, entusiasmo, una sincera spremuta di vita. Loro sul palco sono davvero felici di esserci, e lo trasmettono, arriva eccome a noi nel pubblico. Forse anche felici della consapevolezza di aver regalato una dozzina di grandiose canzoni così rock, così essenziali eppure speciali, esemplari? Da prendere come esempio, appunto, quasi senza rendersene conto, durante l’ascolto di “Lean Into It”.

Setlist

Addicted to That Rush
Take Cover
Price You Gotta Pay
Daddy, Brother, Lover, Little Boy (The Electric Drill Song)
Alive and Kickin’
Green-Tinted Sixties Mind
CDFF-Lucky This Time (Jeff Paris cover)
Voodoo Kiss
Never Say Never
Just Take My Heart
My Kinda Woman
A Little Too Loose
Road to Ruin
To Be With You
Wild World (Cat Stevens cover)
Guitar Solo
Colorado Bulldog
Bass Solo
Shy Boy (Talas cover)
30 Days in the Hole (Humble Pie cover)
Good Lovin’ (The Olympics cover)
Baba O’Riley (The Who cover)

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