NUOVE USCITERECENSIONI

Voïvod – Synchro Anarchy

Malgrado Target Earth (2013) e l’EP “Post Society” (2015), avessero aperto un nuovo e stimolante capitolo dell’epopea Voïvod, il gruppo è davvero tornato sé stesso grazie all’ultimo “The Wake” (2018), uno dei migliori lavori dei nordamericani dall’inizio dei ’90 e primo disco in cui il vuoto emotivo e autoriale del compianto Denis D’Amour appare definitivamente metabolizzato. Nell’incertezza se aspettare la fine dell’emergenza pandemica per intraprendere dei tour o fiondarsi subito in studio orfani di normali possibilità di incontro, e quindi di improvvisazione, lo scorso anno la band decise di registrare del materiale inedito, con buona pace delle difficoltà e dei tempi compressi. La condensazione dell’iter compositivo in poco meno di quattro mesi, invece di rivelarsi un ostacolo alla creatività, ne diviene il combustibile principale, tanto che “Synchro Anarchy” suona come un grande bazar assemblato sulla Terra e fluttuante nel cielo sidereo.

La sensazione di urgenza schizofrenica che trapela dal titolo si concretizza in un album di certo più diretto a confronto del predecessore, pur tenendo presente che dissonanze e configurazioni ritmiche contorte rappresentano le solide fondamenta sulle quali il quartetto costruisce canzoni dal genere indefinibile, ondivaghe eppure coese nel proprio incedere tra scenari di fantascienza distopica e riflessioni su tecnologia e questioni sociali. Con un occhio a “Dimension Hatröss” (1988) e l’altro ad “Angel Rat” (1991), i canadesi diluiscono gli incubi apocalittici dello scorso LP attraverso pezzi circolari, che, nonostante nella loro struttura a cipolla celino sorprese e repentini cambi di strada, al termine della corsa tornano quasi sempre al punto di partenza, impiegando i passaggi melodici e un surplus di irruenza punk a mo’ di contraltari unificatori del songwriting.

I québécois ingannano l’ascoltatore dietro la maschera della bidimensionalità sconnessa, lasciando che nella labirintica sequenza di frasi e armonie prevalgano ora tecnicismi freddi e astratti, ora incuria e nessi casuali, prospettiva che gli schizzi essenziali dell’artwork di Michel Langevin si incaricano di rappresentare al meglio. In realtà tutto viene meticolosamente progettato al fine di conferire un maggior risalto al lato istintivo del processo di composizione, senza sacrificare la profondità di una scrittura che, per converso, sembra addirittura di una raffinatezza superiore rispetto al consueto.

Strabiliante, dunque, l’estro del gruppo nell’utilizzare l’autoreferenzialità per continuare a evolversi. In tal senso, la capacità dell’axeman Daniel Morgan prima di assorbire, durante un paio di lustri, l’eredità futuristica e spigolosa di Piggy, poi di sviluppare uno stile personale che attinge a un vocabolario space/fusion dai mille colori, consente al combo di comportarsi al pari di un universo in continua espansione mai, però, dimentico del centro. Un progressive metal sui generis, fresco e fantasioso, attivo già ìn “Paranormalium”, opener che riprende le  battute finali di “Sonic Mycelium” per intraprendere un viaggio psichedelico esatonale e sbilenco, con le cadenze brusche della batteria di Away che cercano di richiamare il brano al ceppo secolare originario. Le linee di basso di Dominique “Rock” Laroche conferiscono peso e sostanza al disco, sorreggendo le elucubrazioni chitarristiche di Chewy e spesso entrando in comunicazione con esse attraverso sincopati botta e risposta, funambolici nella turbolenta title track, collaborativi in “Sleeves Off”, pezzo tarato sul groove e meno sulla metrica irregolare.

I beat e contro-beat frippiani di “Planet Eaters”, la delicata tensione di arpeggi e percussioni di “Mind Clock”, le spirali tentacolari di “Holographic Thinking”, i cunei free jazz di “The World Today”, il thrash cerebrale e articolato di “Quest For Nothing” e “Memory Failure”, dipingono un panorama sonoro mutevole, ma oltremodo compatto. Le dimensioni si fondono e si separano, con la voce camaleontica di Denis “Snake” Bélanger, di volta in volta calda, caustica, nasale, robotica, che griffa in modo indelebile le varie tracce e una produzione, ancora opera di Francis Perron, asciutta, priva di effetti e vagamente rétro, splendida nell’enfatizzare il minimo respiro degli strumenti.

“Synchro Anarchy” costituisce un’esperienza dentro e fuori le abituali coordinate spaziotemporali, in quella landa di mezzo dove imperano le leggi dei Voïvod: solo assecondandole, si riesce a godere appieno di una polisemia musicale unica e inimitabile. Travolgenti.

Tracklist

01. Paranormalium
02. Synchro Anarchy
03. Planet Eaters
04. Mind Clock
05. Sleeves Off
06. Holographic Thinking
07. The World Today
08. Quest For Nothing
09. Memory Failure

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