Dopo due buoni lavori autoprodotti come “The Sign Of Faith” (2017) e “The Realms Of Fire And Death” (2020), gli Ignea sbarcano su Napalm Records grazie a “Dreams Of Lands Unseen”, suggestivo concept album dalle sonorità camaleontiche e dedicato alla figura della viaggiatrice Sofia Yablonska. Ne abbiamo discusso con la cantante e autrice dei testi Helle Bohdanova, che, oltre a parlarci dei tanti dettagli del disco e delle caratteristiche dello stile della band, da molti definito oriental metal, non è certo stata parca di parole nel descrivere le conseguenze delle guerra tra la natia Ucraina e la Russia. Una situazione complessa, ma vissuta coraggiosamente da una band più forte delle bombe e dei raid missilistici, nel nome della musica e della speranza.

Ciao Helle e benvenuta su SpazioRock. Come stai?

In realtà sono molto entusiasta che finalmente esca “Dreams Of Lands Unseen”, soprattutto perché è stato scritto nel 2021. Siamo tutti molto impazienti all’interno della band, anche perché abbiamo diversi singoli già pubblicati. È un disco molto vario e voglio che le persone lo ascoltino per intero. Sono davvero eccitata al pensiero.

Ho letto che questo nuovo album degli Ignea, il terzo della vostra carriera, ha avuto una gestazione piuttosto complessa a causa della guerra in corso tra Russia e Ucraina. Ci puoi raccontare le varie fasi di lavorazione di “Dreams Of Lands Unseen”?

In termini di composizione, è stato completamente finito prima dell’avvio della guerra e siamo riusciti a registrarne la metà entro il 24 febbraio 2022. Poi, ovviamente, è scoppiato il conflitto; noi siamo di Kiev e, con i sobborghi della nostra città occupati, si trattava soltanto di sopravvivere nei mesi iniziali. A essere onesti, non solo non potevamo pensare di incidere il resto del disco, ma non riuscivamo neanche ad ascoltare la musica, perché avevamo paura di ogni suono esterno. Per non parlare di altri problemi. Quando, poi, la nostra regione è stata liberata, abbiamo cominciato un po’ ad adattarci a questa situazione. Non importa quanto potesse sembrare orribile. Abbiamo deciso di continuare con l’album perché volevamo che fosse pubblicato, sentivamo che sarebbe stato come una sorta di nostro contributo alla cultura ucraina e alla sua sopravvivenza, visto che la Russia spazza via tutto ciò che è ucraino. È stata un’impresa molto difficile, perché a Kiev c’erano molti posti di blocco e dunque, quando viaggiavi per la città, dovevi mostrare i documenti a ogni angolo di strada.

È stata una vera odissea …

Assolutamente sì. Poi avevamo un coprifuoco molto rigido. Ce l’abbiamo ancora, s’intende, ma allora iniziava tra le 19:00 e le 20:00, quindi per quell’ora dovevi essere a casa e non uscire. Il nostro studio si trova in un’altra parte della città e, di conseguenza, dovevamo viaggiare tre ore per raggiungerlo. Abbiamo registrato l’album mentre c’erano massicci attacchi missilistici, sirene di raid aerei e bombardamenti su bombardamenti. Finito il tutto, non siamo però riusciti a scattare normali foto della band o a girare video musicali perché gli studi erano chiusi; la maggior parte di essi si trovano in alcune aree industriali e proprio quelle zone erano l’obiettivo principale dei bombardamenti russi. Quindi è stato deciso con l’etichetta che avremmo posticipato l’uscita del disco, e soltanto in seguito abbiamo girato tre video musicali in due mesi, nel pieno dell’inverno e di uno dei più grandi blackout della nazione, contestuale a una delle peggiori offensive del nemico. Ciò significava stare seduti senza elettricità per diversi giorni e, nonostante questo, affittare uno spazio dove organizzare le riprese, avere dei team di produzione, le macchine fotografiche, le luci e tutto il resto. Difficile da immaginare, ma ci siamo riusciti. E tutti i video che avete visto e vedrete sono stati filmati in Ucraina nel bel mezzo della guerra, con dei team di produzione ucraini. Ed è incredibile che questi video siano, secondo me, i migliori che abbiamo mai realizzato. Vorrei davvero ringraziare tutti i nostri team di produzione per la loro professionalità e disponibilità a lavorare in tali circostanze.

