Il mese dei morti è alle porte e il cosmo oscuro risponde da par suo, non senza sorprese sperimentali.

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Afterbirth – In But Not Of (Willowtip Records)

Formatisi a Long Island nel 1993, gli Afterbirth si resero protagonisti di un paio di demo prima di essere divorati da un colossale wormhole, svanendo dal pianeta Terra per alcune centinaia di migliaia di anni. Riemersi dalla sostanza galattica soltanto nel 2013, esordirono sulla lunga distanza,  con alla voce l’oggi ex frontman degli Artificial Brain Will Smith, grazie a “Time Traveller’s Dilemma” (2017), album nel quale il brutal death delle origini, figlio soprattutto delle imprese di Defeated Sanity e Suffocation, si arricchiva di sonorità aliene, tanto freddamente disumane quanto stranamente accattivanti. Una strada verso i sistemi stellari più remoti ulteriormente affinata nel successivo e meraviglioso “Four Dimensional Flesh” (2020) e che, ora, trova definitiva sublimazione nel nuovo “In But Not Of”, disco in grado di mollare una volta per tutte gli ormeggi di genere, fluttuando tra i vuoti cosmici come una nave spaziale alla totale deriva. La capacità di mescolare in maniera subdola e proggy elementi di space e post rock nella costruzione dei riff, pur mantenendo in essi ogni grammo di pura pesantezza che caratterizza la cifra identitaria del quartetto, qui raggiunge un livello di sintesi davvero eccelso, entro il quale vengono anche stuzzicati il thrash, l’industrial e il mondo alternative, per un prodotto finale irresistibile e finanche conciso. Un’autorealizzazione, dunque, che non conosce freni né confini, allo stesso tempo causa e conseguenza di un turbinio stellare cronenberghiano, (in)consapevole delle proprie reali finalità.

Tracce consigliate: “Vomit On Humanity”, “Autoerotic Amputation”, “Hovering Human Head Drones”

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Ershetu – Xibalba (Debemur Morti Productions)

Non sono poche le black metal band europee che trovano ispirazione per le proprie liriche dalle antiche civiltà precolombiane. Ad aggiungersi a tale catalogo di gruppi provvedono gli Ershetu, il cui album d’esordio, “Xibalba”, tratta degli aspetti mistici della cultura Maya basandosi sui miti e le leggende del loro libro sacro, il Popol Vuh, con un’attenzione rivolta soprattutto al tema della Morte. Come per molte formazioni musicali nate nel 2020 o poco dopo, il seme del combo è stato piantato durante il periodo pandemico, merito dei francesi Void e Sacr, l’uno capo della label Debemur Morti Productions per la quale esce questo debutto, l’altro songwriter e arrangiatore. Per conferire ulteriore pepe alle sei composizioni, i due transalpini hanno chiamato a collaborare, a parte un certo Intza Roca, responsabile di batteria, percussioni e xilofono, un paio di musicisti niente male, ovvero alla voce il norvegese Lars Are Nedland, il Lazare di Borknagar e Solefald, mentre alcune texture di chitarra e basso vedono all’opera Vindsval, mente dei Blut Aus Nord. I cinque delineano un metallo nero dalle giunture prog e dai forti tratti epici e atmosferici, che spesso assume gigantesche proporzioni cinematografiche e rituali, infischiandosene di restare ancorato a determinati topos stilistici, pur rischiando, a tratti, di cadere nell’uniforme ridondanza di una soundtrack Disney. In ogni caso, un emozionante viaggio esotico nel guatemalteco regno Quiché di Q’umarkaj.

Tracce consigliate: “Enter The Palace Of Masks”, “Cult Of The Snake God”, “Hollow Earth”

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Gravesend – Gowanus Death Stomp (20 Buck Spin)

