Vescovo e medico di Sebaste, comunità cittadina dell’Asia Minore, San Biagio visse durante la lotta per il potere imperiale tra Costantino I e Licinio, scontro interno che vide una delle ultime persecuzioni nei confronti dei cristiani, molti dei quali perirono martirizzati. Intorno al 316 d.C., i Romani catturarono l’ecclesiastico armeno, poi lo scorticarono vivo con dei pettini di ferro e infine lo decapitarono per mancata abiura. Operò, secondo la tradizione agiografica, numerosi miracoli, tra i quali quello della guarigione, avvenuta nel periodo della prigionia, di un ragazzo che soffriva per una lisca di pesce conficcata nella trachea. Da allora viene venerato come protettore della gola e commemorato nella giornata del 3 febbraio, medesima data della tappa milanese dell’orda death composta da Suffocation, Enterprise Earth, Sanguisugabogg e Organectomy, per l’unico rendez-vous in terra nostrana dell’Hymns From The Apocrypha European Tour 2024. Non sappiamo se sia trattato del prodigioso intervento della Divina Provvidenza, ma la celebrazione di uno dei suoi campioni simultanea a uno show di band estreme che non considerano certo la religione uno dei paradigmi cui aderire, ha permesso di salvaguardare del tutto le ugole dei quattro vocalist, consentendoci di gustare al meglio una performance altrimenti monca di un aspetto fondamentale. Un tripudio, dunque, di antireligiosità, rigaglie extra-dimensionali, omicidi, pornografia, torture e orrori vari, autorizzato dalle sfere superiori per dei mortali cultori della coercizione sonora più lurida ed efferata: mistero della fede.

Le porte del Legend Club si aprono verso le 18.30 e le presenze antropiche all’ingresso, inevitabilmente, si contano sulle dita di una mano, un numero esiguo che autorizza loro a perder tempo per ingannare l’attesa, gironzolando attorno al locale con fare leggero, complici anche le gradevoli temperature meneghine, miti nonostante il pieno inverno. Certo, in previsione delle ore successive all’evento, spuntano degli avventori vestiti da cosacchi, con tanto di colbacco d’ordinanza, un abbigliamento da tundra siberiana memore più di Totò, Peppino E La … Malafemmina che di Arcipelago Gulag, ma la maggior parte di loro indossa le classiche uniformi da appuntamento estremo, con sfoggio di illustrazioni cruente e di loghi indecifrabili da visita oculistica. Quando, dopo una mezz’oretta di bighellonaggio e di biglietti vidimati, la scarna folla, di punto in bianco tramutatasi in una marea imponente, si riversa nel locale lombardo per un sold out da antonomasia, emerge limpida la sensazione che stia per montare una mattanza stentorea, dalle proporzioni a dir poco ciclopiche. E, mentre le luci, a tratti stordenti, iniziano a svanire fioche, l’ombra dei primi macellai sonori si staglia mastodontica sul palco.

Organectomy

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Soltanto un creatura come gli Organectomy, originaria della città di Christchurch e inclusi nel roster della Unique Leader Records, poteva sobbarcarsi l’onere e l’onore di battezzare il principio della fiera attraverso una spaventosa batosta slam intrisa di un immaginario post-apocalittico piuttosto ricercato, capace di conferire credibilità e prestigio a un genere spesso incline a veicolare una rappresentazione di sé ai confini della demenza. Che i neozelandesi sappiano maneggiare la materia con autorevolezza e cura per il dettaglio estetico/musicale lo si evince da un percorso discografico capace, per mezzo delle buone prove di “Domain Of The Wretched” (2017) ed “Existential Disconnect” (2019), di giungere alla sintesi pressoché perfetta di “Nail Below Nail” (2022), concept album dal taglio horror/sci-fi ricco di rocciosi bassorilievi brutal, incisive sfumature old school e moderne incursioni deathcore, coeso melting pot disseminato di groove inarrestabili e di sinistre nubi atmosferiche. La terribile botta di inhale che, alle 19.00 precise, si leva dall’ugola sovrumana di Alex Paul, singer eccezionale nell’abbinare a meravigliosi gargarismi gutturali una mimica da psicopatico in cattività che rotea occhi e mani a ogni accenno di rigurgito, catapulta gli uditori entro le spire di un universo dove dominano golem dai tendini scricchiolanti e gigantesche macchine aliene dalle ingorde mascelle, la cui marcia mastodontica viene riprodotta dall’ascia spessa e monolitica di Sam McRobert, orfano impassibile dell’infermo compare ritmico Matthew Belch, e da breakdown così incommensurabili da rimpiazzare la forza dei migliori trivellatori della crosta terrestre. La platea si muove parallela al passo colossale dei conquistatori oceanici, alzando e abbassando gli arti superiori e inferiori in una danza che profuma di tribalismo troglodita, con il plus della vecchia “Impale The Bitch”, simpatico e rozzo campionario di oscenità da snuff movie, a impreziosire una selezione da fresco cursus honorum (spaventosa la resa di “Concrete” e di “Tracheal Hanging”). Scrosci di applausi torrenziali e via alle abituali, benché isolate, imprecazioni sacrileghe.