Un racconto che potrebbe fare da sfondo al prossimo album, non credi?

Beh, potrei scriverci un intero libro, oltre che un album.

Torniamo al disco. Sia “The Sign Of Faith” sia “The Realms Of Fire And Death” sono stati due album autoprodotti, mentre “Dreams Of Lands Unseen” viene pubblicato su Napalm Records. Cosa rappresenta per gli Ignea l’accordo con un’etichetta così importante? Pensi che sia una conferma della vostra crescita di visibilità in Europa e nel mondo?

Sai, penso sempre che sia davvero bello quando una band ottiene un contratto con un’etichetta, soprattutto quando è vantaggioso per entrambe le parti. Sono davvero contenta che abbiamo avuto il tempo per costruire una nostra fanbase, trovare un nostro sound e rodarci in tour. È stato davvero il momento perfetto per firmare, visto il background accumulato. Dovevamo portare le cose a un altro livello per avere più copertura e attenzione da parte della stampa e quant’altro. È stato anche vantaggioso per Napalm Records, perché siamo una formazione che ha già fatto qualcosa e ottenuto degli ottimi feedback. E anche quando abbiamo aperto i preordini per il nuovo album, la risposta è stata eccezionale, perché i nostri fan stavano aspettando da tempo “Dreams Of Lands Unseen”. Quindi, sinora, siamo davvero soddisfatti di questa collaborazione e spero che continui nel miglior modo possibile.

Anche l’artwork conferma una grande attenzione e cura per il lato estetico ed iconografico dell’album, aspetto che caratterizza tutta la vostra ancor giovane discografia. Si tratta di una cover che ha qualche addentellato con l’attuale guerra o si riferisce esclusivamente alle tematiche del concept?

Sì, in effetti questo album non ha assolutamente alcuna relazione con la guerra in corso, visto che si tratta di un concept scritto prima che iniziasse il conflitto su vasta scala, ma mi piace molto che questa copertina stimoli numerose associazioni nella mente delle persone e che tutti la pensino in modo diverso. Volevamo evocare quelle sensazioni che si provano durante un viaggio. Si può vedere un deserto, che rappresenta, per noi, qualcosa di normale per le tante influenze mediorientali presenti nella nostra musica, e anche perché l’eroina del nuovo disco, Sofia Yablonska, ha viaggiato nel deserto del Sahara. Si possono altresì vedere degli alberi, cosa non comune per un deserto perché volevamo costruire un’immagine che raffigurasse quelle terre invisibili che costituiscono parte del titolo del lavoro. Si possono, inoltre, scorgere i resti di una nave. Puoi, dunque, pensare o immaginare che forse un giorno non era proprio un deserto, forse era un mare. Infine c’è un  faro, un elemento che, secondo me, evoca un po’ di nostalgia di casa. Quando viaggi, a volte vuoi tornare a casa e consideri un faro come un punto di riferimento. Tra l’altro, quello riprodotto su questo album è il faro Azdiogol, situato davvero in Ucraina. Ed è per questo che volevamo che anche l’artwork fosse una sorta di tributo alle radici ucraine nostre e di Sofia Yablonska.

Restiamo sull’argomento dei testi: perché hai scelto la fotografa e documentarista Sofia Yablonska come protagonista del concept? Ti rivedi forse un po’ in lei, per interessi e personalità?

