Un anno fa ci trovavamo a chiederci quanto ancora sarebbe durata l’emergenza sanitaria che ha sconvolto ogni aspetto delle nostre vite, comprese le nostre più grandi passioni. A quasi due anni dall’inizio della pandemia, il settore musicale rimane tra i più colpiti: nonostante il periodo estivo abbia visto una leggera riapertura per quanto riguarda concerti e show dal vivo, ci ritroviamo ancora una volta a dover rinunciare a quei momenti, che per noi rappresentano ben più di un semplice svago.

L’unica soluzione, in un periodo così infausto per la musica live, è quella di rivolgere la propria attenzione alle uscite discografiche, che nel corso del 2021 – complice anche la pandemia – sono abbondate, in termini di qualità e quantità. Ecco dunque una lista di ben 30 album – rigorosamente in ordine di uscita – che, durante quest’anno, hanno reso migliori le giornate di chi scrive su queste pagine e i cui brani migliori sono raccolti nella playlist che trovate di seguito. Un viaggio che comprende rock, metal e varie contaminazioni, ad opera di vecchietti inossidabili, così come nuove scintillanti leve.

VIAGRA BOYS – WELFARE JAZZ
8 gennaio, YEAR0001

La band svedese si conferma con questo secondo disco perfettamente in equilibrio tra post-punk ed acid-jazz. Uscito nei primissimi giorni del 2021, “Welfare Jazz” è fin da subito ben recepito da pubblico e critica. C’è tutta la forza delle performance dal vivo della band, insieme a ricercate soluzioni di continuità, a groove ipnotici e fuzz che si rincorrono per queste 13 tracce. I testi di Sebastian Murphy si confermano un’unione riuscita di denuncia sociale e racconti street life. Una produzione folta, che vede collaborare Matt Sweeney (Iggy Pop, QOTSA), Justin Raisen (Yves Tumor, Charli XCX), Pelle Gunnerfeldt e Daniel Fagerström. L’attitudine è alle stelle.

WEEZER – OK HUMAN
29 gennaio, Crush Music/Atlantic Records

La pandemia ha sconvolto i piani dei Weezer a beneficio dei fan che nel 2021 hanno potuto godere di ben due album della band di Rivers Cuomo. Primo fra questi “Ok Human”, disco con cui i Weezer hanno inaugurato il 2021 a gennaio: un album orchestrale, carico di sontuosi arrangiamenti d’archi che ammiccano in maniera evidente a sperimentazioni di stampo beatlesiano post “Sgt. Pepper’s”. Del resto, parte dell’album è stata registrata negli Abbey Road Studios. Un album dal sapore analogico, che sembra voler creare già nel titolo una dicotomia con “Ok Computer” dei Radiohead.

BLACK COUNTRY, NEW ROAD – FOR THE FIRST TIME
5 febbraio, Ninja Tune

Sette ragazzi poco più che ventenni ed un fantastico debut album che conferma la forte rifioritura del post-punk nello scenario musicale inglese. Ma “For The First Time” non è collocabile in un solo filone, date le svariate incarnazioni post-rock, indie, prog ed acid jazz che interessano uno svolgimento a tratti nervoso, a tratti idilliaco e sognante: quello dei londinesi è un inno alla giovinezza, alla cultura popolare, alla spensieratezza, ma anche ai primi problemi, alle ansie e alle frustrazioni di un età caratterizzata dal cambiamento repentino, il tutto raccontato attraverso una maturità tecnica fuori dal comune. Quello dei Black Country, New Road è, senza dubbio, uno dei capisaldi di questo 2021 messo in subbuglio dal post-punk.

PALE WAVES – WHO AM I?
12 febbraio, Dirty Hit

Anche in un anno senza molte certezze, i Pale Waves pubblicano un lavoro che non vuole lasciare alcun dubbio. “Who Am I?” spinge a riflettere su amore, rinascita e accettazione di se stessi, attraversando indie-pop e rock, che sposano alla perfezione pezzi con influenze più pop-rock, come “Change” e “Run To”. Ogni traccia sa conquistare ed incantare, con una patina di apparente delicatezza che nasconde invece una grande forza interiore, svelando a poco a poco la bravura di una band che è in continua fase di crescita.

