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Daughter – Stereo Mind Game

I have you in the pictures, I’ve held you in the plan
I’d just need to erase distance, find a hole in the ocean
Swim backwards

Caro amore mio, se solo potessi, costruirei un gigantesco ponte per raggiungerti. Nuoterei, sfidando l’infinità dell’oceano, per tornare indietro, per poter riavere tra le braccia il tangibile frutto di questi splendidi ricordi.. se solo potessi.

Si stagliano ai piedi dell’Atlantico, lì dove acqua e terra trovano una visibile congiunzione, le speranze di Elena Tonra, si arrendono maturamente alla gelida realtà ed all’invisibile spietatezza della distanza. Una resa che si spoglia, però, dell’accezione negativa che solitamente si trascina dietro, circoscrivendo il passo più doloroso – ma anche più saggio – dell’allentare la morsa, lasciare andare ciò che non si può trattenere tra mani ormai ferite, vivere di meravigliosi ologrammi, bloccati nella bellezza di un ultimo sorriso, piuttosto che di sbiadite immagini stampate da ciò che è stato tirato troppo per le lunghe, provando a combattere l’inevitabilità dell’addio.

Pochi, ma buoni. Quattro album in studio – compresa la soundtrack “Music From Before The Storm” – uno più bello dell’altro. Una pausa di sei anni che ci ha separato violentemente dai Daughter, una distanza che incarna il leitmotiv del nuovo “Stereo Mind Game“, un distacco non temporale, bensì, interpersonale, emotivo, chilometrico, extra-continentale: registrato tra Regno Unito e USA, il nuovo pargolo del trio londinese geme di un’intimità prepotente che fraziona la malinconia dei lavori precedenti, adagiandola delicatamente, a piccole dosi, su di un copione più adulto e nel songwriting, e nell’esplorazione strumentale.

Parliamo di perfetta commistione, poichè il suono dei Daughter è sfumato, volatile, un rilievo di venature da captare in una tracklist che le risalta nei momenti più adatti, sin dai confortevoli tratti dream pop di “Be On Your Way”, che pulsano docili in un abito di elegante shoegaze, fino a riprendere consistenza nelle confessioni in chiave indie-rock di “Party”, con le sei corde della frontwoman e di Igor Haefeli a lievitare in un crescendo che è ormai una riconoscibile firma nella scrittura dei Nostri.

È l’oceano – strano a dirsi – il protagonista/antagonista del platter, un baluardo dannatamente invalicabile, citato costantemente dall’angelica voce della Tonra, assorta a cercar di scovare, dalle sponde inglesi, qualcosa di troppo lontano da lei: la movimentata “Swim Back” si stacca dalle atmosfere evanescenti e pacate (“Future Lover”, “To Rage”) incorporando un passo più dinamico – bravo Remi Aguilella dietro alle pelli, ottimo Haefeli nel sostenuto e distorto riffing di basso – che scuote il desiderio di nuotare indietro, di cancellare tutto ciò che si frappone tra due persone.

Tematica che ricorre nelle pozzanghere slowcore di “Wish I Could Cross The Sea”, permeate da synth ossessivi e archi crescenti nel finale e nell’acustica, malinconica presa di coscienza testimoniata dalla fugace “Isolation”; nel frattempo, la ritmata “Dandelion” ramifica le schematiche folk che forgiano il sound del trio, riprese e adattate a momenti di toccante fragilità (“Neptune”) e ad attimi più criptici di smarrimento (“Junkmail”).

Quanto ci erano mancati i Daughter, e quanto ci era mancata quella salsa agrodolce in cui poter bagnare i nostri pensieri: “Stereo Mind Game” nasce da un’esigenza, dal bisogno di raccontare un ricordo per evitare che questo perda energia e si scolorisca, schiacciato dalle ruote del tempo che scorre. Certosino è il lavoro di produzione, assieme a quello di songwriting, quest’ultimo catturato da una sfera di intimità che tocca, forse, il picco della giovane carriera dei londinesi, prima bravi a descrivere sentimenti pungenti, ora abilissimi a gettarvisi dentro, a viverli, a raccontarli in prima persona.

Tracklist

01. Intro
02. Be On Your Way
03. Party
04. Dandelion
05. Neptune
06. Swim Back
07. Junkmail
08. Future Lover
09. (Missed Calls)
10. Isolation
11. To Rage
12. Wish I Could Cross The Sea

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