Ad arroventare una Roma ancora immersa nel tepore carnoso di un’estate cocciuta, lungi dal deporre le armi e restia a concedere all’autunno ciò che a esso spetta di diritto, provvedono quattro formazioni di altrettante diverse nazionalità, ma coese nel desiderio di regalare uno show di così enorme potenza da annichilire qualsiasi tentativo di resistenza emotiva. Il sito deputato ad accogliere tale maligno carrozzone è, ancora una volta, il Traffic Live Club, locale, oramai, luogo di riferimento imprescindibile per gli amatori delle sonorità estreme, in grado di ospitare sia nomi “grossi” della scena sia realtà di carattere molto più underground, con esiti, in termini di affluenza e qualità delle performance, quasi sempre all’altezza delle aspettative. La serata del 13 ottobre, probabilmente, sembra aver centrato appieno l’obiettivo di unire tanto i gusti di coloro che si professano legati alla tradizione quanto chi, stufo magari di vecchie anticaglie a malapena decorose, brami sangue fresco e vigore belluino. E dunque, se da un lato Skaphos ed Aetherian rappresentavano le curiose novità da scoprire, Vomitory e Vader costituivano le maggiore attrazioni dell’evento, vista il cursus honorum di entrambe le band, soprattutto quello dell’esperto gruppo polacco, star indiscussa di un meritato tour autocelebrativo. Via alle danze, allora, della tappa capitolina del 40 Years Of The Apocalypse Anniversay Tours, e che l’abisso vi sommerga fin sopra la punta dei capelli.

Skaphos

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La coda rada che si avvicina alle porte apertesi poco prima delle 20.00, già lascia intravedere un pubblico piuttosto giovanile, che rimpolperà le proprie fila contestualmente all’esibizione della coppia di headliner, assieme, come da abitudine, ai soliti volti noti (compreso Alessio Pacifici dei Dr. Gore), a cui dovrebbero erigere un busto di metallo commemorativo all’ingresso della venue quando spiegheranno le vele putride verso parallele dimensioni purificatrici. Di fronte a un parterre ancora molto scarno, quindi, tocca ai francesi Skaphos fischiare il calcio d’inizio della kermesse, con un black/death di foggia moderna, dissonante e perlopiù in mid-tempo, attraversato da una sotterranea vena à la Gojira e teso a evocare la nausea che si prova nel navigare tra le profondità delle voragini lovecraftiane. Certo, si tratta dell’ennesima entità che adopera un comparto lirico ampiamente sfruttato, restando lontanissima dalla classe, giusto per fare un paio di nomi, di Ahab e Sulfur Aeon. Eppure, i lionesi possiedono una discreta padronanza della materia, come dimostrano i due album in studio “Bathyscaphe” e “Thooï”, benché lo scarso dinamismo dei brani e la stessa rigida postura dei musicisti adottata on stage, rischi di far calare la palpebra in più di un’occasione. Fortunatamente, una lugubre messa in scena di ambientazione marina – l’unica di una serata invero piuttosto spartana da questo punto di vista – e i momenti di rollio da mal di oceano che i transalpini ci propongono senza moderazione, salvano dal dimenticatoio una performance che il solitario di Providence non avrebbe apprezzato al massimo grado. Da rivedere.

Setlist

Bathyscaphe
Us Oh
Tormentia
Hypoxia
Abyssal Tower

Aetherian

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Diverso, invece, il discorso per gli ateniesi Aetherian, supportati da una platea in notevole aumento e promotori di un classico melodic death novantiano, figlio di Amorphis e Dark Tranquillity first wave, e di cui oggi Be’lakor e Insomnium costituiscono i migliori epigoni. Bisogna ammettere, però, che al netto di una proposta non originalissima, quantunque dotata di un gradevole flavor epico di chiara ascendenza mediterranea, il quintetto attico, sinora autore di due lavori in studio, “The Untamed Wilderness” (2017) e “The Storm’s Egde dello scorso luglio, si rende protagonista di un’esibizione fiera e vigorosa, soprattutto in virtù della prova al microfono di un carismatico Panos Leakos, capace, con l’aiuto del bassista e seconda voce Kostas Mexis, di svegliare una folla ancora sonnacchiosa, coinvolgendola nel primo pogo della serata. Che si tratti di ellenizzare gli Amon Amarth (“Army Of Gaia”) o lanciare segnali di fumo in direzione Iron Maiden/At The Gates (“Πυρ Αεναον”), il gruppo si guadagna il favore dei paganti, tra un profluvio di chitarre da epopea, sfuriate di doppia cassa, insufflazioni melodiche e ritornelli battaglieri. Qualche spettatore sventola orgoglioso la bandiera greca, il frontman dialoga e ringrazia in lingua madre, e il tutto si chiude con una simpatica foto ricordo che immortala combo e spettatori, storicizzandone per sempre il legame. Trascinanti.