NICK CAVE & WARREN ELLIS – CARNAGE
25 febbraio, Goliath

Tra i migliori dischi di questo 2021 non possiamo non includere “Carnage”, pubblicato da Nick Cave nella prima parte dell’anno a quattro mani con il fidatissimo polistrumentista Warren Ellis. Ispirato da pensieri e sensazioni catastrofici, il disco trova un interessante percorso tra i dualismi classici del pensiero e della musica del maestro australiano. C’è la paura e c’è la fede, le chitarre distorte ed il pianoforte angelico, la versione musicalmente più cruda di Nick Cave affiancata da quella più delicata ed intima.

ARCHITECTS – FOR THOSE THAT WISH TO EXIST
26 febbraio, Epitaph Records

Se lo struggente “Holy Hell” (2018) è stato l’apice della sofferenza, un album di celebrazione della morte e della vita al tempo stesso, una sorta di necessità terapeutica per elaborare la perdita di Tom Searle, “For Those That Wish To Exist”, nono album in studio degli quintetto inglese, ne raccoglie i primi nuovi raggi di luce. Gli Architects oggi si guardano attorno, descrivendo con parole apocalittiche quello che a tutti gli effetti è il risultato di un sistema viziato, metaforizzandone alcuni passaggi che diventano pura fonte di introspezione. I temi sono seri e vengono affrontati con senso di consapevolezza, ma non di remissività, con rabbia, ma per esprimerne l’urgenza, e con quel tanto di cinismo che è insito nella “filosofia Architects”. Questi chiaroscuri prendono vita nella composizione e nelle direzioni sonore: la band gioca con pad, synth e orchestrazioni, avvolgendo di sfumature nuove e più brillanti il cuore del loro sound, la durezza dei riff, la cupezza delle progressioni delle chitarre, la pesantezza cadenzata delle ritmiche. Difficile dire se “For Those That Wish To Exist” sia un album di passaggio o un nuovo inizio, ma rimane un album ricco, avvincente, un’esperienza di cui sicuramente gli Architects avevano bisogno.

STRANGER VISIONS – POETICA
26 marzo, Pride & Joy Music

A volte ci si trova davanti dei bagliori intensi e soprattutto inaspettati. L’album di debutto degli Stranger Vision, band tricolore, è semplicemente scintillante. “Poetica” riesce a brillare in maniera intensa e di luce propria, grazie ad un perfetto mix di riff in puro stile heavy metal, e venature melodiche ed armoniose, perfettamente incastonate in un songwriting maturo e coinvolgente. Tra special guest che impreziosiscono alcuni brani e tematiche che richiamano la poesia e tematiche filosofiche, la band emiliana stupisce per questo primo loro lavoro così intenso e sorprendente, spalancando davanti a loro un futuro radioso.

GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR – G_D’S PEE AT STATE’S END!
2 aprile, Constellation Records

L’album giusto al momento giusto. L’ensemble più sovversivo del panorama post-rock scatta un’infuocata istantanea di un mondo messo in ginocchio da crisi sociali, politiche e sanitarie, dando vita al proprio album più ispirato degli ultimi due decenni. Un ciclo di fine e inizio, morte e rinascita, che viene illustrato attraverso due lunghe suite, nelle quali l’estro compositivo della band raggiunge vette inesplorate, e due brani più brevi e puramente emozionali. Una sinfonia di suoni e rumori, in cui cacofonia, distorsioni, melodia e archi creano un magnifico disordine ordinato.

DRY CLEANING – NEW LONG LEG
2 aprile, 4AD

Immaginate come suonerebbero i Sonic Youth se fossero nati a sud di Londra: ossessivi, dark, dannatamente autoironici. Nel loro LP d’esordio, “New Long Leg” il quartetto guidato da Florence Shaw fonde lo spoken word con il noise, le influenze indie-rock, echi di Black Sabbath, Smiths, Strokes, persino Wilco. Il sound e l’attitudine li fanno sembrare una band minacciosa al primo ascolto, ma basta soffermarsi sui testi per captarne un’essenza profondamente scanzonata. Ma più delle parole è l’intonazione di Shaw che è così divertente e così straziante: le cadenze riluttanti, il modo in cui riesce a iniettare un’illeggibile lega di serietà e nonsense in ogni canzone, una sorta di gigantesca macchia di Rorschach sullo sfondo di un sound affilato e stimolante. Shaw dà voce a una generazione che fatica a dire come ci si sente ad essere vivi in ​​questo momento: “Fai tutto e non senti nulla”. Menzione speciale per un mixing e un mastering perfetti opera di John Parish.

