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Sicuramente tra gli eventi metal più attesi di questo inizio anno, il ritorno degli Architects in Italia è stata anche l’occasione di rivedere Loathe e Spiritbox, una combinazione di nomi che ha reso questa data imperdibile per gli amanti del metal moderno.
Dopo la toccata e fuga della scorsa estate al Knotfest, finalmente rivediamo la band di Sam Carter in una produzione propria, e, per la prima volta da headliner, ci danno la possibilità di ascoltare il loro ultimo “The Classic Sympthoms Of A Broken Spirit”, un album che ha riaffermato il posizionamento degli Architects tra i capisaldi del genere, innovatori, esploratori curiosi e appassionati, sempre personali, e che ritroviamo in una nuova fase di nichilismo tracotante che sembra aver perso anche quel timido ma fondamentale fendente di luce che avevamo intravisto in “For Those Who Wish To Exist”.
Neanche a dirlo, l’Alcatraz è pienissimo, se non sold out, poco ci manca: la fanbase italiana degli Architects è decisamente cresciuta negli anni. È bellissimo vedere la community che si ingrandisce, ma anche continuare ad avere la certezza che questi momenti siano un’occasione per incontrarsi e riabbracciarsi con gli affezionati.
Loathe
Sono le 19 in punto quando le luci si spengono e l’aria si riempie delle celebri note del “Nessun Dorma”, mentre il palco si colora di verde, bianco e rosso. I Loathe si presentano on stage al termine del triplo – e profetico – “vincerò” e non perdono tempo in chiacchiere o introduzioni: il build up iniziale di “Gored” fa salire la tensione e quando il riff devastante inizia a martellare i nostri corpi inermi, nelle vicinanze del palco si sono già formati diversi circle pit. Considerata la cancellazione del loro show all’Infest 2022, aspettavamo la band di Liverpool da quasi 5 anni, quando il sorprendente “I Let It In And It Took Everything” non era ancora stato pubblicato. Questa mezz’ora diventa quindi l’occasione, oltre che per vedere sul palco una band chirurgica, anche per ascoltare dal vivo il perfetto intreccio di furia cieca e tendenze shoegaze che caratterizzano i Loathe e il loro ultimo album. Tra la pura violenza di “New Faces In The Dark”, gli stacchi melodici di “Aggresive Evolution” e il finale mozzafiato di “Heavy Is the Head That Falls With the Weight of a Thousand Thoughts”, c’è spazio anche per l’infinita delicatezza di “Is It Really You?”, sulla quale Kadeem France e compagni tirano il fiato e ci fanno volare. E dopo uno show del genere, c’è solo da chiedersi quando potremo gustarceli da headliner.
Setlist
Gored
New Faces in the Dark
Aggressive Evolution
Screaming
Dance on My Skin
Is It Really You?
Heavy Is the Head That Falls With the Weight of a Thousand Thoughts
Spiritbox
Una ventina di minuti dopo tocca agli Spiritbox infiammare la platea – e quale band migliore per un compito simile? Il quartetto canadese sta vivendo un momento magico fin dalla pubblicazione – ormai più di due anni fa – dell’esordio “Eternal Blue” e tra tour, nuovi EP e capatine ai Grammy Awards, abbiamo la fortuna di vederli in azione a Milano per la terza volta in un anno e mezzo. Era chiaro già con i Loathe, diventa lampante ora: le persone che affollano l’Alcatraz non sono venute solo per gli headliner e fin dalla nuova – e pesantissima – “Cellar Door”, il pubblico canta a squarciagola insieme a Courtney LaPlante – o almeno ci prova, data la versatilità folle della cantante. Adeguandosi al mood della serata, gli Spiritbox si concentrano sulla parte più pensante della propria discografia e i presenti, ovviamente, apprezzano. Niente spazio quindi per ballad come “Constance”, si tira dritto con tanta violenza e poca melodia, tra “Angel Eyes”, “Hysteria” e pezzi che sono già classiconi come “Holy Roller” e “Circle With Me”. Poco altro da aggiungere, gli Spiritbox dimostrano sul palco perché sono una delle band metal più di successo del momento.
Setlist
Cellar Door
Jaded
Angel Eyes
The Void
Rotoscope
Hurt You
Yellowjacket
Circle With Me
Holy Roller
Hysteria
Architects
Sulle note di “Don’t Stop Me Now” dei Queen il palco si svela nella sua interezza: una composizione industrial di acciaio e schermi su tre piani, la batteria su quello centrale, che prende improvvisamente vita con “Seeing Red”, il nuovo singolo rilasciato dalla band solo un paio di mesi fa. Più che una new entry sembra una vecchia hit, a giudicare dal singalong dell’Alcatraz. Un inizio coraggioso, un azzardo che ha avuto il migliore dei riscontri, con una platea che insieme a Carter si interroga disperatamente appellandosi a qualcuno di indefinito: “Won’t somebody tell me what I believe?”.
Stretto nella sua maglia dell’Italia numero 7, Carter è una mina vagante: sfrutta ogni centimetro dei diversi piani del palco in un’incontenibile corsa disperata e liberatoria che diventa una costante condivisione delle proprie – di tutti – sofferenze. Forse ci troviamo qui proprio per questo. “Abbiamo tutti una cosa in comune”, dice Sam, “Ognuno di noi a un certo punto morirà”. Lapidario, ma con un messaggio in fondo positivo; “Non abbiamo controllo sul passato né sul futuro, l’unica cosa che possiamo fare è goderci il presente”, afferma in una dichiarazione d’affetto un po’ drammatica nei confronti dei fan che stanno affollando la venue.
La scaletta scorre via, tra momenti più lenti, soprattutto alcune sequenze di brani tratti dagli ultimi due album, pietre miliari immancabili come “Nihilist” o “Gravedigger”, e momenti alti come “Dead Butterfly”, in cui Sam Carter, come sempre di profilo, e dal più alto piano del palco, ci regala una performance di assoluto livello.
Risucchiati dalla scenografia, travolti dalla musica, in perfetta sincronia con ogni urlo di Carter, questa serata è diventata una festa che sembra piacere molto anche alla band, che si spertica in complimenti incessanti al pubblico, tra scambi di affetto e pittoreschi cori calcistici “à la italienne”, non saprei come definirli diversamente.
Lo show si conclude con “Nihilist” e “Animals”, chiudendo il cerchio di questa nuova serata passata urlando le nostre paure e debolezze, la nostra rabbia… un concerto degli Architects, si sa, non è una passeggiata. Ma basta voltarsi, guardarsi intorno per capire solo una cosa: anche nel profondo dell’oscurità, nella complessità di certi sentimenti e di certe paure, siamo meno soli di quanto pensiamo.
Setlist
Seeing Red
Giving Blood
deep fake
Impermanence
Deathwish
Black Lungs
Discourse Is Dead
Hereafter
Gravedigger
Dead Butterflies
Little Wonder
Doomsday
Royal Beggars
These Colours Don’t Run
a new moral low ground
Meteor
when we were young
Nihilist
Animals