Un’afa malsana prorompe dalle regioni più oscure del metal.

Blackscape – Suffocated By The Sun (Massacre Records)

Benché in superficie il gruppo death/thrash svedese dei Blackscape appaia relativamente nuovo, visto che “Suffocated By The Sun” rappresenta il loro album di debutto, lo stesso non si può dire dell’esperienza dei musicisti coinvolti, eccezion fatta per il bassista e chitarrista Tage Andersson, qui al suo battesimo di fuoco. Il curriculum del singer Lawrence Mackrory e del batterista Thomas Ohlsson, accomunati dall’esperienza negli storici F.K.Ü., parla da solo: se il primo, oltre a essere uno stimato produttore e ingegnere del suono, milita come frontman tra le fila dei Darkane, il secondo siede dietro le pelli degli Apostasy, con trascorsi in Stass, Avenstar e The Project Hate MCMXCIX. Ne viene fuori un ottimo esordio, caratterizzato dall’incontro/scontro delle asce con l’incedere a martello pneumatico della sezione ritmica, restituendo una combo di pesantezza e brutalità che una sotterranea vena melodica ammortizza e arrotonda. La Bay Area di Heathen, Dark Angel e Metallica rielaborata attraverso la lezione di Drak Tranquillity, In Flames e Gojira, con groove e arrangiamenti  di vagliaa fungere da accorte sentinelle: ricetta che, a parte qualche scivolone prog/metalcore, vince a mani basse, frutto di veterani ben lungi dall’obliterare il tagliando per la pensione.

Tracce consigliate: “Waste Of Humanity”, “Enslaved”, “Colonized By The Dark”

Deitus – Irreversible (Candlelight Records)

Volano da sempre un po’ sotto il radar dell’underground più alla moda, eppure con “Irreversible” i britannici Deitus sono già pronti a servirci la loro terza tazza di tè nero extra forte, dopo i blasfemi “Acta Non Verba” (2016) e “Via Dolorosa” (2018). La scena black metal locale non fornisce necessariamente un’immagine uniforme di sé stessa, ma utilizzare delle categorie per il duo londinese appare un affaire piuttosto semplice, visto che non hanno nulla da spartire con Anaal Nathrakh, Cradle Of Filth, Fen od Old Forest, avendo scelto di votarsi alla Svezia anima e corpo. Certo, benché anche nell’alto medioevo i vichinghi, di tanto in tanto, facessero visite amichevoli in Inghilterra, si può a ragione dubitare che la prima pietra per l’influenza musicale sulla formazione di BDS e LDN sia stata posta in quel momento. Sta di fatto che questo nuovo lavoro si avvicina notevolmente all’eredità epico/melodica di Bathory, Dissection e Watain, con uno spruzzo di Slayer nei momenti più arrembanti e qualche vibrazione gothic sparsa qui e là, elementi che mostrano una discreta, e per molti versi inattesa versatilità compositiva della band. La presenza di Tore “Necromorbus” Stjerna al missaggio e al mastering chiude un cerchio a robuste tinte gialloblu, tanto derivativo quanto, a suo modo, efficace.

Tracce consigliate: “Straight For Your Throat”, “Irreversible”, “Voyeur”

Fen – Monuments To Absence (Prophecy Productions)

La progressiva evoluzione sonora del black metal ha prodotto numerosi dischi di qualità, soprattutto all’interno del filone post, corrente caratterizzata da stratificazioni atmosferiche e nebulose melodiche che troneggiano sui ruggiti neri delle chitarre. Sin dalle meraviglie di “The Malediction Fields” (2009), i Fen rappresentano una delle formazioni più significative e singolari di questo specifico settore, rilasciando con costanza album di grandissimo valore, l’ultimo dei quali, “The Dead Light” (2019), lasciava presagire il desiderio di tornare a un metallo nero più diretto e primitivo, benché sempre molto sui generis. Impressione suffragata dal nuovo “Monuments To Absence”, un lavoro in cui gli albionici mirano a ristabilire un equilibrio strutturale tra le due componenti della propria identità, pervenendo a un risultato notevole a livello di sfumature e dinamismo. Il gruppo londinese amalgama calore eufonico e gelide scabrosità in maniera sublime e con un senso brutale della malinconia, trasformando in un quasi capolavoro ciò che in mani altrui suonerebbe soltanto come un BM tradizionale striato da cupe rifiniture autunnali. Già il dualismo cromatico della copertina parla da sé, il resto lo fanno otto brani capaci di evocare la potenza colossale degli elementi naturali, parimenti forze creatrici e demolitrici.

Tracce consigliate: “Monuments To Absence”, “Truth Is Futility”, “All Is Lost”

Gateway – Galgendood (Transcending Obscurity Records)

Polistrumentista e unica mente dei Gateway, Sua Altezza paludosa Robin Van Oyen scrive da sempre una musica così abietta e opima di melma da soddisfare appieno le orecchie degli appassionati di tali sonorità. Dopo il debutto omonimo del 2015 e un paio di EP, la creatura dell’artista belga ha conosciuto un momento di pausa, prima di ripartire con una coppia di mini di malsana levatura, “Boundless Torture” (2018) e “Flesh Reborn” (2021). Proprio le caratteristiche stilistiche di quest’ultimo sono il rancido brodo primordiale nel quale sguazza il nuovo “Galgendood”, album di colossale death/doom la cui componente funeral riveste un ruolo fondamentale, malgrado la presenza di un metallo della morte à la Bolt Thrower fornisca quell’olio motore necessario affinché il tutto non si tramuti in una poltiglia indigesta e sonnacchiosa. La produzione, un funzionale mix di sporcizia e nitidezza che raramente si reperisce in queste tipologie di album, fodera i brani di una drappo avvolgente e nebbioso, mentre la sua organicità dà l’impressione che ci sia una band al completo a suonare, con tutte le ricadute positive del caso. Denso, aggressivo, funebre, spaventoso: la firma del fiammingo, che ringhia come una bestia priva di intelligenza, non tradisce.

Tracce consigliate: “The Coexistence Of Dismal Entities”, “Sacrificial Blood Oath In The Temple Of K’zadu”, “Bog Bodies Near The Humid Crypt”

Servant – Aetas Ascensus (MOD Records)

Per molti italiani, se non per tutti, la parola estate evoca immagini ormai abituali, figlie anche di un tam-tam mediatico con pochi eguali al mondo per stereotipia: spiagge, mare, piscine, sole, vacanze, code chilometriche sulle autostrade, anziani che si abbeverano alle fontane nelle ore più torride. Al fine di combattere le ubbie della bella stagione, niente di meglio che una gelida raffica di black metal norvegese proveniente, però, non dalle lande scandinave dei prime mover, ma da Hann. Münden, piccola città della Bassa Sassonia, nota per i tre fiumi che ne attraversano il territorio e luogo d’origine dei Servant. Dopo aver esordito nel 2021 con l’ottimo “Blessed By The Light Of A Thousand Stars”, i tedeschi si rendono oggi protagonisti di “Aetas Ascensus”, un album di metallo nero epico, orecchiabile, feroce, a tratti dissonante, adornato da testi che, pur trattando di varie dottrine religiose, si soffermano prevalentemente sullo gnosticismo. Grazie anche a una produzione perfetta, con un mix che, dal punto di vista tecnico, ricorda più un moderno disco death, il lavoro si rivela un’esperienza sonora di buonissimo calibro, per una formazione che, tra up e mid-tempo in sapiente alternanza, sa come ammaliare discepoli e parvenu.

Tracce consigliate: “To Crown A Beast”, “Mater Hominis”, “Prayer”

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