Abbiamo scritto questo disco nel mezzo della pandemia e io sono una viaggiatrice molto appassionata. Per me, quindi, è stato un incubo stare chiusa in casa. Abbiamo iniziato con alcune demo piene di melodie mediorientali e cinesi. Quindi era un po’ come viaggiare e così ho iniziato a cercare storie di diversi viaggiatori. Volevo che ogni canzone dell’album parlasse di queste vicende. Poi, però, ho scoperto di Sofia Yablonska. Ho iniziato a leggere i suoi libri e sono rimasta tanto stupita dalla sua personalità e dalle sue avventure che ho deciso che avremmo dovuto incentrare l’intero album su di lei. E, nonostante sia vissuta cento anni fa, sento davvero tante somiglianze tra lei e me, perché anche a me piace viaggiare da sola, come se avessi sempre voglia di scoprire posti nuovi. È l’ispirazione principale per me. “Incurable Disease”, a esempio, è una canzone sulla sua passione per il mare. Ho sempre la pelle d’oca quando suoniamo questa canzone perché parla molto di me. Ho persino un tatuaggio dedicato a pesci, onde, oceano e quant’altro attiene al mare. L’album, per molti versi, riflette non soltanto la sua vita, ma anche la mia predisposizione al viaggio.

Abbiamo detto della centralità e dell’importanza dei testi negli album degli Ignea, spesso legati alla mitologia ucraina. Quando costruite una canzone, la musica viene prima delle liriche o si procede di pari passo?

Sì, amo molto dedicarmi a determinati testi. “Bestia”, lo split del 2021 con i nostri amici Ersedu, è interamente incentrato sulla mitologia ucraina. “The Realms Of Fire and Death” stesso è basato sui miei studi riguardo al fuoco e ai suoi significati. Per quanto concerne il processo compositivo, la musica è per lo più scritta dal nostro tastierista Yevgeny Zhytnyuk, che è anche il fondatore della band. Di solito, è lui che realizza le demo e poi le condivide con me. Io le ascolto e cerco di immaginare di cosa potrebbe parlare una specifica canzone. E poi scrivo le liriche. La musica, dunque, viene prima di tutto. A volte la adattiamo e ne estendiamo la durata, come quando voglio rendere le mie narrazioni più lunghe.

Gli Ignea si distinguono per un sound camaleontico e contaminato da diversi elementi: heavy e symphonic metal, melodie mediorientali, elettronica, tutti aspetti che troviamo anche in questo nuovo LP. Credi che il singolo “Nomad’s Luck” possa considerarsi il brano più rappresentativo dell’album? Oppure no?

Innanzitutto, credo che il motivo principale dell’eterogeneità del nostro sound risieda nel fatto che non ascoltiamo soltanto metal. Quando la mente è aperta a diversi generi, siano essi pop, techno, musica classica, colonne sonore, jazz, non esistono limiti ed è possibile creare non una copia di altre canzoni metal, ma qualcosa di unico. Per quanto riguarda la domanda, penso che sia molto difficile scegliere un brano rappresentativo di questo album, forse lo è più “Dunes” che “Nomad’s Luck”. Il secondo singolo, rispetto al primo, è una sorta di vetrina della musica degli Ignea: ci sono le melodie mediorientali, gli elementi sinfonici, gli assoli di tastiera, un mix di lingua inglese e ucraina, growling, voci pulite, praticamente tutto.

E, mi permetto di aggiungere, è una canzone dal taglio fortemente cinematografico.

