Che i Periphery abbiano accresciuto il loro seguito in maniera esponenziale lo testimoniano i numeri: primo tour europeo post pandemia e show completamente sold out già due settimane prima del live. Sette anni dopo l’ultima visita nel capoluogo lombardo alla Santeria Toscana 31, Spencer Sotelo e compagine riempiono fino all’orlo l’Alcatraz per uno dei concerti metal più attesi del freddo inverno milanese.

Ad appiccare i primi moshpit nel già gremitissimo parterre ci pensano i Crooked Royals, band neozelandese che cresce sotto l’ala protettiva della 3DOT Recordings: djent a pacchi e un prog-post-hardcore tecnico, doppio frontman ad alternare cantato pulito e growl e “some tapping shit” per presentare al meglio i pezzi melodici da torce oscillanti sopra le teste. Opening act di spessore, che scuote per bene la platea e addolcisce l’attesa dei colossi di Bethesda.

Le luci si assopiscono, l’epico outro strumentale di “Zagreus” comincia a tuonare tra i muri dell’Alcatraz: i cinque escono ad acciuffare le urla di affetto del pubblico italiano, subito convertite nel vigore elettrico delle corde basse che iniziano a vibrare per la martellante marcia di “Dracul Gras”. Setlist di livello assoluto, che va a toccare tutti i tasselli discografici della band del Maryland e che onora, ovviamente, l’ultimo, bellissimo, “Periphery V: Djent Is Not A Genre”.

“Wildfire” crea il panico in platea, “Atropos” mette in crisi la tenuta del collo causa corposo headbanging; ritmo dettato dai mid-tempo giganteggianti e dai blast beat che squarciano l’andamento felpato per tramutarlo in una corsa a gambe levate, la stessa che anima gli arti inferiori dei coraggiosi guerrieri all’interno del circle pit generato dal tritacarne sonoro di “Make Total Destroy”.

Sudore a fiumi, scarpe che volano, Spencer e soci che scherzano con il pubblico – ai Periphery non manca di certo il senso dell’umorismo – richiamando il gesto della “mano a pigna” e invocando l’idilliaco coro “suck my balls!” che rimbomba per tutto l’Alcatraz, tra simpatici stereotipi e esilarante nonsense.

Non solo pogo, ma anche tanta melodia a portar soccorso ad un battito cardiaco già ampiamente messo alla prova: Jake Bowen e Misha Mansoor giocano con tecnica e delicatezza armonica nella variopinta “The Way The News Goes…” e nella sentitissima “Satellites”, Mark Holcomb imbraccia la chitarra acustica e, assieme al frontman, ci regala una “Scarlet” in versione unplugged da brividi.

Se “Letter Experiment” era un test fisico per verificare la nostra tenuta, “Blood Eagle” ci costringe a mollare ogni freno inibitorio: l’ariete di “Periphery IV: Hail Stan” genera un terremoto devastante che rivolta il locale prima di far calare definitivamente il sipario su un concerto chirurgico, meravigliosamente studiato nella scaletta e perfettamente realizzato.

Tutti in forma smagliante, totalmente in simbiosi con il pubblico sottostante: sorrisi, mazzate (amichevoli) e benzina djent – sì, è un genere – che, a distanza di giorni, alimenta ancora la produzione di adrenalina nei nostri corpi. Non potevamo chiedere di meglio.

Setlist

Dracul Gras
Wildfire
Atropos
The Scourge
Make Total Destroy
Letter Experiment
Scarlet (Acoustic)
The Way The News Goes…
Marigold
Satellites
Blood Eagle

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