Childhood Eyes
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Yellowcard – Childhood Eyes

Maybe you’re jaded, maybe you’re blind
Am I the only one watching with childhood eyes?

Niente dura per sempre, o almeno il detto recita così. Le cose avrebbero lo stesso significato se durassero in eterno? Alcune sicuramente sì, come l’arte, che sopravvive ai secoli e soprattutto all’uomo. Dunque, l’artista dovrebbe attendere di giungere al capolinea, che per forza di cose arriva prima o poi, oppure fermarsi prima che sia troppo tardi? E soprattutto, una volta terminata, l’artista può ripensarci e continuare la storia?

È un tema assai attuale quello delle reunion. Quante band si sono sciolte per davvero senza mai più tornare? Diventa sempre più realistico perfino il ritorno degli Oasis, che fino a qualche anno fa era dato per impossibile. Tra le tante band che hanno sbianchettato la parola fine si aggiungono gli Yellowcard. Dopo un lustro di silenzio, il quartetto di Jacksonville torna prima a suonare dal vivo nel 2022 e ora pubblica l’EP “Childhood Eyes”.

L’apparente finale sulle note di “Yellowcard” (2016) era più che degno di essere definito tale e chiudeva la carriera di una band che, seppure lontana dai successi di inizio millennio, aveva mantenuto un proprio stile e sarebbe così stata ricordata come una delle stelle del pop punk anni 2000. Invece eccoli tornati, con la formazione più recente: Ryan Key, Sean Mackin, Ryan Mendez, Josh Portman, accompagnati alla batteria da Jimmy Brunkvist dei Like Torches (gruppo prodotto da Key).

L’EP si apre con una collaborazione: “Three Minutes More” è un duetto di Key e Vic Fuentes dei Pierce the Veil, su una base a metà tra il pop punk veloce ed energico tipico della Florida e il post-hardcore della band di Fuentes, con una batteria che detta le regole per tutti. A dire la verità, la traccia meglio riuscita è proprio questa: di qui in poi il lavoro fa una discesa inaspettata.

Title track nonché singolo, “Childhood Eyes” svolge il suo compito: è catchy, rimane in testa dopo pochissimi ascolti, lascia abbastanza spazio al violino di Mackin, che in fin dei conti è ciò che ha reso gli Yellowcard diversi da tutte le altre band del loro genere.

“Hiding in the Light” è una traccia di 20 anni fa. Se per caso un giorno Key e soci rivelassero che si trattava di una outtake di “Ocean Avenue” (2003), non creerebbero molto stupore. Forse era proprio il brano che si stava nascondendo per evitare un’uscita anacronistica?

“Honest from the Jump” contiene spunti interessanti, i quali però non riescono a trasformare il brano in qualcosa di avvincente. I tempi storti delle strofe e il bridge necessitavano qualche secondo in più o semplicemente un arrangiamento diverso, così come anche il ritornello: prese singolarmente queste parti sono belle, ma l’intero insieme non è incastrato perfettamente e purtroppo perde di qualità nel prodotto finale.

“The Places We’ll Go” chiude il tutto con un’altra collaborazione: Chris Carrabba dei Dashboard Confessional aiuta Key e Mackin in questa ballad sì malinconica, ma tutto tranne che speciale o emozionante. Neanche l’aiuto di un connazionale è bastato per evitare che questa canzone scadesse nella banalità.

Tolta la prima traccia, si può dire che gli Yellowcard sono rimasti fedeli a loro stessi al 100% e riescono molto probabilmente ad accontentare la loro fanbase più fedele con pochi e semplici ingredienti: sound rinnovato di poco o nulla, stesso produttore dietro alla consolle da 20 anni (Neal Avron) e un po’ di amatissimo fan service (i featuring) che in generi come il pop punk funziona sempre.

“Childhood Eyes” non è un bellissimo EP, ma non è nemmeno un grosso passo falso. L’unica domanda che occorre farsi è, per ricollegarci al discorso iniziale: questa reunion cosa porta di nuovo che la band non avesse già detto? Una risposta più accurata arriverà se e quando ci verrà offerto un intero album, così da poter giudicare su una base migliore di 18 minuti circa.

Tracklist

01. Three Minutes More
02. Childhood Eyes
03. Hiding in the Light
04. Honest from the Jump
05. The Places We’ll Go

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