Sì, esattamente. A volte pensiamo alla nostra musica come a una colonna sonora delle vicende che stiamo raccontando. Anche “Nomad’s Luck” lo è, ma non abbiamo pensato noi di sceglierla come primo singolo, in verità. Lo abbiamo fatto su consiglio dell’etichetta. All’inizio, ero molto scettica al riguardo. Ma, poi, ho capito che è la canzone giusta per iniziare la narrazione perché ha dei suoni folk tribali ed emana sensazioni pericolose e oscure, la migliore introduzione per il principio di una storia. Ed è questo che mi piace davvero. “Dunes” ne è una continuazione e uno sviluppo. Quindi penso che i singoli, alla fine, siano stati selezionati davvero bene. Gli ascoltatori si accorgeranno che il terzo singolo, “Incurable Disease”, è abbastanza diverso dai primi due brani usciti. Mette in mostra l’eterogeneità dell’album, perché questo disco è davvero vario e ascoltarlo è come spostarsi in paesi diversi.

Nel lotto sono presenti due pezzi in lingua ucraina, ovvero “Дaлекі Oбрії” e “Zénith”. Avete mai pensato di realizzare un lavoro completamente nel vostro idioma natio?

Per “Zénith” è curioso che tutti pensassero fosse in inglese per via del titolo (ride, n.d.r.). Invero, la canzone in ucraino del nostro disco precedente (“Чорне полум’я”, nd.r.) ha ricevuto un feedback straordinario dai fan e questo è stato molto piacevole per noi. Ci hanno chiesto di scrivere più brani in lingua madre. Per questo album ciò aveva perfettamente senso, perché Sofia Yablonska è ucraina e noi siamo ucraini. Quando ha viaggiato in altri paesi, Sofia si è sempre concentrata sul fatto che venisse dall’Ucraina, faceva conoscere alle persone di quelle nazioni la propria cultura e indossava abiti tradizionali. E sono sicura che continueremo ad aggiungere altri testi in ucraino nei nostri futuri LP. Tuttavia, non penso che realizzeremo un intero full-length in ucraino, perché il comparto narrativo è una parte enorme di ciò che facciamo. Non voglio davvero che le persone si siedano dinanzi a uno schermo con Google traduttore aperto  e provino a capire di cosa parlino le liriche. Non ti nascondo che sarei molto felice se le persone traducessero i testi di “Дaлекі Oбрії” e “Zénith” affinché scoprano il loro significato. È interessante, comunque, che alcuni dei nostri fan abbiano persino iniziato a imparare un po’ di ucraino attraverso i nostri pezzi, sostenendo in questo modo la causa della nostra nazione in un momento così difficile. Il che è assolutamente pazzesco, perché è una lingua molto complicata per gli occidentali.

In “The Golden Shell” fa la sua comparsa la musica tradizionale cinese. È stato naturale per gli Ignea includere anche tali elementi o avete pensato: “Forse stiamo rischiando troppo?”

È singolare che “The Golden Shell” sia stata la prima canzone scritta per questo album, ancora prima dell’ideazione del concept. Yevgeny voleva sperimentare un po’ e tutto è sembrato molto naturale. Sofia ha trascorso quasi dieci anni in Cina, quindi aveva perfettamente senso, sai, includere questa canzone nell’album. Tra l’altro, sono molto contenta che abbiamo utilizzati veri strumenti tradizionali cinesi per questo brano. Non li suoniamo personalmente, ma abbiamo trovato su Internet dei musicisti che li hanno registrati per noi e i suoni sembrano davvero vivi. Ti accorgi che si tratta della Cina e, anche se non conosci la loro cultura, puoi sentirla. Ed è quello a cui puntavamo.

Anche “Opiumist” ha dei riferimenti musicali all’Estremo Oriente, ma in più vede la partecipazione al microfono di Tuomas Saukkonen dei Wolfheart. Come è nata la vostra collaborazione?

