Se la prima buona notizia è che non ci troviamo al cospetto di un “Inspirations III”, la seconda riguarda la dignitosa fattura del ventiquattresimo album in studio dei Saxon, gruppo che, da “Unleash The Beast” (1997) in poi, ha visto risalire di molto le proprie quotazioni. Quotazioni che, dopo un periodo di appannamento pressoché decennale, sembravano, invero, destinate a precipitare in via definitiva. Il nuovo “Hell, Fire and Damnation”, la cui roboante combo titolo/artwork, quest’ultimo opera dell’ungherese Péter Sallai, padre padrone dei Bornholm, potrebbe campeggiare su un romanzo di Dan Brown, vede una significativa alterazione in sede di line-up. Al posto di Paul Quinn, infatti, spunta alla chitarra Brian Tatler, non esattamente un novizio della sei corde, vista la personale militanza in una delle formazioni cardine della NWOBHM, i tuttora attivi Diamond Head. Una scelta tanto azzeccata quanto poco rischiosa che, accanto alla ormai secolare regia produttiva di Andy Sneap, permette al full-length di viaggiare in totale comfort, malgrado monti una certa stanchezza rispetto a uno scorso “Carpe Diem” (2022) già sibillino in tal senso.
Marchiati a fondo da un Byff Byford briosamente ruvido e sornione nelle linee vocali e capace, per mezzo di una vivida penna da scrittore di vaglia, di trasportare gli ascoltatori in vicende storiche o affini che simboleggiano l’eterna lotta del Bene contro il Male e viceversa, con qualche incursione tra la vecchia Sheffield e il mondo delle radio pirata, i brani presentano quell’heavy metal sovente soffuso di spirito hard rock che contrassegna da sempre lo stile precipuo dell’act britannico. Ancora una volta, però, vuoi per fisiologica usura vuoi per scelte di console tese ad arrotondarne il sound, la band difetta di costanza in termini di grinta e arcigno cipiglio, con ritornelli spesso deboli e svuotati, che addirittura arrivano a richiamare le caramellose derive AOR di un “Destiny” qualunque.
A convincere dunque, sono i pezzi più roventi e adrenalinici – nei quali, non a caso, troneggia la coppia d’asce Scarrat/Quinn – come “Fire And Steel” e “Super Charger”, di matrice speed/power l’una, di motörhediana potenza l’altra, mentre abbastanza funzionali allo scopo risultano la granitica ballad “Madame Guillotine”, la marziale “1066” e il cupo mid-tempo dalle sfumature blues “Witches Of Salem”, con l’articolata “Kubla Khan And The Merchant Of Venice”, un po’ Iron Maiden, un po’ prog oriented, a chiudere la rosa dei pezzi migliori del lotto. Lasciano paghi a metà una title track troppo indecisa nell’affondare il colpo e la compatta, eppure povera di squilli “There’s Something In Roswell”, laddove costituisce una delusione la fiacca “Pirates Of Airwaves”, malgrado un bridge delizioso e il simpatico cameo dell’attore Brian Blessed, già burbero narratore nella buia intro d’apertura “Prophecy”, che, col grido Saxon’s Alive!, riprende la battuta del Principe Vultan da lui interpretato in “Flash Gordon”.
“Hell, Fire And Damnation” rappresenta il classico disco dei Saxon, di grande mestiere e piacevole nella sua prevedibilità, ma con qualche momento davvero poco incisivo, specialmente a livello di refrain, tanto che di davvero memorabile non rimane chissà cosa. I leoni dello Yorkshire, comunque, continuano a tenere onorevolmente botta e questo non può far che estremo piacere.
Tracklist
01. The Prophecy
02. Hell, Fire And Damnation
03. Madame Guillotine
04. Fire And Steel
05. There’s Something In Roswell
06. Kubla Khan And The Merchant Of Venice
07. Pirates Of The Airwaves
08. 1066
09. Witches Of Salem
10. Super Charger