Il debutto sulla lunga distanza dei Gravesend, “Methods Of Human Disposal” (2021), oltre a  presentarsi quale un mattone lanciato dritto in mezzo agli occhi, emanava un’aura di grande lerciume, pari, per nauseabondo olezzo, alla depravazione dei testi. Il nuovo “Gowanus Death Stomp” resta primordiale e selvaggio come il predecessore, ma, con le ritmiche che rallentano leggermente e le vibranti linee di basso settate in minaccioso overdrive, il suo baricentro sembra spostarsi verso il blackened death, lasciando il grindcore, pur presente a frotte, un po’ più in sordina. L’utilizzo di sintetizzatori e sample distorti all’inverosimile trasportano l’ascoltatore all’interno di un sudicio sobborgo post-industriale di una New York in decadenza economica e sociale, trasmettendo un oppressivo senso di devastazione urbana, punteggiato da esplosioni di violenza così poderose che, a tratti, sembra di assistere a una performance di puro war metal, nella quale Archgoat, Pig Destroyer e Caustic Wound banchettano all’unisono. Il mix e il mastering, gestiti dal prezzemolino Arthur Rizk, riescono a dare respiro e profondità a un sound che, se in superficie si leva crudo e sfrontatamente aggressivo, tra le righe mostra delle sfumature tali da tener viva l’attenzione per tutti i trentasei minuti di running time, anche quando i pugni sferrati paiono ridurre in poltiglia ogni minimo tentativo resistenza. Si barcolla dietro qualche cassonetto, ma con estrema soddisfazione.

Tracce consigliate: “11414”, “Festering In Squalor”, “Lupara Bianca”

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Malokarpatan – Vertumnus Caesar (Invictus Productions)

Sin dai tempi del debut album “Stridžie Dni” (2015), i Malokarpatan hanno dimostrato una chimica e un talento fuori dal comune, una combo che emerge con ancor maggiore evidenza nel nuovo full-length “Vertumnus Caesar”. Gli slovacchi, del resto, appartengono a una genia di band molto rara, non tanto per lo stile, dato che il loro antico metallo nero carico di folk orientale, allo stesso tempo melodico e progressivo, non costituisce poi così un unicum nella storia del metal, quanto, piuttosto, in virtù di un paio di aspetti capaci di renderli davvero speciali. In primo luogo, conservano una fortissima matrice old school nonostante la continua evoluzione musicale; poi, riescono a fondere le varie influenze in modo tale da vellicare le orecchie di ascoltatori solitamente lontani dalle tipiche aree di genere. Se anche in questo quarto lavoro, dunque, restano vivi e vegeti i riferimenti a King Diamond, Master’s Hammer, Mercyful Fate e Mortuary Drape, il quartetto si lascia molto ispirare dalle soundtrack horror di italica provenienza, dal prog rock anni ’70, dall’heavy classico e dal filone epico della NWOBHM, con più di un strizzatina d’occhio agli indimenticabili Manilla Road. Il risultato è un full-length dalle venature teatrali, ricco di strumenti tradizionali e non, quasi una versione maestosa e proto-black dei primi King Crimson, frutto maturo delle intuizioni dello scorso “Krupinské Ohne” (2020) e così avvincente da far inarcare anche il luciferino sopracciglio di Carlo Ancelotti. Bratislava rules the school.

Tracce consigliate: “Vertumnus Caesar”, “Maharal A Golem”, “I Hle, Tak Zachádza Imperiálna Hviezda”

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Suol – Suol (Swarte Yssel)

Sin dall’inizio degli anni ‘90, saghe e cronache locali hanno fornito l’ideale terreno fertile per numerose formazioni black metal che, dal punto di vista lirico, non intendevano semplicemente adorare Satana e i suoi correligionari. Soprattutto Belgio e Paesi Bassi sono le nazioni protagoniste di tale tipologia di gruppi, dai Rituals Of The Dead Hand, che trovano ispirazione nella leggenda dei Bokkenrijders, agli Erscheinung, capaci di evocare le tradizioni notturne della provincia di Gelderland sino ai vari Asgrauw, Duindwaler, Hellevaerder e Schavot, attori di uno split, “Verloren Vellingen” (2023), imperniato sulle leggende dei Paesi Bassi orientali e occidentali. Ora tocca ai Suol, nuova band formata da J. e P., co-fondatori della Swarte Yssel e insieme già nelle fila di Ossaert, Shagor e Weerzin, narrare di folklore indigeno, in particolare di quello della regione intorno a Zwolle e all’IJssel, ricco di storie di baroni sanguinari, rapinatori, piromani e assassini morti per impiccagione. Gli olandesi, nel debutto omonimo, corroborano tali racconti attraverso un black metal di carattere scandinavo/americano intriso di folk e melodie, tanto orecchiabile quanto spaventoso, integrato da drammatiche sezioni corali e da un senso del tragico di pura ascendenza fiamminga. Le influenze delle entità madri si avverte chiaramente, ma non per questo si tratta di un prodotto derivativo, anzi, che il progetto possa trasformarsi in qualcosa di davvero principesco sembra più di una semplice impressione. I due orange ci sanno fare, alla grande.

Tracce consigliate: “Slot Van Voorst”, “Over De Geute”, “Bodemdrift”

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