Questo brano parla del viaggio di Sophia in Cina, dove aveva un amico, un vecchio cinese. Fumava oppio con lui, era un pratica comune a quel tempo, e discorrevano delle differenze tra le loro culture; volevamo, dunque, ricreare l’atmosfera di quelle conversazioni e dell’ambiente dei mercati dell’Estremo Oriente in cui sovente esse si svolgevano. E avevamo bisogno di un growling maschile dalle tonalità più basse del mio. In realtà, è stata proprio la label a metterci in contatto con Thomas perché anche i Wolfheart sono su Napalm Records. Gli sono molto grata perché ha accettato di partecipare e sento che la sua voce è adattissima per questa canzone, sai? Purtroppo non ci siamo mai incontrati di persona perché noi siamo rimasti in Ucraina e lui, allora, credo si trovasse in Finlandia. Spero che un giorno ci conosceremo, in modo da poterlo ringraziare dal vivo. Voglio che tutti ascoltino questa canzone perché è molto suggestiva, anche se un po’ lunga.

In effetti, è la più lunga dell’album, ma certo non annoia.

Sai, quando le persone fumano oppio, praticamente perdono la cognizione del tempo (ride, n.d.r.).

Helle, in “Dreams Of Lands Unseen” alterni la voce pulita al growling. Come riesci a gestire correttamente entrambe le tipologie di cantato? E quale singer del presente o del passato hai come modello?

Non so, è venuto tutto fuori naturalmente. Penso di aver iniziato a farlo circa dieci anni fa. Ma all’epoca non avevo nessun coach vocale a disposizione e neanche tutorial che potessi trovare su YouTube o altro. Direi, quindi, che nei primi quattro anni lo facevo in modo completamente sbagliato e non so come non mi abbia rovinato la voce, ma gradualmente l’ho imparato. Inoltre, quando posso, mi esercito con alcuni esercizi online e ho anche preso alcune lezioni con un vocal coach a Kiev. Ho fatto davvero molta strada. Per quanto riguarda le ispirazioni, non avevo molti modelli quando ho iniziato, ma oggi seguo con attenzioni dei singer del mondo estremo, non tanto perché mi piaccia la loro musica, ma per le tecniche vocali che utilizzano. In questo momento, per me, il growling perfetto è quello del cantante degli Amorphis, Tomi Joutsen. Non posso dire che sia il più bravo in assoluto, ma, per me, le frequenze della sua voce sono le migliori. L’ho visto dal vivo diverse volte e con grande piacere, anche qualche settimana fa, ed è il principale riferimento per i miei ringhi.

Personalmente amo molto il black metal ucraino, ma la vostra nazione è ricca di band interessanti in vari generi. Tra queste, soprattutto i Jinjer stanno riscuotendo successo e apprezzamento e spesso gli Ignea sono stati a loro accostati. Non ti sembra un parallelismo un po’ forzato, dovuto soprattutto alla comune provenienza?

Non so. È molto strano, o forse no. Siamo più influenzati dagli Amorphis e dagli Orphaned Land, eppure molti ci avvicinano agli Epica e ai Nightwish. Tuttavia, in questo caso, il raffronto ha un senso. La gente, però, continua a paragonarci anche ai Jinjer, benché, a essere onesti, la musica suonata è completamente diversa. Ci accomunano probabilmente perché sia noi che loro veniamo dall’Ucraina o forse perché sia io che Tatiana Shmayluk alterniamo voce pulita e growling. Abbiamo pure lo stesso produttore (Max Morton, n.d.r.), anche se noi abbiamo iniziato a lavorare con lui prima. Ma abbiamo percorsi e anche atteggiamenti completamente diversi verso certe cose. Li rispetto come musicisti, ma non li ho mai presi come riferimento per la nostra musica. Quando abbiamo iniziato a farci sentire e a intraprendere dei tour, è scoppiata la pandemia e poi è scoppiata la guerra. Per noi e per molte altre band ucraine, dunque, ci sono state molte più complicazioni semplicemente perché abbiamo iniziato più tardi rispetto ai Jinjer. Certo, sono contenta che siano riconosciuti a livello internazionale. Tuttavia, come hai detto tu, abbiamo tante band fantastiche da noi e voglio davvero che le persone inizino a parlarne: l’Ucraina non è soltanto i Jinjer.

