UPON STONE Dead Mother Moon 2024 700x700
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Upon Stone – Dead Mother Moon

La San Fernando Valley non sembra esattamente il luogo d’elezione quando si parla di melodic death metal, ma sin dall’EP di debutto dell’ottobre del 2021, “Where Wild Sorrows Grow”, gli Upon Stone avevano già messo le cose in chiaro a tal proposito, suscitando grande interesse da parte degli addetti ai lavori. Interesse che, dapprima concretizzatosi con una serie di date live in compagnia, tra gli altri, di Bewitcher, Creeping Death, Halo Effect, Unearth, Xibalba, successivamente registrò l’intervento della Century Media Records, fulminea nello strappare gli statunitensi dalle grinfie delle label rivali, patrocinandone l’esordio sulla lunga distanza “Dead Mother Moon”. Griffato da un artwork, opera del tedesco Andrea Marschall, direttamente connesso all’estetica degli anni ‘90, con protagonista un cavaliere che potrebbe far da auriga all’enorme mezzo corazzato che campeggia sulla copertina di “The Jester Race”, sempre di mano dell’artista figurativo di Karlsruhe, il platter sprigiona genuino amore per il materiale sonoro una volta appannaggio di At The Gates e In Flames, lasciandosi ispirare da album del calibro e della storia di “Lunar Strain” e “Slaugher Of The Soul”.

Il gruppo, però, non rimane impelagato in nessuna tentazione copia e incolla, né si ferma al bieco revivalismo antologico. I quattro, infatti, oltre a conservare integra la rabbia intestina temprata dal frequentare assiduamente il circuito hardcore punk di Los Angeles, attingono a un Gothenburg sound ancora in fieri e, dunque, intriso della ferocia del metallo della morte originario, spesso e volentieri corrotto da striature black e thrash. Spazio, allora, alle influenze di Dismember ed Entombed, ai bassorilievi sinistri dei Dissection, alle deviazioni core di inizio Duemila, il tutto avvolto dall’accorta produzione di Taylor Young, scaltramente rétro e prodiga di sottili code di riverbero che riescono ad esaltare al massimo grado le urla caustiche e roche del singer e bassista Xavier Wahlberg, il quale, senza sprofondare in un ibrido cosplay, ricorda sia Anders Fridén sia Tomas “Tompa” Lindberg. Al loro meglio, s’intende.

Un pugno di brani dal running time di trentuno minuti che paiono quindici per la veemenza profusa dai californiani, a partire da una title track trasudante gocce di emozione con il suo scandinavo piglio underground e le asce al vetriolo, mentre “Onyx Through The Heart” accosta, in un contesto di pura marca svedese, sfumature nere al groove metalcore di ascendenza Atreyu dell’era “The Curse”. Laddove la grintosa “My Destiny; A Weapon” possiede i denti e le mascelle di un alligatore vorace, slittando, nel finale, su una scia gelida ed eterea che evoca le soprannaturali atmosfere di “The Somberlain”, l’accessibile mid-tempo “Dusk Sang Fairest” freme di un’arcana patina viking folk e di esplosioni controllate, con un bridge acustico che i Dark Tranquillity degli albori avrebbero adorato alla follia.

L’intensità torna a martellare demolitrice fra le righe tortuose di “Paradise Failed”, sul cui breakdown ringhia la voce ospite di Brian Fair degli Shadows Fall, si place durante l’interludio ai limiti del dungeon synth “Nocturnalism”, poi deflagra appieno nell’oscura e viscerale “To Seek And Follow The Call Of Lions”, con tanto di tremolo in bella mostra e un frontman invasato peggio di un ossesso rancoroso. L’impulsivo e implacabile batterista Wyatt Bentley, forse la vera forza motrice della band, offre la performance più creativa dell’intero LP nella dinamica e maestosa “The Lantern”, pezzo dalle vibrazioni pagan che i lead sincopati di Ronny Marks e Gage Goss sovente conducono in territori simili a quelli bazzicati in passato dai Trivium. Chiude il lotto una versione personale di un classico dei Misfits, “Dig Up Her Bones”, un pleonastico – ed evitabile – tributo del combo alle proprie radici.

Impensabile dare la patente di capolavoro a un full-length comunque derivativo come “Dead Mother Moon”, eppure appare indubbio che gli Upon Stone non rappresentino una meteora dalla fisionomia nostalgica, bensì una creatura plastica, capace, con entrambi i piedi ben piantati nella tradizione, di reinventarla dall’interno, proponendo delle variazioni sul tema davvero intriganti. Se il buongiorno si vede dal mattino …

Tracklist

01. Dead Mother Moon
02. Onyx Through The Heart
03. My Destiny; A Weapon
04. Dusk Sang Fairest
05. Paradise Failed
06. Nocturnalism
07. To Seek And Follow The Call Of Lions
08. The Lantern
09. Dig Up Her Bones

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