GOJIRA – FORTITUDE
30 aprile, Roadrunner Records

Fedeli alla strategia che li ha resi una delle band metal di punta dei nostri tempi, i Gojira propongono un bilancio dei loro primi vent’anni di carriera, tra crisi climatica e pandemia: il nuovo “Fortitude” è, in breve, il requiem di un mondo che muore un po’ ogni giorno. E i francesi lo fanno sfoderando l’armamentario di stilemi che rende inconfondibile il loro sound, con pezzi in cui la maturità della band gioca con i chiaroscuri e le aperture improvvise, alternando momenti in cui la furia dei decenni passati viene screziata di sfumature malinconiche e più morbide, sulla scia dell’ultima release “Magma”. È questa combinazione di elementi a renderlo sicuramente uno dei lavori più variegati e interessanti della band francese, meritevole di ascolti attenti.

I MINISTRI – CRONACA NERA E MUSICA LEGGERA (EP)
14 maggio, Woodworm Records

È evidentemente e definitivamente l’anno in cui abbiamo davvero bisogno di musica leggera (anzi, leggerissima), di edulcorare una realtà troppo cruda, inaccettabile, di cantare una canzone felice che parla di cose tristi, oppure di niente. “Cronaca Nera e Musica Leggera” è dunque il paradosso contemporaneo reso nella coerenza furiosa di 4 brani racchiusi in questo EP, che è anche un omaggio al “sapere con la S maiuscola”, quello dei saggi Einaudi nel nostro immaginario, come espresso dalla cover-tributo, simbolo di una cultura in qualche modo perduta o, quantomeno, messa da parte e svalutata da una comunicazione viziata che ha preso il sopravvento, in modo più sfacciato che mai nell’ultimo anno.

VOLA – WITNESS
21 maggio, Mascot Records

L’album dell’affermazione è un vero e proprio successo per i VOLA, band danese che dopo aver fatto parlare molto bene di sé con i precedenti “Inmazes” e “Applause of a Distant Crowd”, trovano la quadratura del loro sound con “Witness”, album che alterna hit di immediato coinvolgimento a brani più strutturati e sperimentali. Interessante è infatti l’uso delle elettroniche e l’ottimo mix tra la matrice prog metal del quartetto e la collaborazione del rapper Shahmen nel brano “These Black Claws”, una delle tracce più acclamate a livello internazionale.

   Credits: Jordan Hemingway

WOLF ALICE – BLUE WEEKEND
4 giugno, Dirty Hit

I ragazzini londinesi crescono e con loro matura anche la loro musica. Dopo i temi post-adolescenziali di “My Love Is Cool” e le battaglie interiori ed esteriori di “Visions Of A Life”, i Wolf Alice arrivano alla soglia dei 30 anni con un bagaglio di esperienze a cui viene dato libero sfogo. “Blue Weekend” è un album in cui suoni e arrangiamenti squisiti si uniscono a temi delicati e universali, in cui questa generazione può immediatamente riconoscersi. Una colonna sonora della nostra interiorità, un atlante emotivo su cui ballare, piangere, bere quel drink in più, ridere.

KINGS OF CONVENIENCE – PEACE OR LOVE
18 giugno, EMI/Imperial Music

A 12 anni dall’ultima release il duo norvegese dall’animo mediterraneo Kings Of Convenience pubblica quasi inaspettatamente “Peace Or Love”, partendo da materiale risalente a diversi anni fa e cristallizzandolo in una raccolta che sa di tramonto estivo sul mare (non a caso una parte del lavoro è stata registrata nell’amata Sicilia). L’unico incanto in contrapposizione ai testi è la loro musica, con toccanti intrecci a livello vocale tra i due e trame chitarristiche in grado da sole di creare atmosfere nostalgiche in cui il resto dello strumentario diventerebbe superfluo, lasciando solo spazio a qualche incursione prevalentemente di altri cordofoni a rendere il tutto ancor più arioso. Se volete farvi venire gli occhi lucidi di malinconica gioia, se volete assaporare una dolcezza mai stucchevole sapientemente mescolata ad un amaro mai ridondante, loro saranno i vostri complici. La felicità è hic et nunc, la felicità è ascoltare “Peace Or Love”.

