NUOVE USCITERECENSIONI

Insomnium – Anno 1696

Gli Insomnium incarnano da un paio di decenni il topos del melodic death ricco di malinconia e sprazzi folk, una sensibilità che il mini del 2021 “Argent Moon” accentuava per mezzo di un’espressione ancora più morbida e atmosferica. Sarebbe stato sbagliato, però, scorgere in quell’EP un assaggio dell’album a venire, così come il primo singolo tratto da esso, “Lilian”, provvisto di un taglio commerciale vicino agli ultimi Amorphis e con Coen Janssen degli Epica alle keys, costituiva un estratto parzialmente fuorviante, adatto a fungere da efficace esca auricolare per le masse. Il nuovo album del gruppo, “Anno 1696”, appare infatti intriso di un’oscurità e di una durezza maggiori del consueto, considerato che il concept a cui dà manforte la musica, composta per la pressoché interezza dal chitarrista Markus Vanhala, si basa su un ordito narrativo dai colori molto cupi, benché non privo di qualche screziatura radiosa.

Nelle ricostruzione di un periodo del passato, spesso realtà e finzione si confondono, soprattutto quando il vero si trova invischiato in leggende e superstizioni. Il bassista e singer Nilo Sevänen, unico autore delle liriche, ha preferito aggirare il problema dell’oggettività a tutti i costi,  unendo ai fatti storici della fine del XVII secolo il racconto di Aino Kallas “Suden Morsian” (1928), inerente il mito del licantropo. Nell’ultimo quarto del ‘600 l’ondata di caccia alle streghe, che cominciava a esaurirsi nel resto d’Europa, raggiunse i paesi scandinavi, arrivando sino in Finlandia dove, ad aggravare la situazione, pensò anche una terribile carestia, responsabile, tra il 1696 e il 1697, della morte di metà della popolazione e di atti di cannibalismo. Su questo sfondo tenebroso, si svolge una tragica vicenda di amore e follia che vede il protagonista principale cercare di proteggere la propria amata dalla furia omicida di un implacabile inquisitore. Impulsi opposti che si traducono in scelte di scrittura ben precise: da un lato la presenza di un’ugola femminile ospite, mai impiegata dai finnici durante la loro lunga carriera, dall’altro il ricorso, in alcuni passaggi, a un black metal particolarmente virulento, un po’ sulla scia dell’ambizioso “Winter’s Gate” (2016).

Dopo un classico spoken word introduttivo, la semi-title track ci travolge attraverso una gelida ondata di riff in tremolo e blastbeat di una violenza tale da annientare qualsiasi resistenza; poi, il lavoro chiaroscurale di sei corde e tastiere riporta il combo sulle coordinate abituali, preparando il campo al vortice distruttivo che sta per investire il paese. “White Christ” piomba catchy e massiccia,  con Sakis Tolis dei Rotting Christ capace di conferire al brano un inconfondibile sapore heavy rock, mentre lead luminosi e un assolo celestiale si librano su un letto di synth quasi impercettibili, che risuonano quali echi lontani e spaventosi di povere donne torturate.

Il tentativo di trovare la luce in un mondo immerso nelle tenebre caratterizza invece “Godforsaken”, un pezzo tanto evocativo quanto intensamente epico, sorretto dalla surreale soavità vocale di Johanna Kurkela, tesa a contrastare i grugniti senza fondo del suo contraltare maschile. Se “The Witch Hunter”, pur alzando la posta dell’aggressività e del tecnicismo, beneficia di un ritornello davvero avvincente e “Starless Paths” mostra muscolosità di tono e delicatezza di spirito entro cadenze in 6/8, la ballad acustica “The Unrest” sembra un pesce fuor d’acqua di fronte al resto, unidimensionale oltre che strasentita da migliaia di entità nordiche e non. Gli opulenti arrangiamenti proggy di “The Rapids”, con tanto di pianoforte e mellotron che ne fasciano il feroce crescendo ritmico, sigilla il lotto in maniera cinematografica, forse la chiusura migliore per un disco carico ovunque di pathos e drammaticità romantica.

Rispetto allo scorso “Heart Like A Grave” (2019), “Anno 1696” esibisce un’impetuosità aguzza che fa decisamente sangue, malgrado l’insieme venga comunque avvolto all’interno delle orecchiabili stratificazioni sonore ormai gestite in automatico dagli Insomnium, con gli Omnium Gatherum spesso a occhieggiare dietro la porta. In ogni caso, un prodotto di gran classe e mestiere direttamente dalla Terra dei mille laghi.

Tracklist

01. 1696
02. White Christ
03. Godforsaken
04. Lilian
05. Starless Paths
06. The Witch Hunter
07. The Unrest
08. The Rapids

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