Blur ballad of darren
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Blur – The Ballad Of Darren

9 luglio 2023, Wembley Stadium: Damon Albarn sfila le dita dal pianoforte dopo una potentissima “Under The Westway”, gira lo sguardo verso le quasi novantamila anime che colmano lo stadio, le osserva, sfinito dalla tensione e dall’ingovernabile emozione, poi scoppia in un pianto liberatorio.

Ecco, se potessimo prendere quel momento, carpirlo dal meraviglioso quadro della serata, allora sì che descriveremmo perfettamente l’essenza pura dei Blur.

Si sciolgono lì davanti i litigi, le brusche separazioni, le pause forzate, il passato glorioso, i cambi di rotta, i side project – che di laterale, alla fin fine, non hanno mai avuto nulla: un essere umano, esattamente come tutti quelli che aveva dinanzi, ed una band, che si ritrovano, a casa loro, come fratelli che riacciuffano abbracci persi lungo la strada tortuosa della vita.

La reunion dei quattro di Colchester non è un tentativo di autocelebrazione, ma è un lucido percorso di riallineamento – cronologico e mentale – con lancette che hanno girato parecchio, un ripercorrere il passato per mettere le spunte sui traguardi e sulle inevitabili perdite, un resoconto da timidi sorrisi e docili lacrime sulle guance, racchiuso in “The Ballad Of Darren” e nel suo malinconico musicare la mezza età di chi a vent’anni veniva cullato dalla fama mondiale.

L’ultimogenito dei Blur potrebbe considerarsi un disco a sé stante, lontano da tutta le previe release se non per quella forte inquietudine che metteva le radici nel self-titled del ’97, per poi fiorire massicciamente in “13” e nella sua sperimentazione ad ampio spettro. Sperimentazione che viene meno in “The Ballad Of Darren”, se non per qualche scampolo di canzone – gli sprazzi lounge pop di “The Ballad” – in favore di una essenzialità voluta e ricercata, atta a veicolare al meglio sentimenti ingombranti e complessi da trasmettere.

Le dolenti mancanze, appellate nei primissimi versi della succitata opener, le tumultuose riflessioni sulle proprie vulnerabilità, portate al trotto dall’ossimorica serenità ritmica di “Barbaric” – «I have lost the feeling that I thought I’d never lose / Now where am I going?». Tutto è permeato da mestizia e vivida consapevolezza, infrante solo per un attimo sul muro blues rock di “St. Charles Square”, unico spazio concesso alla mascolinità degli amplificatori e alle distorte reminiscenze giovanili: qui, come già detto, si pensa al presente e si analizza il passato con cauta distanza e con un filo di rimpianto, così come cantato da Damon Albarn in “The Everglades (For Leonard)”, un dissidio interiore tra volontà di cambiamento e rassegnazione, combattuto sul morbido tappeto acustico arpeggiato da Graham Coxon«There be songs to play / There be grace for everyone / And calmer days will arrive / And we would not need to ask […] Why everything In this world been lost ever since? /And we’re not giving in / We’re not gonna shy away […] Pursuing god with change / And furthermore I think it’s just too late».

Pullula il dolore per la distanza e le incomprensioni tra i zampillanti beat di “Goodbye Albert”, si distende il pauroso velo della solitudine nell’intima delicatezza di “Far Away Island”, ritorna l’incombenza dello scorrere del tempo sui piccoli momenti di serenità appellati da “The Heights” – «Seeing through the coma in our lives / Something so bright out there, you can’t even see it /Are we running out of time?». È “The Narcissist” che prova a scacciare le nuvole, a confessarci quanto valga la pena combattere per tenersi lontani dall’oscurità delle finte gioie: una narrazione autobiografica in versi semplici, ripetuti in eco da Graham Coxon su una base concitata e catchy, che secerne una quiete – almeno in parte – raggiunta.

In “The Ballad Of Darren” non parlano più le star del britpop, ma riprendono voce cinquantenni con nuove consapevolezze acquisite ed altre lucidamente perdute, e questo processo di creazione e disgregazione, prima celato dall’arrembaggio del successo, è ora il fulcro stesso di una band – e di un’opera – che nemmeno pensa di aggrapparsi ai fasti del passato, ma che vuole unicamente godere della musica con la saggezza – e i dovuti pensieri – di chi ha ormai compreso la fugacità della vita e quanto sia conseguentemente fondamentale il solo dipingere il proprio stato d’animo nella fermezza di un istante.

Non un capolavoro, ma un disco bello e strettamente necessario, questo sì. Bentornati Blur.

Tracklist

01. The Ballad
02. St. Charles Square
03. Barbaric
04. Russian Strings
05. The Everglades (For Leonard)
06. The Narcissist
07. Goodbye Albert
08. Far Away Island
09. Avalon
10. The Heights

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