HELLOWEEN – HELLOWEEN
18 giugno, Nuclear Blast Records

Inutile dire che l’album di reunion degli Helloween è stato senza dubbio uno dei dischi più attesi del 2021 da buona parte degli amanti del metal. Una band che ha significato tantissimo per l’intero movimento musicale e che ha accompagnato intere generazioni con la propria musica. Dopo un tour di reunion che ha registrato un successo clamoroso, non era facile mantenere le altissime aspettative, ma “Helloween” è semplicemente il perfetto congiungimento tra passato, presente e futuro: un album che ha saputo unire ed amalgamare alla perfezione il periodo degli anni ’80 con con Kiske e gli anni più recenti targati Deris. Un ritorno di classe purissima.

YONAKA – SEIZE THE POWER
15 luglio, Creature Records

Con questa seconda uscita discografica, la giovane band made in UK sconvolge completamente ogni aspettativa dettata dal primo “Don’t Wait Till Tomorrow”. “Seize The Power” è casa di un crossover caleidoscopico, un vortice che trascina senza sosta tra elettronica, un pop oscuro – Theresa come una Dua Lipa dark in “Get Out” -, il rap di “Clique” – il feat con i Fever 333 – e ovviamente rock. “Seize The Power” viaggia alla scoperta di infiniti stati emotivi, dalla gioia, al dolore più profondo, fino al trionfo finale: la soundtrack di chi, guardandosi allo specchio e ritrovando la propria bellezza e la propria forza, riemerge.

JINJER – WALLFLOWERS
27 agosto, Napalm Records

Giunta ad un bivio fondamentale della sua discografia dopo l’enorme successo di “Macro” (2019), la formazione ucraina capitanata da Tatiana Shmayluk non cede alle pressioni del successo e tira fuori un macigno pronto a legarsi alle caviglie per trascinarci giù, nell’oblio più buio della mente, dove le sofferenze, i dolori, le ansie si annidano come avvoltoi, pronti ad attaccare i nostri animi come carcasse. “Wallflowers” è un lavoro elegante, cupo, violento, abrasivo, dalle trame nero pece, complesse e articolate, ma che vanno a tessere il miglior album in studio del quartetto fino ad oggi.

LEPROUS – APHELION
27 agosto, Inside Out Music

A due anni di distanza dal riuscitissimo “Pitfalls”, i norvegesi Leprous sono tornati con “Aphelion”, non deludendo le aspettative e confermandosi in grande spolvero. Ricco di elementi orchestrali e caratterizzato da una forte teatralità, “Aphelion” continua il discorso intrapreso con l’album precedente e, allo stesso tempo, presenta alcune soluzioni originali degne di nota. Eseguito magistralmente, ricco di sfumature e di contaminazioni, “Aphelion” può risultare una piacevolissima sorpresa per i fan del progressive metal che non conoscono i Leprous e una grande conferma per chi ancora non avesse recuperato l’ultima fatica dei norvegesi.

SENJUTSU – IRON MAIDEN
3 settembre, Parlophone Records

Maggiormente interessati alla costruzione di pezzi atmosferici e vagamente progressive invece che riversare nei timpani degli affezionati le colate di energia metallica tipiche delle grandi prove del passato, gli Iron Maiden mostrano anche in “Senjutsu” la capacità non soltanto di sopravvivere al proprio mito, ma di andare decisamente oltre, recuperando soprattutto le raffinate melodie e le scale epiche di “Brave New World” (2000) e certe cupezze del non sempre apprezzato “Matter Of Life And Death” (2006) per infonderle in un album di pregevole fattura, di volta in volta oscuro, elegiaco, battagliero. Se Steve Harris resta il principale direttore d’orchestra, direzionando la bussola sonora della band con il contributo fondamentale dell’ormai fido produttore Kevin “Caveman” Shirley, Bruce Dickinson sfodera la consueta prestazione da antologia, nonostante le numerose traversie personali occorsegli: un perno su cui ruotano i fluidi intrecci chitarristici di Gers, Murray e Smith, e la solida batteria di McBrain, davvero encomiabile per tenuta e variazioni ritmiche. L’ennesimo grande disco.

