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Suede – Autofiction

And years from now the grass will grow over our lives
But one day soon we will be found
One day we will love again through desolate times

Su “Autofiction” aleggia forte quel sentore di chiusura di un ciclo, una chiusura momentanea, necessaria, una sorta di ritorno in porto dopo un viaggio di trenta lunghi anni: tanto è passato da quando “The Drowners” iniziava ad intrufolarsi nelle case della gente ed intraprendeva l’opera di trascrizione della meravigliosa, sensuale e contorta storia musicale degli Suede. Parlare ancora di britpop ci sembra una scelta scellerata e fuori contesto, a maggior ragione perchè la band di Brett Anderson, a differenza di tante altre, rimaste incagliate tra la voglia di rimettersi in gioco e l’incapacità di sapersi rinnovare ed adattare al flusso del tempo, ha cambiato corazza lungo il tragitto, tornando in scena dopo un decennio di inattività con l’ottimo “Bloodsports” (2013) e dando vita ad un filotto positivo di uscite, arrivato a toccare il punto di massima espressione proprio in quest’ultima fatica.

Un ritorno alle origini, ad un’istintività che guadagna vigore rispetto alle più complesse architetture di “The Blue Hour”, ma che è figlia di una consapevolezza e di una maturità che tengono imbrigliato l’ardore adolescenziale, per sostituirlo con una rabbia malinconica e ricolma di saggezza: è un disco che collega, quello appena sfornato dai londinesi, che ricongiunge al passato, celebrandone la grandezza e metabolizzandone, a mente fredda, gli eccessi ed i rimpianti. Brett Anderson, d’altronde, non è più un ragazzino, così come i fidati compagni di scialuppa, decisi a trasformare assieme le sfarzose esagerazioni della creatura primordiale in bollenti riflessioni che scoppiettano nel sentito post-punk di “Personality Disorder” e nel velenoso alternative rock di “15 Again”, trovante consacrazione nel deciso contrasto strofa/refrain che oppone l’acidulo riffing iniziale alla susseguente esplosione di synth, cuciti alla perfezione alla voce del frontman che sembra non percepire affatto il peso degli anni che scorrono inesorabili.

Photo Credits: Dean Chalkley

Sapore di grunge viene fuori dal main riff di “That Boy On The Stage”, fuso con melodie indie-rock esalate dagli appunti chitarristici di Richard Oakes, traccia che conferisce ancor più valore all’intenzione degli Suede di evitare artifici, colpendo direttamente, anche in maniera più ruvida: cavalchiamo allora l’amalgama di blues e southern rock di “Black Ice”, lecchiamo i rimasugli di new wave dalle ragnatele ottantiane di una “Shadow Self” deliziosamente post-punk, spogliamo le nostre anime di fronte ad una struggente “Drive Myself Home” e ad una più animata “She Still Leads Me On”, toccante tributo del frontman alla defunta madre, orchestrato magistralmente in tutte le sue parti, dal minuzioso lavoro della sei corde, fino all’energico supporto tastieristico di Neil Codling, fondamentale nel garatire spessore nei momenti centrali dei pezzi – vedasi le trame dreamy di “What Am I Without You?”-.

Se ripensiamo al 1993, a quel debut album che ha silenziosamente rivoluzionato il mondo del rock, proviamo un dispiacere duplice, in primis perchè movimenti musicali e band del nostro periodo difficilmente potrebbero ricreare un terremoto discografico come quello scatenatosi ai tempi, in secundis perchè i londinesi si sono sempre ritrovati al di sotto dell’enorme ombra proiettata da dei giganteggianti Blur e Oasis.

Ma nel 2022, a conti fatti, Brett Anderson e soci non solo sono gli unici ad essere sopravvissuti, ma sono stati capaci di oltrepassare gli ostacoli – uno su tutti il complicato abbandono di Bernard Butler – e di effettuare un’intricata metamorfosi per far stare al passo coi tempi la loro inscalfibile indole musicale. Non deve essere affatto facile compiere il lavoro (o miracolo) che gli Suede portano avanti dal 2013, un’opera di miglioramento e di ritrovamento che arriva, oggi, a segnare un’importante giro di boa: “Autofiction” stringe le mani al passato senza, però, masticarlo all’infinito; è una celebrazione non pacchiana, ma rispettosa, figlia di musicisti che si ritrovano ancora insieme, dopo più di trent’anni, a partorire meraviglie senza dovere niente a nessuno. Lode agli Suede, quindi, e lunga vita alle splendide e malinconiche emozioni che sprigionano ancora oggi.

Tracklist

01. She Still Leads Me On
02. Personality Disorder
03. 15 Again
04. The Only Way I Can Love You
05. That Boy On The Stage
06. Drive Myself Home
07. Black Ice
08. Shadow Self
09. It’s Always The Quiet Ones
10. What Am I Without You?
11. Turn Off Your Brain And Yell

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