Slowdive
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Slowdive – everything is alive

Un pomeriggio, svariati anni fa. Un neo diciottenne, cresciuto a pane e metal – e molto poco propenso all’apertura verso altre forme di musica che non fossero ricolme di chitarroni in palm muting e doppie casse tarantolate – incappa, completamente a caso, nell’eterea potenza di una band di Reading, sino ad allora mai sentita nominare. Sdraiato sul letto, con degli imbarazzanti cuffioni Sennheiser a fare da intermediario, quel ragazzo si perdeva nel flusso di una canzone: si chiamava “Machine Gun”, e se fuori il grigiore delle nuvole imperava, dentro quella camera incombeva un sole morbido, una luce crepuscolare, ristoratrice, un calore che mai aveva provato e che mai avrebbe pensato di adorare.

Da lì sboccia un amore inaspettato, imperturbabile, ultraterreno. Da quel pomeriggio il sottoscritto si innamora di “Souvlaki” e della sfuggente magnificenza degli Slowdive.

Vuoi per il culto che si nasconde dietro Rachel Goswell e compagni, vuoi per una carriera che definire complessa non basterebbe a descriverne nemmeno lo scheletro, ogni uscita dei Nostri si tramuta in una celebrazione, in una data da addobbare sul calendario, e quel primo settembre era cerchiato di rosso da un bel pezzo: “everything is alive” sembra una dichiarazione da sopravvissuti, e potrebbe tranquillamente esserlo, invece, oltre a dare il nome al loro quinto sigillo discografico, ci fa chiarezza su un modo di vedere il mondo brulicante, vivo, pulsante, al ritmo dei synth che piovono tamburellanti su un secondo troncone di carriera – a partire dal self-titled del 2017, nato ventidue anni dopo le meste sperimentazioni minimaliste di “Pygmalion” – meno ronzante di chitarre, più affine ai già ben noti scorci dream pop.

“shanty” è un acquerello esplicativo degli Slowdive odierni, una opener perfetta – non ne hanno mai sbagliata una d’altronde, perfino “Rutti” lasciava a bocca aperta, nonostante il resto del disco fosse decisamente più criptico – che cresce inquieta su rintocchi elettronici, si avvolge sul basso delicato di Nick Chaplin, vibra di pulsioni oniriche quando la Goswell decide finalmente di sussurare nel microfono.

E ci sciogliamo, ci stringiamo all’abbraccio new wave di “kisses” e del suo potenziale da hit che cola dagli arpeggi di Christian Savill, dalle strofe costruite sulle carezze della frontwoman, tenute salde alle gote dal collante vocale di Neil Halstead, così profondo, così rassicurante; una dualità indefinibilmente perfetta, che trova ancor più giustizia nel refrain, così come nel sognante vagheggiare affrescato dagli innesti folk di una delicata “skin in the game”.

SLOWDIVE EVERYTHING IS ALIVE BY INGRIDPOP 2
Photo Credits: Ingrid Pop

Se “andalucia plays” si adopera a richiamare sottilmente riverberi cureiani e certi dettami dello slowcore, “alife” e “chained to a cloud” si forgiano di quella potenza dreamy e di quel fervore synth che accennavamo all’inizio, vincolandosi più che mai al predecessore discografico e a quel modus operandi capace di erigere un ponte inscalfibile tra gli 80s ed il dream pop attuale.

A “the slab” l’ingrato compito di salutarci, col fazzoletto sventolato su tessiture chitarristiche ora più forti, con Simon Scott a smuovere con più impegno le pelli, in un crescendo totale di teso shoegaze che ci riporta al suolo, dopo un volo forse troppo poco longevo – poco più di quaranta minuti, considerando anche i quasi cinque della strumentale “prayer remembered” – ma ugualmente stimolante, da cui attingiamo nuovamente quella forza e quella passione che ci spinge ad adorare l’elegante intangibilità degli Slowdive, che non bissano lo stratosferico comeback di sei anni fa per poco, ma ci gironzolano attorno, ancora ubriachi del suo prelibato nettare.

Bocciature e critiche insensate, dolorosi scioglimenti, anni di silenzio assoluto, problemi fisici e personali, tutto ciò sembra non aver intaccato la band di Reading. Difatti, dal lontano 1991, è uno splendido viaggio continuo e noi, umani che si emozionano facilmente dinanzi alla meraviglia delle note e che preservano con cura la fondamentale correlazione tra i sentimenti e la musica, ci ritroviamo, per l’ennesima volta, su coordinate che nessuna mappa astrale potrebbe identificare, a sorridere, a piangere, a volteggiare.

Tracklist

01. shanty
02. prayer remembered
03. alife
04. andalucia plays
05. kisses
06. skin in the game
07. chained to a cloud
08. the slab

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