LITTLE SIMZ – SOMETIMES I MIGHT BE INTROVERT
3 settembre, Age 101

L’artista londinese ci regala un lavoro maestoso a livello di arrangiamenti e stile, in questa dedica senza compromessi alla black music americana nella sua età d’oro. Si riconferma la supervisione d’eccellenza di Inflo, fondatore dell’acclamatissimo collettivo R&B Sault e produttore (tra gli altri) di Adele, The Kooks e Michael Kiwanuka. La giovane rapper britannica dimostra maturità e confidenza con strutture dei brani tutt’altro che prevedibili e apre la strada ad influenze 70s che vanno dal funk alla motown, ma rimanendo sempre coerentemente contemporanee.

SPIRITBOX – ETERNAL BLUE
17 settembre, Pale Chord Records

“Eternal Blue” conferma gli Spiritbox come una delle band emergenti più interessanti del panorama alternative metal. Sin dalle prime tracce dell’album (“Sun Killer” e “Hurt You”), l’ascoltatore si può perfettamente rendere conto delle molteplici contaminazioni, della bravura dei musicisti nel bilanciare le parti più pesanti a quelle più soft e nel mescolare con notevole abilità elementi e generi tanto eterogenei. Per tutti questi motivi, “Eternal Blue” rappresenta una vera e propria ventata d’aria fresca e una delle migliori pubblicazioni del 2021 provenienti dalla scena alternative metal.

ANGELS & AIRWAVES – LIFEFORMS
24 settembre, Rise Records

A sette anni di silenzio da “The Dream Walker”, l’ex chitarrista dei Blink-182 torna con la sua band Angels & Airwaves e “Lifeforms” è il risultato. Tom DeLonge guarda allo spazio e questa sua passione per UFO e alieni sembra più palese che mai nei synth spaziali di “Timebomb” e “Spellbound”. Contemporaneamente, non vengono abbandonate le origini pop-punk, con pezzi come “No More Guns”, che sembra più una canzone dei Blink che degli AVA. L’album ha tanti elementi diversi: voglia di leggerezza, sonorità alternative rock, giri sempre particolari e ritornelli molto catchy. In questa grande varietà, “Lifeforms” riesce ad avere una buona omogeneità e giustificare il lungo silenzio. Nell’attesa di scoprire altre forme di vita intelligenti, possiamo limitarci ad ascoltare l’album guardando il cielo.

BIFFY CLYRO – THE MYTH OF THE HAPPILY EVER AFTER
22 ottobre, 14th Floor/Warner Records

Che i Biffy Clyro non scendano mai a compromessi nel loro modo di fare musica lo sapevamo già. Con questo nuovo lavoro in studio lo confermano ancora una volta. “The Myth Of The Happily Ever After”, uscito per 14th Floor Records, è il più recente album della band scozzese capitanata da Simon Neil. Un lavoro completo, piacevole, ricco di personalità. Forse c’è da chiedersi cos’abbia a che fare con le produzioni del 2021 che lo circondano, ma ce lo facciamo andare bene così: fuori dal suo tempo. Un lavoro che pare essere stato pensato come un live, strutturato sulle corde di chi ha ancora voglia e pazienza da dedicare alla buona musica.

PARQUET COURTS – SYMPHATY FOR LIFE
22 ottobre, Rough Trade

I Parquet Courts vanno a briglie sciolte e in questo album si presentano come una band temeraria che non ha paura di affrontare nuove sfide. Dopo aver riletto il post-punk e il garage in chiave contemporanea, i newyorkesi, con “Sympathy For Life”, aggiungono il funk e ritmiche inusuali sperimentando al massimo delle loro possibilità. In alcuni passaggi più ruvidi ritroviamo quel garage revival esaltante che rimane il loro tratto distintivo e il merito della varietà stilistica così bene a fuoco va anche a una produzione perfetta affidata, tra gli altri, a John Parish.

