Poco prima del loro show all’Alcatraz di Milano, abbiamo avuto occasione di parlare con Eric Vanlerberghe e Dylan Bowman, rispettivamente cantante e chitarrista degli I Prevail. Dopo la pubblicazione dell’ultimo album “True Power”, la band si trova in una fase di grande crescita e i due ci hanno raccontato le loro sensazioni a riguardo, quello che vogliono dire con la loro musica e le difficoltà dell’essere in tour senza il cantante Brian Burkheiser, rimasto a casa per riprendersi completamente dopo un’operazione chirurgica.

Ciao ragazzi, benvenuti su SpazioRock! Come state? Siete pronti per lo show?

Eric: Sì, decisamente. È la prima volta che suoniamo in un locale qui, l’anno scorso era ad un festival. Quindi sì, è fantastico!

Prima di tutto vorrei chiedervi di Brian. Come sta? Si sta riprendendo?

Eric: Sta bene, anche se non si è completamente ripreso e quindi non è potuto venire in tour.

E come vanno i primi show di questo tour? Non è facile senza lui, immagino…

Eric: Durante il primo abbiamo dovuto un attimo capire chi dovesse fare cosa, ma abbiamo trovato in fretta il ritmo.

Dylan: Sì, poi i primi concerti sono già un po’ caotici in generale, quindi stiamo capendo meglio come muoverci, quali parti aggiuntive deve cantare Eric e quali io e così via. Sì, è un po’ diverso…

Stasera suonate qui a Milano. Come hai detto prima, è la seconda volta per voi in Italia, ma è la prima da headliner e credo che sia davvero bellissimo che dopo tanti anni possiate suonare qui e in molti Paesi nuovi in Europa. Come ti senti pensando a questo?

Eric: È eccitante. È eccitante essere in giro da 10 anni e continuare a trovare nuovi posti per suonare. Ed è fantastico sapere che stiamo suonando per la prima volta davanti a così tante persone.

Dylan: Il primo show da headliner in un nuovo Paese è sempre qualcosa di speciale, i fan magari hanno aspettato anni per vederti e finalmente siamo qui. Sarà molto emozionante, divertente ed energico!

Parlando di questo, avete guadagnato molti nuovi fan con la pubblicazione dell’ultimo album “True Power” nel 2022. Durante questi due anni, quanto questo album vi ha cambiato la vita e cosa ne pensate ora? Credete che sia il vostro miglior lavoro?

Eric: È difficile da paragonare agli altri, ma credo sia il più creativo e il più forte che avremmo potuto fare. È molto emozionante vedere come siamo arrivati a questo punto, e come molte persone abbiano imparato tuti i testi dopo poche settimane dall’uscita. Magari quando suoni ti rendi conto che tutti i fan conoscono bene un paio di canzoni, ma ai concerti vengono cantate sempre tutte dal pubblico. È davvero fantastico.

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Eric Vanlerberghe

L’anno scorso avete pubblicato una versione acustica di “Deep End”. Credo che abbiate scelto questa canzone perché mostra un lato più soft della band, ma ci sono altre ragioni? E se aveste dovuto sceglierne un’altra da riprodurre in questa versione, che canzone avreste scelto?

Eric: Quando stavamo lavorando alla versione originale della canzone eravamo indecisi su come metterla giù. Quindi sì, trovo molto bello il fatto che sia una canzone che possa vivere in queste due forme diverse, avendo comunque la propria identità. Alla fine per questo motivo abbiamo deciso di pubblicarla com’è nell’album e di farne una versione acustica dopo un po’ di tempo. E per quanto riguarda un’altra canzone… Posso dirti che abbiamo già qualche piano in merito riguardo altre due canzoni, ma si scoprirà più avanti.

Dylan: Ssshh, non dirlo [ride, ndr].

Eric: Troppo tardi [ride, ndr]

Interessante! E parlando sempre di “Deep End”, mi piace molto il messaggio che volete mandare con questo brano. C’è un verso che dice “I write songs about being someone else/That say Fuck the world but not I need help” e credo che sia davvero un messaggio potente, il fatto che dobbiamo accettare tutti i nostri aspetti, tutte le cose positive e negative di noi stessi. Quindi, voglio chiedervi come affrontate solitamente queste sensazioni e quanto è difficile metterle in una canzone?

Eric: Oh, è davvero difficile. Credo che la cosa più importante durante la scrittura sia essere onesti con se stessi. È così che vengono fuori le cose migliori, che si tratti di testi, musica o qualsiasi altra cosa. Comunque non so, è davvero una bella domanda. Molte canzoni provengono da qualcosa di vero, quindi è questione di accettare il fatto che non sarai mai perfetto, che le cose potrebbero essere non sempre al meglio, ma va bene così. Fa parte dell’essere umano ed è giusto scrivere di queste cose. Penso che riusciamo a connetterci con le persone perché quello che suoniamo e diciamo è vero, è quello che sentiamo e pensiamo. Cerchiamo di scrivere sempre qualcosa che viene dal cuore.

Parlando di questo, suonare musica significa mandare un messaggio, quindi qual è il messaggio che volete mandare con la vostra musica?

Dylan: Come ha detto Eric, il punto è la nostra esperienza, l’essere veri. C’è il bene e il male, ci sono canzoni dove mostriamo tanta sicurezza, ma c’è anche “Deep End”. Viviamo quello che abbiamo sempre sognato, ma ovviamente abbiamo alti e bassi, così come chiunque altro. Non può andare sempre tutto bene, capiterà sempre qualcosa che non va e sono cose che viviamo tuti i giorni

Eric: Sì, alla fine alcune canzoni sono un incoraggiamento a tenere duro e a combattere, altre sono invece un modo per comunicare che è giusto provare anche sensazioni negative, che non bisogna cercare di allontanarle a prescindere, non sarebbe una cosa salutare. E a volte è bello sapere che qualcun altro sta passando le stesse cose brutte che hai passato anche tu.