Setlist

Army Of Gaia
Πυρ Αεναον
Starlit Shores
The Rain
Primordial Woods

Vomitory

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Il locale si riempie nella sua quasi totalità quando a salire sul palco sono gli svedesi Vomitory, band in giro dal 1989 e che, allo scioglimento nel 2013, fa seguire la reunion cinque anni dopo, con il chitarrista Urban Gustaffson e il fratello Tobias alla batteria unici superstiti della line-up degli albori. Della formazione attuale marca visita l’ascia solita di Peter Östlund, ben sostituto, comunque, da Christian Frederiksson, mentre il bassista e singer Erik Rudqvist, nel gruppo dal 1997, tuttavia vocalist a partire dall’album “Redemption” (1999), oltre a fornire un prova solida e mai sopra le righe, risulta amabilmente ciarliero con la platea, una sorpresa questa, vista la sua notoria discrezione per manifestazioni estroverse e interattive. Un po’ sulla scia di ciò che di lì a poco proporranno i Vader, la scaletta degli scandinavi si rivela una vero e proprio rollercoaster temporale, piacevole conseguenza di un percorso discografico lungo nove lavori, e in cui trovano collocazione pezzi di varia foggia ed epoca (escluso il 1996 di “Raped In Their Own Blood”), intrisi, di base, da un death ruvido e granitico che, nel corso degli anni, si è però progressivamente arricchito di massicce schegge grindcore e thrash. A parte i brani dall’ultimo e convincente full-length “All Heads Are Gonna Roll”,  tra i quali spiccano principalmente la micidiale title track e le D-beat oriented  “Ode To The Meat Saw” e “Raped, Strangled, Sodomized, Dead”, provoca estrema lussuria auricolare l’inclusione di bombe al Napalm – ogni riferimento non appare puramente casuale – della violenza di “Terrorize, Brutalize, Sodomize” e “Rebirth Of The Grotesque”, laddove spetta a “Chaos Fury”, dritta e serrata come vecchia scuola insegna, chiudere una prestazione coi controfiocchi, priva di punti deboli visibili, se non per un mix che non rende giustizia alla prova vocale del biondo frontman, penalizzata dall’eccessiva saturazione volumetrica degli strumenti. Mal comune, mezzo gaudio: anche i maestri polacchi soffriranno, a tratti, di tale fastidiosa problematica.

Setlist

All Heads Are Gonna Roll
Stray Bullet Kill
Terrorize, Brutalize, Sodomize
Ode To The Meat Saw
Piece By Stinking Piece
Revelation Nausea
Regorge In The Morgue
Rebirth Of The Grotesque
Redemption
Raped, Strangled, Sodomized, Dead
Chaos Fury

Vader

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In un tripudio di luci che cambieranno sfumature di colore dopo ciascuna canzone, entrano in scena, uno a uno, i Vader, con il leader supremo Piotr Paweł Wiwczarek a calcare per ultimo e lentamente il palco, spalancando via via le braccia a cingere, in una stretta affettuosa e diabolica, un ambiente ormai al limite della capienza. Una storia di successo, quello della band originaria di Olsztyn, partita quattro decenni orsono come formazione heavy/speed metal, ma presto evolutasi in una delle realtà death-trash di punta del panorama estremo, non tecnicamente sbalorditiva, eppure terribilmente efficace, apripista di una nazione che vedrà l’affermazione planetaria dei Behemoth e di un underground dalla qualità mastodontica. Un gruppo capace di macinare, negli anni, chilometri e chilometri in tour, una marcia indefessa e fondamentale che ha contribuito non poco a farsi conoscere a livello mondiale e a diventare gli eroi di migliaia di comunità polacche sparse ovunque nel globo, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dall’Europa mediterranea al continente asiatico. Non stupisce, quindi, che il set allestito rappresenti una sorta di best of della prima produzione in studio, periodo in cui fioccarono gli album migliori dal punto di vista artistico e commerciale; la circostanza, poi, che alcune date – malauguratamente non questa – vedano la partecipazione straordinaria dell’ex chitarrista Mauser, in line-up nell’evo d’oro, ovvero tra il 1997 e il 2008, aggiunge un ulteriore tassello al perché di una selezione di carattere riepilogativo. I quattro, all’inizio avvolti in nebbie fantozziane tosto diradatesi, appaiono davvero in gran forma, con il frontman, che, oltre a dimostrare una verve invidiabile nonostante le cinquantasette primavere sul groppone, pensa a interpretare altresì il ruolo di storico della propria creatura, ornando ogni brano di una breve descrizione introduttiva, in lingua inglese, aggettante luce sul rispettivo disco di provenienza. Qualche bestemmia in italiano e continui ringraziamenti nel medesimo idioma, con la parola Roma inserita come intercalare nei pezzi, condiscono una sequela di stilettate da antologia, tra asce che stridono e capelli che fluttuano nell’aere. Dalla viscerale e acerba doppietta composta da “Decapitated Saints” e “The Wrath”, tracce tratte dalla demo “Necrolust” (1997), alle varie “Dark Age”, “Sothis”, “Back To The Blind”, “This Is War”, “Helleluyah!!! (God is Dead)”, non esistono pausa né requie, anticristianesimo e oscurità  assortite infiammano un’atmosfera già climaticamente soffocante, aumentano mosh e circle pit, e, quando sembra che l’Ade paia pronto a inghiottirci avido e ingordo, la performance, purtroppo, termina, dopo settanta minuti di pura e copiosa blasfemia. I Vader confermano una fisionomia da indistruttibile macchina da guerra, con la presenza dietro le pelli del giovane Michał Andrzejczyk a conferire ulteriore spinta cinetica a un monicker che raramente tradisce i propri estimatori. Applausi, applausi e ancora applausi.

Setlist

Decapitated Saints
The Wrath
Chaos
Vicious Circle
Dark Age
Silent Empire
Sothis
Black To The Blind
Carnal
Wings
Cold Demons
Epitaph
Dark Transmission
This Is The War
Helleluyah!!! (God Is Dead)
Triumph of Death

A mezzanotte va la ronda del piacere? No, a mezzanotte, orario di chiusura del concerto, va la ronda dell’Apocalisse, e ne siamo ben contenti!

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