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Celtic Frost – Danse Macabre

Nel corso di soli trentasei mesi, i Celtic Frost si affermarono come una delle formazioni cardine della scena extreme, contribuendo a plasmarne i tratti e conducendola fuori dal recinto farisaico della sua stessa fisionomia quando essa si trovava ancora in fase embrionale. Per celebrare a dovere un’entità dal lignaggio nobilissimo, la BMG pubblica ora “Danse Macabre”, splendido boxset che, oltre alle varie pepite da collezionisti (il mini “Tragic Serenades”, la compilation “The Collectors Celtic Frost“, il singolo “I Won’t Dance”, il sette pollici  “Visual Aggression”, le demo di “Grave Hill Bunker Rehearsals”), riunisce le prime e fondamentali registrazioni del gruppo di Birchwil, principesche depositarie di un’ambizione sconfinata e di un estro di raro spessore (“Morbid Tales”, “Emperor’s Return”, “To Mega Therion”, “Into The Pandemonium”). Una storia tanto improbabile quanto straordinaria, che vede degli adolescenti originari della Svizzera agreste spingere l’heavy metal al di là delle colonne d’Ercole della tradizione antica e recente, trasformando, in maniera audace e intransigente, l’eredità di Amebix, Bathory, Black Sabbath, Motörhead, Venom e della NWOBHM più tetra e minacciosa.    

Sin dalla formazione della band a metà del 1984, dopo la disgregazione dei parimenti imprescindibili Hellhammer, Tom G. Warrior e il compianto Martin E. Ain intendevano dare al progetto un’impronta artistica a tutto tondo, che travalicasse l’ambito sonoro stricto sensu. La Noise Records, un’etichetta sbalorditiva nell’annusare i talenti (Grave Digger, HelloweenKreatorRunning WildRage, Voïvod), patrocinò la release dell’EP “Morbid Tales”, palesatosi subitaneamente un disco diverso da qualsiasi altra cosa partorita in passato. Un manifesto programmatico di radicalismo e coraggiosa sperimentazione, che cala black, death, doom, speed e thrash – generi allora avvolti in una nebulosa pre-Big Bang – all’interno di una fucina infernale sbuffante brividi ancestrali (“Human”), riff furiosi (“Into The Crypts Of Rays”), rallentamenti venefici (“Procreation”), cupi tirocini postmoderni (“Danse Macabre”): la strada verso la gloria è spianata.

Nell’agosto del 1985, ancora su richiesta della label tedesca e con lo statunitense Reed St. Mark sostituto dietro le pelli di Stephen Priestly, uscì l’extended play, “Emperor’s Return”, un’istantanea tinta di zolfo capace di gettare le basi della second wave del metallo nero, impreziosita dalla carica blasfema di “Cyrcle Of The Tyrants”, inclusa poi nel successivo “To Mega Therion”. Maestoso, ardito, oscuro, selvaggio, con l’iconica copertina di Hans Ruedi Giger a corredo, il secondo LP dei rossocrociati costituisce un classico da possedere e consumare avidamente, nonostante l’assenza di un Ain che tornò quasi nell’immediato in line-up partecipando alla re-incisione, invero poco rimarchevole, di alcuni brani del platter medesimo. Warrior, lasciato solo, riversò una personale corona di visioni poetico-musicali entro le maglie di una scrittura dalla quale Darktrhone e compagnia succhieranno sangue, note e inchiostro sino a scoppiare: da “Innocence And Wrath” a “The Usurper”, da “Jewel Throne a “Dawn Of Megiddo”, da “(Beyond The) North Winds” a “Necromantical Screams”, si respira un’aria intrisa di Richard Wagner e Robert E. Howard, tra suggestioni epiche, atmosfere marziali, scariche di aggressività ferale e la voglia di continuare a stupire.

Il plauso della critica internazionale spinse gli elvetici ad ampliare ulteriormente i paletti del proprio sound, benché la label non si mostrasse così entusiasta di ulteriori bizzarrie. Nonostante gli ostacoli e le turbolenze, “Into The Pandemonium” (1987) si rivelò eccezionale nel mettere in discussione le fragili certezze dalla prova precedente, costituendo l’antesignano dell’avantgarde di Arcturus, Ved Buens Ende et similia. L’artwork che riproduce il pannello di destra de Il Giardino delle delizie del pittore fiammingo Hyeronimus Bosch, l’interpretazione naïf di “Mexican Radio”, tarantella di frontiera dell’act dark/new wave Wall Of Voodoo, la voluttuose “Mesmerized”, la ballabile eresia di “I Won’t Dance”, i cascami gotico/sinfonici di “Tristesses De La Lune/Sorrows Of The Moon” e “Rex Irae (Requiem)”, l’utilizzo di elettronica e campionamenti (“One In Their Pride”), le citazioni da Emily Brontë e Charles Baudelaire: i puristi mugugnarono, eppure il risultato complessivo resta ancora oggi impressionante, pregno di anticonformismo e provocatoria teatralità.

Uno sforzo creativo sovrumano in un arco straordinariamente breve, che determinò la fine dei veri Celtic Frost, tramutandoli, però, da imberbi talenti rurali a esponenti paradigmatici del canone occidentale della musica estrema. Da genuflettersi senza remore dinanzi a cotanta abbondanza, che la si voglia suggere da CD o vinile.

Tracklist

Disc 1
01. Human (Intro)
02. Into The Crypts Of Rays
03. Visions Of Mortality
04. Dethroned Emperor
05. Morbid Tales
06. Procreation (Of the Wicked)
07. Return To The Eve
08. Danse Macabre
09. Nocturnal Fear

Disc 2
01. Morbid Tales (1984 Rehearsal)
02. Messiah (1984 Rehearsal)
03. Procreation (Of the Wicked) [1984 Rehearsal]
04. Nocturnal Fear (1984 Rehearsal)

Disc 3
01. Innocence and Wrath
02. The Usurper
03. Jewel Throne
04. Dawn Of Meggido
05. Eternal Summer
06. Circle Of The Tyrants
07. (Beyond The) North Winds
08. Fainted Eyes
09. Tears In A Prophet’s Dream
10. Necromantical Screams
11. Return To The Eve (1985 Studio Jam)

Disc 4
01. Mexican Radio
02. Mesmerized
03. Inner Sanctum
04. Tristesses De La Lune
05. Babylon Fell (Jade Serpent)
06. Caress Into Oblivion (Jade Serpent II)
07. One In Their Pride (Porthole Mix)
08. I Won’t Dance (The Elders’ Orient)
09. Rex Irae (Requiem)
10. Oriental Masquerade
11. Sorrows Of The Moon
12. The Inevitable Factor
13. In The Chapel, In The Moonlight (The Collector’s Celtic Frost)
14. One In Their Pride (Re-Entry Mix)
15. The Inevitable Factor (Alternate Vox)

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