Inizio di luglio multiforme per gli affezionati alle sonorità oscure.

Altars – Ascetic Reflection (Everlasting Spew Records)

Dopo due split letali, uno dei quali condiviso con i cechi Heaving Earth, e un ottimo album di debutto come “Paramnseia” (2013), gli Altars sono purtroppo rimasti in silenzio per quasi un decennio a causa della lunga ed estenuante malattia che ha costretto il membro fondatore, bassista e singer Cale Schmidt a lasciare la band. Trovato un sostituto nella persona di Brendan Sloan dei Convulsing, gli australiani tornano finalmente sulle scene con il nuovo “Ascetic Reflection”, un disco che riprende e per certi versi amplia il sound esperito nell’esordio. Pur all’interno di un death metal dissonante di scuola Gorguts, Portal e Ulcerate, con riferimenti più vicini nel tempo ad Artificial Brain e Replicant, il trio aussie non disdegna soluzioni meno totalitaristiche, con i riff di Lewis Fischer che, invece di avvilupparsi in spire serpentine, divengono maestose pareti rocciose attraverso cui soffiano e si insinuano aspri venti black e accattivanti linee melodiche. La produzione, secca e ruvida, consente alle ritmiche deformi di Alan Cadman – a tratti dal sapore quasi jazzistico – di emergere con così estrema fluidità da proiettare fasci di groove OSDM sull’intero lotto. Un come back da segnare sull’agenda.

Tracce consigliate: “Perverse Entity”, “Luminous Jar”, “Black Light Upon Us”

Antigama – Whiteout (Selfmadegod Records)

Con sette album nel carnet, tre EP e una serie pressoché infinita di split, gli Antigama sono riusciti a costruirsi una solida reputazione nel cosmo grindcore, benché il loro percorso, tranne qualche fugace apparizione su Relapse Records, ha avuto corso quasi esclusivamente in ambito underground. L’aspetto più interessante del nuovo e ottavo album “Whiteout” risiede nel fatto che il quartetto preferisce questa volta ripiegare sulla tradizione, cosa rara per una band di solito prodiga di eccentriche deviazioni entro clima spesso stagnante del death-grind. Finiti, dunque, i tempi nei quali ambient, elettronica, jazz, metalcore e noise venivano cooptati all’interno di un songwriting inventivo e bizzarro, a volte, forse, anche troppo disordinato. Spazio, ora, ai muggiti formidabili di Lucasz Myszkowski, ai riff taglienti di Sebastian Rokicki, ai ritmi da orologeria di precisione di Pawel Jaroszewicz, con un songwriting che, pur richiamando qualche tratto futuristico à la Voïvod – segno che la vena sperimentale dei polacchi non si può sopprimere del tutto – guarda ai Napalm Death e ai Terrorizer, guadagnando di riflesso in compattezza e solidità. Senza dubbio un buon lavoro, che rischia poco, ma bastona parecchio.

Tracce consigliate: “Debt Pool”, “Unclear Conversions”, “2222”

Behold! The Monolith – From The Fathomless Deep (Ripple Music)

Nei loro quindici anni di storia, i Behold! The Monolith hanno subito dal destino molti colpi avversi, in particolare il fatale incidente d’auto del giugno 2013 costato la vita al membro fondatore, cantante e bassista Kevin McDade. A distanza di ventiquattro mesi i due musicisti superstiti, Matt Price e Chase Manhattan, unirono le forze con Jason “Cas” Casanova dei Sasquatch e Jordan Nalleyd dei Fractalline, rilasciando “Architects Of The Void”, nel quale la band si staccava dal progressive sludge delle origini, avvicinandosi al black metal e al deth-doom di scuola britannica. Poi il nulla assoluto, almeno sino a oggi, visto che i californiani, elaborato ormai il lutto e condotto a bordo Menno Verbaten (Cryptic Slaughter, Expulsion), si ripresentano con un quarto album, “From The Fathomless Deep”, capace di accontentare vecchi fan e nuovi adepti. Il disco, infatti, recupera lo stile mastodoniano della prima ora e lo infarcisce delle derive oscure successive, aggiungendo al mélange caliginosi tocchi di doom psichedelico à la Electric Wizard e High On Fire, e ficcanti accelerazioni thrash, senza dimenticare l’inserimento di riverberi ambientali e di qualche placido momento acustico. Non tutto funziona a meraviglia, eppure il fascino sbilenco dell’album è quasi irresistibile: bentornati!

Tracce consigliate: “Crown/The Immeasurable Void”, “The Seams Of Pangaea”, “Stormbreaker Suite”

Inhuman Condition – Fearsick (Listanable Insanity Records)

Se è il death metal dei primi ’90 a mandarvi in visibilio, il secondo LP degli Inhuman Condition, “Fearsick”, soddisferà la vostra infatuazione nostalgica per un genere che durante quegli anni gloriosi vide il proliferarsi di entità dall’alto tasso qualitativo. Composto da un trio di veterani della scena floridiana, Jeramie Kling, Taylor Nordberg e Terry Butler, questo progetto di recente genesi – che appena lo scorso anno si è reso protagonista del fulminante debutto “Rat°God” – evita accuratamente qualsivoglia innovazione, rievocando le imprese di Death, Obituary e soprattutto Massacre. A tal proposito, sembra quasi di assistere a una versione alternativa della formazione di Kam Lee: infatti, non soltanto logo e artwork ne richiamano le gesta, ma ciascun membro del gruppo, più il chitarrista ospite Rick Rozz, hanno fatto parte, in tempi diversi, della line-up dello storico e instabile combo di Tampa. Un disco, dunque, volutamente obsoleto, capace di irradiare vibrazioni tali da scatenare headbanging e mosh a manetta e prodotto dalla band stessa, secondo una strategia DIY anch’essa figlia di tempi ormai lontani. Divertente.

Tracce consigliate: “The Mold Testament”, “Causting Vomit Reveries”, “I’m Now The Monster”

Manticore – Endless Scourge Of Torment (Hells Headbangers Records)

I Manticore dall’Ohio sono in attività dall’inizio del millennio, con tre album alle spalle e un’enorme quantità di demo, EP e split, il più recente dei quali, “Tongues Of The Stillborn” (2021), in compagnia degli svedesi Kill di Carl Warslaughter, ex batterista degli iconici e da tempo defunti Bestial Mockery. Dieci anni dopo il loro ultimo full-length, “Behold The Ascension Of The Execrated”, gli statunitensi tornano con un nuovo album, “Endless Scourge Of Torment”, che lascia fievoli dubbi sulla direzione artistica intrapresa, un war metal viscerale e nichilista. Collocandosi in una via di mezzo tra le cacofonie ultraveloci dei Blasphemy e un sound influenzato dal death che fa molto Archgoat, il trio di Euclid macina per una buona mezzora musica assordante a favore di pochi amatori. A volte intransigenti, a volte più controllati, il trio qua e là osa anche dei piccoli esperimenti, coverizzando persino un pezzo come “Captain Howdy”, brano tratto dal catalogo dei Twisted Sister che funziona dannatamente bene nonostante la sua apparente incongruenza col resto del lotto. Certo, con una produzione meno piatta e un’attenzione maggiore verso il rumorismo à la Revenge – discorso qui lasciato a bagnomaria -, ci saremmo trovati al cospetto di una disco da applausi, tuttavia il black/death estremamente brutale degli statunitensi merita assolutamente l’ascolto.

Tracce consigliate: “Enveloped In Hatred”, “Requiem For A Worm”, “Abrahamic Obliteration”

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