Fine gennaio ricco di varietà interessanti per gli affezionati al cosmo estremo.

Anachronism – Meanders (Unorthodox Emanations)

Esistono nel mondo estremo delle band che mostrano un particolare talento per la spontaneità, intrecciando ripida destrezza e un certo grado di improvvisazione in una proposta capace di sferzare come un tornado ed evocare la bellezza della natura selvaggia. Tra queste, spiccano senza dubbio gli Anachronism, quartetto non a caso proveniente dalla Svizzera, nazione sperimentale per eccellenza, casa natia di Celtic Frost, Coroner, Samael e compagnia maligna. Il gruppo di Losanna, tuttavia, sembra decisamente guardare oltre le imprese dei propri compatrioti, visto che lo sguardo è diretto ai Defeated Sanity di “The Sanguinary Impetus”, ai Gorguts di “From Wisdom To Hate” e all’opera omnia degli Ulcerate, act alfieri di un technical death metal ricco di dissonanze e preziosismi vari. Nel loro terzo full-length in studio, successore degli ottimi “Senseless” e “Orogeny” e dal significativo titolo “Meanders”, gli esperti musicisti elvetici navigano su oceani sonori la cui fragile crosta musiva riesce a conservare un invadibile equilibrio espressivo, grazie ad arrangiamenti ricchi di colore e ad abilità esecutivo/compositive fuori dal comune. Un album che, pur stemperando la ferocia più gelida in atmosfere liquide e narcolettiche, non cade mai nella trappola del virtuosismo fine a sé medesimo, smussando il rigore della forma con il calore delle emozioni umane. Da suggere con la sete e la sorpresa di un vagabondo spaziale che trova acqua sull’arida superficie lunare.

Tracce consigliate: “Meanders”, “Prism”, “Source”

…and Oceans – As In Gardens, So In Tombs (Season Of Mist)

Una storia davvero particolare quella che ha visto protagonisti gli …and Oceans: dopo una partenza come realtà symphonic black metal, il chitarrista e membro fondatore della band Timo Kontio la traghettò su lidi industrial così marcati da decidere di cambiarne il nome in Havoc Unit. Riunitosi nel 2017 con l’ex partner d’ascia Teemu Saari, il musicista finlandese ha deciso di mettere nuovamente in piedi il vecchio progetto, con la riesumazione di monicker e genere originari e chiamando a far parte della line-up il drummer Kauko Kuuisisalo, il tastierista Antti Simonen, il bass player Pyry Hanski e il cantante dei Finntroll Mathias Lillmåns. Laddove “Cosmic World Mother” (2020) è stato lo splendido frutto partorito a diciotto anni di assenza dall’ultimo “Cypher”, questo “As In Gardens, So In Tombs” si nutre dello slancio creativo del predecessore, confermando la forma davvero smagliante di un gruppo che in passato non brillava certo per continuità e ispirazione. Il platter dispiega la propria magica narrazione astrale attraverso un metallo nero acuminato e sferzante, a cui le sontuose orchestrazioni conferiscono un’aura di monumentalità che può ricordare, oltre ai migliori Carach Angren e Septicflesh, la ciclopica magniloquenza delle partiture wagneriane. Se il divino lo si intravede nella cura per i dettagli, allora il quintetto nordico non sembra lontano dalle malie della beatitudine eterna.

Tracce consigliate: “The Collector And His Construct”, “Likt Törnen Genom Kött”, “Ambivalent God”

Lumen Ad Mortem – Upon The Edge Of Darkness (Bitter Loss Records)