Ma alla fine, il nome della vostra band è positivo, quindi anche il messaggio nel comoplesso lo è!

Eric: Sì, decisamente [ridono, ndr].

IPrevailDylan

Eric: Parlando di una serata come questa, alla quale ci saranno molte persone che non ci hanno mai visto, per noi è importante fare uno show che sia il più divertente possibile. I fan devono divertirsi e stare bene, la setlist deve contenere tante canzoni che la gente possa apprezzare e cantare. Ma allo stesso tempo è giusto sorprenderli con cose inaspettate. Quando vai ad un concerto vuoi semplicemente divertirti e dimenticare tutto quello che succede nel mondo per un paio d’ore. Quindi quello che dobbiamo fare è assicurarci che la gente possa divertirsi. E non è semplice, ma è una cosa che amiamo fare.

Parlando invece della vostra musica, negli ultimi anni abbiamo un sacco di band che hanno ripreso generi come metalcore, nu metal e così via. Come abbiamo detto prima, avete raggiunto molti nuovi fan negli ultimi anni e stare a questi livelli è sempre una sfida. Quindi secondo voi quali sono i migliori aspetti della vostra musica?

Dylan: Personalmente, una delle cose che mi piace è… So che praticamente l’ho già detto prima, ma la vita non è sempre semplice e mi capita di sentirmi giù a volte. Magari sono in tour e succede qualcosa a casa, non è semplice affrontare queste situazioni. E in questi casi magari capita che Eric scriva una canzone, ma quella canzone dice esattamente quello che sto provando e ascoltarla diventa terapeutico. E la cosa migliore è che ci sono due modi, entrambi validi di ascoltare una canzone. Se mi sento bene mi esalto sentendo il riff o cantando il ritornello, ma se non sto bene mi ritrovo nel testo e comunque mi aiuta molto.

Oltre a questo, credo che la vostra musica sia un po’ influenzata da alcune band degli anni ’90 e 2000, come ad esempio Linkin Park, Deftones e così via. Quanto è importante la loro musica per voi? E come partite da qualcosa che vi piace per poi scrivere una canzone che è nel vostro stile personale?

Eric: Sì, molte di queste band hanno avuto un’influenza enorme. Ascoltavo un sacco di band, i Linkin Park, che hai menzionato, e altre. Riesco ad associarci i vari capitoli della mia vita. Ogni volta che riascolto quegli album mi ricordo perfettamente cosa stavo facendo all’epoca, cosa provavo, cosa stavo affrontando e così via. E quando si tratta poi di scrivere, di solito non parto da una canzone che mi piace in sé, quanto piuttosto dalle sensazioni che quel pezzo generava in me. Sono canzoni che mi facevano sentire bene, in grado di affrontare il mondo e quindi cerco di scrivere la mia versione in musica di queste sensazioni. Magari parto da un riff o da qualche elemento, ma poi è una questione di sensazioni.

Cambiando genere, una decina di anni fa avete pubblicato la cover di “Blank Space” di Taylor Swift e la state ancora suonando. Quindi insomma, credo che sia una canzone che vi piaccia molto!

Dylan: Sì, anche se in realtà non la suonavamo da tipo 5 anni, l’abbiamo appena rimessa in setlist. L’abbiamo messa in pausa per “raffreddarla” un po’ e ora l’abbiamo ripresa, è divertente da suonare.

Eric: Si collega al discorso di prima, è anche un brano che può essere un po’ una sorpresa e spezza la setlist in modo divertente. Oltre a ciò, sicuramente è una canzone che ci ha aiutato a crescere, ma non ci piace abusarne in scaletta. Quindi insomma, è divertente risuonarla ogni tanto, ma non lo faremmo sempre e comunque.

Eric, una domanda per te. Parlando di altri artisti, recentemente hai lavorato su una canzone con i Nothing More, “House On Sand”. Com’è successo e com’è andata?

Eric: È divertente, circa un anno fa abbiamo suonato al Knotfest in Italia e c’erano anche i Nothing More. Ci conoscevamo da un po’, ma quel giorno stavamo parlando e mi hanno fatto sentire un po’ di demo, proponendomi di fare qualcosa insieme nel caso me ne fosse piaciuta qualcuna. Ho sentito quella canzone e ho detto “questa è davvero fantastica, facciamolo!”. È bello avere questa connessione con un’altra band, la incontri in tour, parli e finisci a fare qualcosa insieme. Ed è divertente che questa cosa sia iniziata proprio in Italia un anno fa.

Un’ultima domanda, cosa potete dirci del futuro? State lavorando su qualcosa di nuovo?

Dylan: Stiamo facendo molti tour, tanti show sono già annunciati, ma ce ne saranno anche altri. Oltre a ciò stiamo lavorando a collaborazioni con altre band e piano piano stiamo scrivendo qualcosa di nuovo. Ma con calma, non vogliamo imporci di avere fretta. Tra l’altro questa è la prima volta che proviamo anche a scrivere mentre siamo in tour. Di solito ci prendiamo 6 mesi per scrivere e basta, ma stavolta abbiamo deciso di tenere allenato il cervello anche in tour. Quindi sì, ci sono in ballo tante cose per l’anno prossimo.

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