1914 – WHERE FEAR AND WEAPONS MEET
22 ottobre, Napalm Records

In “Where Fear And Weapons Meet”, terzo concept consecutivo sulla Prima Guerra Mondiale, gli ucraini 1914 riescono nell’impresa di ripetere i fasti del precedente “The Blind Leading The Blind” (2018), mantenendo sostanzialmente invariate le assi portanti di un songwriting solido e quadrato. Ne emerge un LP pregevole, che conferma la lucidità compositiva del quintetto, abilissimo nella scrittura di testi poliglotti e talmente ricchi di dettagli storici da sbalordire il cattedratico più scafato. E tra registrazioni d’epoca e rumorismo bellico d’antan, il death-doom dalle spigolature black del combo viaggia che è un piacere, intriso di una forte vena epica capace di bilanciare l’aura tragica che circonda gli eventi narrati. Chapeau.

   Credits: Clay McBride

MASTODON – HUSHED AND GRIM
29 ottobre, Reprise Records

Riprendendo da dove si era interrotto l’EP “Cold Dark Place” (2017), il viaggio di quasi 90 minuti che i Mastodon intraprendono con “Hushed And Grim” trova il quartetto georgiano nella sua forma più matura, seria e incisiva. Il colosso di apertura “Pain With An Anchor” è una gemma torreggiante, emotiva e ipnotica, mentre “Eyes of Serpents” è dolcemente arida e “Skeleton of Splendor” è facilmente tra le loro migliori ballate acustiche. In breve, “Hushed And Grim” si libera degli eccessi in cui la band si stava incastrando nei primi 2000 per mostrare l’eccellenza stanca ma saggia dei Mastodon.

DEATH SS – TEN
29 ottobre, Lucifer Rising Records

Come il titolo stesso suggerisce, “Ten” rappresenta il decimo album in studio dei Death SS, band pioniera del metal tricolore, fondamentale sia dal punto di vista musicale che da quello visivo. I nuovi brani, pur risultando agili e scoppiettanti, nascondono un certosino lavoro di stratificazione sonora e degli arrangiamenti cuciti con il bilancino che, a un ascolto di superficie, potrebbero dileguarsi a orecchie distratte. Il ritorno del gruppo di Steve Sylvester a un approccio heavy più deciso e arrembante in buona parte della scaletta, abbinato a un immaginario condito da fumetti, esoterismo e cinematografia horror, rende il disco un must da non perdere.

EMMA RUTH RUNDLE – ENGINE OF HELL
5 novembre, Sargent House

Dopo un’intera carriera passata a danzare, attraverso innumerevoli progetti, sul sottile filo che divide melodia, distorsioni e noise, Emma Ruth Rundle pubblica un album interamente acustico in cui le leggere note di piano e chitarra pesano come macigni. In un periodo tutt’altro che semplice per la sua vita, la musicista californiana rielabora una serie di traumi infantili, negozia con i propri fantasmi, mettendo nero su bianco un’opera che trasuda dolore da ogni singola nota. Registrato dal vivo, senza inutili orpelli e correzioni, “Engine Of Hell” è un album per pochi, e allo stesso tempo un album per tutti. Una volta concluso l’ascolto immersi nella vostra interiorità, non sarete la stessa persona che ha premuto play.

IDLES – CRAWLER
12 novembre, Partisan Records

Il ritorno dei mastini di Bristol, a poco più di un anno dall’elettrico stupore lasciatoci da “Ultra Mono”, è a dir poco spiazzante. I ritmi tremano sulle scosse nervose di un Joe Talbot in confessione, inginocchiatosi per raccontare i problemi che hanno attanagliato la sua vita e quella di tanti. Una ricerca elettronica più oculata ed una batteria ed un basso nevrotici prendono campo sulla distorsione delle chitarre, andando ad impacchettare l’album più complesso, sperimentale e più squisitamente post-punk della giovane e già ricca discografia degli inglesi.

JULIE DOIRON – I THOUGHT OF YOU
26 Novembre, You’ve Changed Records

A nove anni dall’ultimo album in studio la cantautrice canadese torna con un disco grintoso, dove emerge chiaramente l’intento di andare oltre l’intimismo dei lavori precedenti. Il roots rock è lo stile più in evidenza con qualche felice digressione nella psichedelia, ma non mancano di certo le ballate malinconiche dal taglio blues rock. “I Thought Of You” è un disco sfavillante che regge il confronto con i migliori cantautori del nuovo indie rock americano.

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