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The Murder Capital – Gigi’s Recovery

And oh, as we fall down
The day bleeds the night out
Our nightmares are wonder-ful skies dreams in thunder

Che i The Murder Capital non fossero gli uni tra i tanti, si era capito sin da subito. Il nero che sgocciolava da quell’eccezionale ripostiglio per tormenti di “When I Have Fears” (2019) ha colmato gli argini emotivi di tanti di noi, in perenne lotta con i fatidici demoni interiori, rivestendo di quell’aura plumbea e fumosa un sound che già quattro anni fa distingueva la band di Dublino dalla folta concorrenza di genere.

È forse anche per questo che chiunque abbia amato alla follia l’oscuro debut degli irlandesi potrebbe aver arricciato il naso al primo assaggio del tanto atteso “Gigi’s Recovery”, salvo poi pentirsi dinanzi ad un’opera che perde sì qualche tonalità di nero rispetto al predecessore, ma che si copre le spalle con una calda vestaglia di sentimenti fermentati per lungo tempo e fatti sfociare in musica tramite torrenti inesplorati e nuove, intrepide colorazioni sonore.

James McGovern e soci calpestano audacemente le indomabili terre di confine del post-punk, ritraendo in gran parte la mascolinità generata dal nervosismo di “More Is Less” e “Don’t Cling To Life” e anteponendogli così il colossale peso dei pensieri: sin dagli estremi “Existence” e “Exist” inizia a serpeggiare interrogativa la riflessività che padroneggia l’album, insinuatasi pian piano nel timido crescendo della potente “Crying” e nei delicati arpeggi – contrapposti ad un tormentato basso di fondo – della title-track. Il vocione di McGovern buca i robotici intrecci di “The Stars Will Leave Their Stage”, riconfermando la sua assoluta bravura nel padroneggiare i tempi lenti e le ambientazioni più scarne, così come le più ritmate scorribande (“Return My Head”) e gli insoliti sprazzi di luce (“Only Good Things”), quest’ultimi ben dettagliati dagli abili intrecci delle sei corde.

Inevitabile citare i compaesani Fontaines D.C. quando sopraggiunge il mesto riff in apertura di una maestosa “Ethel”, così come è impossibile non adocchiare gli scampoli di Radiohead che sbucano dal drappello cucito dai dublinesi, dall’attacco della splendida “A Thousand Lives” fino alle tenere evoluzioni di una “The Lie Becomes The Self” che tocca forse l’apice – compositivo ed emotivo – dell’opera attraverso il suo moto lento, ancorato alla fredda terra, pronto, però, a spiccare il volo in uno struggente finale orchestrato dalle toccanti note del duo Tuit/Roper che, per qualche momento, ci rievocano – coi dovuti paragoni – gli Opeth di “Damnation”.

Un album mai banale, differente in ogni suo singolo tassello, che perde forse qualcosina a livello di atmosfera, ma che riguadagna in vigore emotivo, trascinandosi dietro un fardello interiore che rapisce l’anima. Un disco che colpisce e che, probabilmente, salva: “Gigi’s Recovery” è una confessione senza freni inibitori, graffia nonostante la sua apparente mansuetudine, è la trasposizione musicale di un dialogo allo specchio, faccia a faccia con noi stessi, per provare a comprenderci, a trovare una dimensione precisa su cui vivere serenamente, o anche solo per accomodarci, per qualche secondo, e chiudere gli occhi, sentendoci finalmente liberi da tutto.

Tracklist

01. Existence
02. Crying
03. Return My Head
04. Ethel
05. The Stars Will Leave Their Stage
06. Belonging
07. The Lie Becomes The Self
08. A Thousand Lives
09. We Had To Disappear
10. Only Good Things
11. Gigi’s Recovery
12. Exist

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