L’ultimo lavoro in studio degli Slægt risaliva all’aprile del 2019, data del rilascio di “Black Bombs”, un EP dal titolo sinistramente profetico visti gli eventi susseguitisi da allora in poi. Le restrizioni pandemiche sono diventate l’occasione giusta per registrare con la massima cura e attenzione materiale inedito, considerazione valida soprattutto quando si parla di artisti tedofori di uno stile soggetto a una miriade di influenze diverse. In origine one man band proprietà dell’ancora oggi leader Askor (Oskar J. Frederiksen) nel 2011, il progetto si è evoluto sia a livello di line-up, passata gradualmente a quattro elementi, sia riguardo al sound: al black tout court degli inizi, infatti, il gruppo ha affiancato con sempre maggior convinzione il recupero delle proprie radici NWOBHM, arrivando, tramite lo scorso “The Wheel” (2018), a un’ottima sublimazione dei due generi.
Il nuovo “Goddess” esaspera la strada meticcia intrapresa dal predecessore, veicolando una miscela altamente esplosiva di blackened heavy metal ruvido e variegato, allo stesso tempo melodico e tenebroso, arricchito da transizioni catchy molto rock anni ’70 e da più di un tocco gothic cupo e polveroso che ricorda, da vicino e non episodicamente, gli svedesi Tribulation. Le canzoni, in ogni caso, traboccano di una flessibilità compositiva notevole, che oltrepassa gli steccati Dissection/Iron Maiden del precedente LP, invischiandosi spesso in un’arcana rete psych/prog capace di aggiungere pepe a una pietanza di per sé già parecchio sapida. Un album avvincente, dunque, che inanella sei brani di qualità in un lotto opimo di dettagli eterogenei e di continui ribaltamenti di fronte, prodotti seguendo la logica di un’autenticità lo-fi rimasta quasi intatta anche a seguito del passaggio dall’elitaria e underground Ván Records a un’etichetta del calibro di Century Media.
Se “Deceived By An Amethyst”, nel ventre mistico della quale trova posto addirittura un sassofono, ciondola tra stilettate nero corvino e atmosfere space, “Kiss From A Knife”, trascorsa una prima fase in cui sembrano dominare le frenetiche decostruzioni death dei Portal, si incanala entro la freddezza della seconda ondata, pur conservando le svisate schizofreniche dell’abbrivio. La massiccia “Hunt Again”, invece, unisce la baldanza del proto-thrash a momenti doomish in stile Satyricon, mentre “Fealty, Thunder Whip” cavalca uno diabolico spirito speed’n’roll tinto di dark estremo e dissonanze bizzarre. E laddove il suggestivo “Stabat Bloody Stabat”, interludio di organo e chitarre acustiche, si agghinda di una denominazione aliena da equivoci, spetta all’epica title track chiudere il disco, un pezzo che Steve Harris e Tony Iommi avrebbero potuto scrivere dopo una visita al negozio di Helvete nel 1992.
Messo il bavaglio alla selvatichezza feroce di un tempo, gli Slægt, in “Goddess”, riescono a coniugare cattiveria, dinamismo e orecchiabilità, rinfrescando la tradizione con spunti personali davvero interessanti, benché a tratti la presenza dei Tribulation appaia un po’ troppo invasiva. I danesi perdono l’innocenza, ma si avviano a raggiungere lo status di musicisti con la emme maiuscola.
Tracklist
01. Deceived By An Amethyst
02. Kiss From A Knife
03. Hunt Again
04. Fealty, Thunder Whip
05. Stabat Bloody Stabat
06. Goddess