Veil of Maya - [m]other
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Veil of Maya – [m]other

Life always finds a way
Time is a traveled space

Fa un po’ strano dirlo, ma sono passati quasi sei anni da quando i Veil of Maya hanno pubblicato il loro ultimo album, “False Idol”, nell’ottobre del 2017. Sono successe molte cose da allora, e il nuovo full length sembra voler racchiudere tutto quanto in 10 tracce. “[m]other” è un album in cui si ritrovano tanti aspetti dei Veil of Maya di un tempo, ma rinfrescati da sonorità elettroniche. La cosa più evidente, oltre all’indiscussa bravura tecnica di tutti i membri della band, è quanto sia migliorato Lukas Magyar. Il suo range vocale appare più flessibile rispetto agli album precedenti, con parti pulite più controllate e bassi in growl più bassi che mai.

Il loro desiderio di tornare alle origini è evidente già dalla prima traccia, “Tokyo Chainsaw”. La band di Chicago non perde tempo, partendo con un veloce mix di riff spigolosi e una poliritmia che quasi confonde e stordisce. “Artificial Dose” tiene il passo, dando un assaggio del lato più melodico della band, con un ritornello orecchiabile che interrompe la frenesia di chitarre e sintetizzatore. Anche “Godhead” non è da meno, con note lente e bassissime di una violenza inaudita, tra le scelte più azzeccate per promuovere l’uscita dell’album. È poi il momento di “[re]connect”, forse il pezzo che più riesce a portare indietro nel tempo. Il meraviglioso lavoro di chitarra di Marc Okubo ricorda moltissimo il sound dell’album “Matriarch”, uscito nel 2015 e tra i più apprezzati dai fan dei Veil of Maya. 

Esattamente a metà album troviamo un altro dei singoli che hanno anticipato l’uscita del sesto album in studio della band: “Red Fur”, forse il brano che rimane più in testa e che fa venire voglia di un lungo singalong sotto palco. Non è da meno “Disco Kill Party”, con cui entriamo in contatto con un nuovo lato dei Veil of Maya. La band abbraccia sonorità synthcore moderne e ben strutturate, senza rinunciare ai riff iper tecnici che sembrano impossibili da suonare. Una svolta stilistica che si poteva intuire già vedendo la copertina dell’album, che lascia intuire una sottotrama musicale vaporwave fatta di sintetizzatori e rievocazioni anni ‘80.

Ecco finalmente la title-track dell’album, “Mother pt.4”, il brano più lungo e strutturato. Ascoltarlo è come fare un viaggio psichedelico tra generi e sottogeneri: si passa dal metalcore con interferenze elettroniche alla violenza del deathcore, con ritornelli melodici cantati su una base poliritmica fatta di eleganti tecnicismi. Segue un altro dei singoli che già conoscevamo: “Synthwave Vegan”, che dipinge un ritratto perfetto di quello che i Veil of Maya vogliono essere.

Arriviamo alle battute finali, con i due pezzi più violenti di tutto l’album. “Lost Creator” parte subito in quarta e non dà un attimo di tregua, in un vortice di tecnicismi e dissonanze, pur senza rinunciare al groove. “Death Runner” è la degna conclusione di un disco così complesso e frenetico. Riff feroci con un groove pazzesco e, a metà canzone, un breakdown cattivissimo che colpisce dritto in faccia. C’è poi un attimo di pace e tranquillità, che potrebbe sembrare la chiusura del pezzo… ma è solo un attimo di tregua prima del vero finale, che entra inaspettato e a gamba tesa, confermando i Veil of Maya come una delle band più sorprendenti del panorama metal moderno.

“[m]other” è un disco che riassume perfettamente tutto il percorso artistico della band di Chicago. Abbiamo aspettato quasi sei anni per ascoltarlo, ma ne è decisamente valsa la pena. Chapeau.

Tracklist

01. Tokyo Chainsaw
02. Artificial Dose
03. Godhead
04. [re]connect
05. Red Fur
06. Disco Kill Party
07. Mother pt. 4
08. Synthwave Vegan
09. Lost Creator
10. Death Runner

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