Dopo un’assenza di nove anni, inframezzata nel 2022 dall’EP “Wisdom – Vibration – Repent”, i Mortuary Drape sono riusciti, finalmente, a eleggere il successore dell’ottimo “Spiritual Independence” con il rilascio, lo scorso 3 novembre, di un “Black Mirror” intriso di esoterismo e di un sound nero che non rinuncia alle malie della tradizione metallica oscura degli ’80. Ne abbiamo discusso con il fondatore, vocalist ed ex batterista della band Wildness Perversion, le cui puntuali parole ci hanno permesso di sbirciare dietro le quinte occulte del nuovo album, oltre a soddisfare qualche gustosa curiosità su uno dei gruppi italiani più significativi in ambito estremo e dintorni.

Ciao Wildness e bentornato su SpazioRock dieci anni dopo la tua unica intervista sulle nostre pagine. Come stai?

Tutto bene Giovanni, piacere di ritrovarvi. Caspita, sono già passati dieci anni!

Torniamo all’attualità e al rilascio del vostro sesto lavoro in studio “Black Mirror”, il primo sulla lunga distanza patrocinato da Peaceville Records. Possiamo considerare l’EP dello scorso anno “Wisdom – Vibration – Repent”, pregno di richiami ai Mercyful Fate, una piccola traccia per comprendere appieno il nuovo album?

Non esiste nessuna connessione, sono due capitoli distinti, concepiti in due diversi momenti. Le canzoni presenti sull’EP sono state registrate dopo l’album “Spiritual Independence”, nei momenti di pausa tra i vari concerti ed i tre tour che abbiamo fatto. C’è stata una ricca attività live e questa è la ragione che ci ha portato tanto avanti con la realizzazione di “Black Mirror”.

Direi di partire dall’artwork scelto per il disco, minimale, essenziale e che riprende in massima parte l’estetica occulta dello scorso EP. Quanto è importante per i Mortuary Drape diffondere anche a livello estetico determinate atmosfere? Cosa è cambiato, da questo punto di vista, rispetto ai tempi di “All The Witches Dance”, quando la copertina fece più scandalo dell’album in sé?

Dal punto di vista grafico, è cambiato soltanto che siamo più grandi e adesso ci sono le telecamere ovunque, quindi è molto più facile farsi anni di galera per simili cose. Tutto il resto lo lasciamo, come sempre, al silenzio che fa riflettere e pensare quanto si è stolti da giovani e quante cose in meno avremmo potuto fare se qualcosa fosse andato storto. Chi deve capire, capirà!

Hai affermato che “Black Mirror” è stato molto complesso in termini di scrittura e arrangiamenti, benché poi, all’ascolto, il disco risulti molto fluido e coeso in ogni suo dettaglio. Ci puoi spiegare meglio come si è svolto il processo di songwriting? Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate e le eventuali novità apportate?

Gran parte di questi brani sono state create durante il periodo del COVID-19, tutto era bloccato e non era possibile incontrarsi. Abbiamo lavorato a distanza e ti posso assicurare che le nostre canzoni sono molto difficili da gestire senza vedersi tra musicisti. Abbiamo sempre molte idee e il bisogno di provare tutte le soluzioni possibili obbliga la presenza in studio. La batteria è stata registrata quasi un anno prima di tutto il resto e questo ci ha dato la possibilità di incastrare tutti gli altri strumenti al meglio, trovando diverse soluzioni che in parte abbiamo gettato via per dare spazio ad altri riff più congeniali. Non meno difficile è stato il lavoro delle parti vocali, che è stato studiato per dare un tocco diverso rispetto a prima. Una volta registrato tutto, abbiamo mixato cercando di ricreare il nostro ambiente sonoro; il tutto è risultato difficile perché mai, negli album precedenti, il lavoro è stato così articolato.

Il full-length presenta dei brani connessi dalla tematica del déjà-vu e delle dimensioni parallele, benché non organizzati nella classica struttura di un concept. Cosa e chi ti hanno ispirato maggiormente durante la stesura dei testi? La realtà di tutti i giorni è penetrata nelle liriche?

Sì, i testi, così come i brani, non sono collegati tra loro, ognuno è un capitolo a sé, esiste una filastrocca infernale che connette tutti i titoli delle canzoni, ma questo rimane il solo e unico nesso. Le principali ispirazioni dei testi sono derivate da libri molto particolari che fanno parte della mia collezione, e anche da mie esperienze durante gli incontri con una persona che, insieme a me, ha approfondito alcuni punti fondamentali dell’album.

Parlando delle canzoni del lotto, “Restless Death” e “Mistress Of Sorcerer” sono, forse, quelle che meglio riflettono il sound dei Mortuary Drape, tanto difficile da catalogare, quanto classico nella sua declinazione. Possiamo considerare questi due brani esempi massimi di quell’occult black metal così intriso di heavy, thrash e doom che vi rende unici e inimitabili?