Infatti siete stati premiati con i Best Ukraine Metal Act Awards, una bella soddisfazione.

Assolutamente sì. A onor del vero, non posso dire che abbia influenzato enormemente la nostra carriera, ma questo riconoscimento ci scalda il cuore ed è fantastico averlo nel curriculum , poiché i promoter e i rappresentanti dell’industria musicale all’estero prestano attenzione a esso. Il premio è un valore aggiunto per gli Ignea

Tra luglio e agosto sarete al MetalDays Festival in Slovenia, al Leyendas Del Rock Festival in Spagna e soprattutto al Summer Breeze Open Air in Germania. È previsto un tour il prossimo anno a supporto del nuovo album? Magari con qualche tappa in Italia?

È molto difficile perché le regole per lasciare il paese sono cambiate, visto che alcuni artisti hanno lasciato il paese e non sono tornati. Se vedete, dunque, delle band ucraine in tour in questo momento, molto probabilmente hanno infranto le regole. Ma, in ogni caso, stiamo davvero cercando di trovare una soluzione, perché tutti noi vogliamo portare la cultura ucraina all’estero. Non ha davvero alcun senso tenerci qui, anche se, ovviamente, la guerra è ancora in corso e gli uomini possono essere mobilitati per combattere in qualsiasi momento. Tuttavia, abbiamo in programma il Summer Breeze e questi meravigliosi festival in Slovenia e in Spagna in cui vogliamo presentare il nostro album su un grande palco e poi, possibilmente, in tour. È qualcosa che ci manca dall’inizio della pandemia. Inoltre, ci piacerebbe davvero venire in Italia perché in realtà credo di avervi suonato solo una volta, a Milano nel 2018. Sono passati troppi anni e vorremmo davvero tornare, anche perché so che molti fan italiani stanno acquistando il nostro merchandising; quindi, per favore, diffondete notizie su di noi e spero, un giorno, di vedervi dal vivo.

L’ultima domanda, inevitabilmente, è di natura politica. Credi che il mondo occidentale stia dando tutto l’aiuto di cui l’Ucraina ha bisogno  nel conflitto che la oppone alla Russia?

È una domanda complicata: per una guerra di questa portata, il supporto non è mai abbastanza. Basta guardare la mappa e vedere quanto è piccola l’Ucraina rispetto alla Russia. Allo stesso tempo, senza l’aiuto dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo occidentale, penso che il nostro album non sarebbe uscito, perché saremmo stati semplicemente colonizzati dalla Russia. Ecco perché vi siamo davvero molto grati. E anche i nostri fan ci hanno sostenuto in Ucraina fin dai primi giorni. Noi, come band, facciamo donazioni all’esercito e ai volontari praticamente ogni giorno. E tutto arriva anche grazie all’aiuto dei nostri supporter che si trovano principalmente in Europa, negli Stati Uniti e in Australia. So che tutti sono molto stanchi di questa guerra. Potete immaginare quanto lo siamo noi, ma non riusciamo proprio a fermarci. Crediamo davvero nei nostri soldati e di poter combattere per le nostre terre, continuando, così, a vivere come un paese civile, pur con un vicino medievale accanto a noi. L’aiuto non è mai abbastanza, ma ne siamo molto riconoscenti.

Helle, grazie mille per il tuo tempo. Vorresti lasciare un messaggio ai vostri fan italiani e ai nostri lettori?

Grazie mille per il supporto, davvero. Spero che vi divertiate ad ascoltare il nostro nuovo album e concedetevi un po’ di tempo per scoprire da soli nuove band ucraine, anche perché ora è molto difficile per noi uscire, andare in tour e persino trasmettere in streaming la nostra musica. Ci aiutereste davvero molto e mi auguro davvero che presto potremmo tenere dei concerti in Italia. E abbiate cura di voi stessi, mi raccomando.

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