Il black metal rappresenta da sempre un enigma: se da un lato esso si presta, molto più dei suoi sodali estremi, a combinazioni di grande rigoglio creativo, dall’altro rifiuta, in maniera rigida e ostinata, di rinnegare i principi fondamentali che ne sancirono i natali. In nessuna enclave nera questa strana contraddizione appare così stridente come nelle funeste lande australiane. Il sottogenere dell’atmospheric, in particolare, spinge a tale osservazione, visto che uno stile che si pasce del freddo e dell’oscurità trova terreno fertile su una gigantesca isola ustionata dal sole e dal deserto. Dovrebbe essere assurdo, ma in qualche modo, funziona e i Lumen Ad Mortem, formatisi ad Adelaide nel 2019, sembrano intenzionati ad avvalorare la tesi che la nazione dei canguri nulla abbia da invidiare alla Scandinavia o agli Stati Uniti in termini di suggestioni sonore di ambito atmosferico. “Upon the Edge of Darkness” costituisce il loro debutto dopo appena una demo, ma ciò stupisce relativamente considerato che si tratta di musicisti piuttosto esperti, tra i quali spicca il batterista Matt “Skitz” Sanders, drummer dal significativo curriculum (Diabolic Rites, Damaged, Deströyer 666). Un album solido, dunque, che, pur non celando chiari riferimenti a Emperor e Wolves In The Throne Room, cerca nell’evocazione di un’epica glaciale e malvagia la propria strada maestra, concedendosi delle magnetiche pause strumentali quando la violenza e l’aggressività raggiungono il culmine. Qualcosa va sfrondato, ma ci troviamo di fronte a una realtà assolutamente credibile.

Tracce consigliate: “Infinite Resonance”, “Ethereal”, “The Voices Of Stream”

Seven Doors – Feast Of The Repulsing Dead (Redefining Darkness Records)

Con un monicker ispirato all’hotel presente nel film di Lucio Fulci “The Beyond” (1981) e un artwork, opera di Dedy Badic Art, memore di una delle locandine di un qualsiasi film di Lamberto Bava, i Seven Doors non potevano che dedicarsi a un death metal dalle arcaiche venature thrash  e figlio rétro sia di Asphyx, Cannibal Corpse, Death, Gorguts, Malevolent Creation e Suffocation sia delle colonne sonore di Fabio Frizzi. Dietro al progetto si nasconde in realtà un solo uomo, l’inglese Ryan Willis, giunto ora al sospirato debutto “Feast Of The Repulsing Dead” dopo l’EP del 2021 “The Gates Of Hell” e un’interminabile serie di singoli che hanno suscitato l’interesse dell’ambiziosa label statunitense Redefining Darkness Records. Un metallo della morte decisamente revivalista, ma viscerale e brioso, che ama la citazione senza per questo rinunciare alla propria autenticità, riempiendo di croci e sangue una tracklist ricca di riferimenti lirici alle pellicole horror degli anni ’70 e ’80, grande passione del barbuto artista della Cornovaglia. A guarnire la succulenta pietanza, Slasher Dave (Acid Witch), Paul Nazarkardeh (De Profundis), Chris Monroy e Mike De La O (Skeletal Remains), un quartetto di ospiti da brividi come la musica proposta: scroscio di applausi, please.

Tracce consigliate: “Feast Of  The Repulsing Dead”, “The Morbid Mortician”, “Cannibalistic Humanoid Underground Dwellers”

Tribunal – The Weight Of Remembrance (20 Buck Spin)

Nel corso dei decenni, ci sono state una serie di intriganti deviazioni nel regno del doom metal, che hanno mantenuto lo stile fresco e coinvolgente. “The Weight of Remembrance” rappresenta uno degli ultimi esiti temporali in tal senso, opera del duo canadese dei Tribunal, capaci di tessere, nel loro disco d’esordio, una musica del destino à la Candlemass del periodo Messiah Marcolin fusa a elementi gothic e death. L’affascinante vocalità pulita di Soren Morne, che suona anche il basso e il violoncello, rappresenta una caratteristica distintiva dell’opus, fornendo quel contrasto malinconico necessario a imprimere ai brani un’aura di profonda mestizia. La versatilità delle chitarre di Etienne Flinn e la sua timbrica poliedrica aggiungono la giusta mobilità al disco, mentre la produzione, in buon equilibrio tra sporcizia e nitore, dà modo ai singoli ingredienti del songwriting di risaltare nella generale coesione. Un arazzo eclettico e tradizionale da parte del promettente binomio di Vancouver, capace di avvolgere l’ascoltatore in una florida cornucopia di tristezza. 

Tracce consigliate: “Initiation”, “A World Beyond Shadow”, “The Path”

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