Rispetto le tue parole, ma mi sento di definire tutte le canzoni abbastanza idonee per rappresentare appieno l’essenza della band: noi siamo tutto quello che suoniamo, tutto quello che affiora dai brani è frutto del nostro lavoro e, quindi, non farei distinzioni tra le canzoni, perché ognuna di esse ci rappresenta.

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“The Secret Lost” e “Into The Oblivion”, invece, costituiscono i momenti più diretti e tirati, un oscuro cuore heavy/thrash di foggia anni ’80 che pulsa e batte in un album comunque dal taglio moderno per scrittura e produzione. Questi brani confermano come una parte della vostra anima continui a riconoscere le proprie radici nel passato, ma senza che ciò implichi affondare in esso?

In ogni album abbiamo canzoni veloci, lente, più doom, d’atmosfera, mid-tempo e altro. Questo è il nostro stile e modo di comporre, siamo volutamente diversi da altre band perché ci piace spaziare senza avere limiti.

I Mortuary Drape non sono certo famosi per la stabilità della line-up, ma è dal 2010 che la formazione resta la medesima, a parte l’ingresso nel 2019 del drummer Manuel Togni, nuovo membro che ti ha sollevato dal ruolo di batterista. Cosa non funzionava nelle vecchie formazioni? E quanto ha influito negativamente sulla salute della band questa lunga instabilità?

Un tuo famoso collega diceva che se i Mortuary Drape fossero rimasti il trio dell’esordio, avrebbero potuto fare molte più cose. Questo è vero in parte, perché ovviamente i continui cambi rallentano l’attività della band. Adesso abbiamo una line-up stabile da molti anni e un nuovo batterista era necessario per completare tutto quello che avevamo in mente di fare. Il mio ritorno dietro le pelli su “Spiritual Independence” è stata un’esigenza necessaria per portare a termine un progetto e poi, comunque, in sede live avevamo sempre un batterista per lasciarmi libero di fare la mia parte come vocalist.

A proposito del fatto che in quest’occasione hai smesso i panni di batterista, concentrarti esclusivamente sulla voce ti ha permesso di aggiungere nuovi toni e sfumature al cantato? Sembra che cattiveria e capacità evocative vadano ancora meglio a braccetto rispetto al passato…

Sì, questo ti lascia parecchio spazio per sperimentare nuove strade, è ovvio che impegnare i quattro arti per suonare la batteria e contemporaneamente cantare ti limita molto, anche in fase di respirazione, sia per immagazzinare aria a vantaggio della voce sia per avere resistenza sullo strumento. Dipende sempre, comunque, dal genere musicale che fai. Mi piace molto sperimentare vocalmente e non mi limito su nulla, le provo tutte fino a quando non trovo la parte che funziona.

I Mortuary Drape si sono formati nel lontano 1986 e ancora oggi rappresentano, insieme ai Death SS e ai relativamente più giovani Abysmal Grief, gli esponenti di punta di quel Dark Sound tutto italiano sotto il cui gigantesco cappello sono state incluse band spesso anche molto diverse tra loro. Sentite di essere, in qualche modo, dei sopravvissuti, dal momento che la maggior parte di tali gruppi sono ormai defunti e parecchi di quelli ancora in attività sembrano morti dentro?

È sempre più difficile fare musica ed è ancora più difficile mantenere una propria identità musicale. Preferisco pensare che i momenti no di una band siano una sorta di rigenerazione mentale per costruire qualcosa di nuovo. Purtroppo o per fortuna, oggi l’ascoltatore è molto più esigente e non si accontenta di velocità e pennate a seghetto, serve sentire le note e fare musica valida.

Tornando a “Black Mirror”, il disco verrà promosso dal vivo in tre occasioni tra ottobre e dicembre, una in Repubblica Ceca, le altre due a Firenze e Milano. Per il 2024 è previsto un vero e proprio tour o continuerete con appuntamenti limitati a poche date?

Abbiamo già suonato il 27 ottobre al Prague Death Mass IV in Repubblica Ceca, suoneremo il 18 novembre al Firenze Metal e il 30 Dicembre allo Slaughter Club di Paderno Dugnano insieme a Opera IX e ad altre due band italiane, Entirety e Ardeat. Stiamo organizzando un tour europeo e sudamericano, stiamo anche lavorando con gli Stati Uniti per collegare altri concerti quando a maggio 2024 saremo al Maryland Death Fest.

Wildness, grazie mille per il tempo concessoci e davvero complimenti per “Black Mirror”!

Un grazie a te per l’intervista, mentre ai lettori dico che il modo più immediato per supportare le band è quello di comprare il merchandise e andare ai concerti. Reflected in the black mirror lies the face of your restless death.

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