Setlist Organectomy

Impale The Bitch / Terror Form
Unending Regrowth
Concrete
Nail Below Nail
The Third Mutation
Severed From Humanity
Tracheal Hanging

Sanguisugabogg

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Seconda formazione a salire sul palco verso le 19.45, i Sanguisugabogg si fecero un nome nel sordido underground yankee con la demo “Pornographical Seizures” (2019), un breviario pornogore che, al netto della sua modestia,  stimolò gli interessi della Century Media Records, lesta nel metterli sotto contratto, patrocinandone sia il mediocre debutto “Tortured Whole” (2021) sia il più ortodosso “Homicidal Ecstasy” (2022). Se il quartetto dell’Ohio dà l’impressione, spesso e volentieri, di giocare a carte troppo scoperte con il parodistico e il grottesco, rivelandosi un soggetto perfetto per meme et similia, bisogna rimarcare la consistenza in sede live degli statunitensi, protagonisti di un’ottima prestazione sotto il terso cielo ambrosiano. Anche in questo caso, è il frontman il protagonista assoluto, un Denis Swank che, oltre a mostrare un growl di buona fattura, claustrofobico, ma allo stesso tempo comprensibile e percorso da salutari venature hardcore, si comporta da magnifico entertainer, aizzando continuamente al circle pit una torma che, da qui in avanti, elargirà stage diving e crowd surfing a profusione, collezionando episodi di cordiale cameratismo con l’act di turno. Collo taurino dalla resistenza encomiabile, braccia tozze e massicce, fisico da rissoso energumeno e pollice a simulare il taglio della gola, il singer, scortato da compagni d’arme di rotonda efficacia strumentale, sciorina racconti – tratti principalmente dall’ultimo lavoro in studio – di testicoli gonfi (“Black Market Vasectomy”), di scalpi di parrucchini (“Faced Ripped Off”), di crani spiaccicati (“Pissed”), di amabili parafilie (“Necrosexual Deviant”), il tutto all’insegna di un brutal death metal spurio, gommoso e accattivante che, laddove dal punto di vista lirico pesca dalla perizia chirurgica dei serial killer dai Macabre, da quello sonoro si ciba di grind e di antiche suggestioni fondatrici (Mortician e Cannibal Corpse). Non manca un happy birthday to you diretto al fonico che accompagna il carrozzone, con il malefico Derek Boyer dei Suffocation che lo abbraccia lieto a trentasei denti, e qualche essenza distillata dall’esordio del calibro di “Drugged By A Truck” e “Dead As Shit”, due modi di andare all’altro mondo che avrebbero fatto la gioia di 1000 Modi Per Morire. Sarebbe stato un sogno un lancio di fazzoletti grondanti sangue mestruale, tuttavia va bene lo stesso!

Setlist Sanguisugabogg

Black Market Vasectomy
Face Ripped Off
Pissed
A Lesson In Savagery
Mortal Admonishment
Necrosexual Deviant
Dragged By A Truck
Dead As Shit

Enterprise Earth

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In un quadro così feroce e tinto di humor nero, gli Enterprise Earth rappresentano, forse, l’anomalia del sistema, altresì per testi che non prevedono carni dilaniate e frattaglie in bella vista. Il baricentro musicale del gruppo di Spokane si ubica, oggi, in un deathcore moderno e polisemico che, nell’appena rilasciato “Death: An Anthology”, ambisce a ripulire l’eccessivo melodismo di “The Chosen” (2022), ponendo sé stesso all’interno di un telaio nel quale djent à la Meshuggah, death old school, technical thrash e barlumi di black sinfonico cercano di convivere in maniera progressiva, senza, però, riuscirvi appieno. Trevor Worland, eletto frontman al posto di Dan Watson, si rivela, comunque, un ottimo acquisto, abile a fornire una prova di carattere, fra ringhi profondi, scream acidi, clean di stampo metalcore e appelli alla massa opimi di fucking. Il pubblico, quantomeno in avvio, fatica a lasciarsi trascinare da una proposta dal focus un po’ diverso rispetto al contesto, eppure, pian piano, l’uomo dal lungo crine al microfono, che sulle prime sembrava voler riprodurre, sforzandosi, il cantato anfrattuoso dei colleghi, riesce a imporre – a torso nudo, s’intende – le proprie peculiarità vocali, soccorso e supportato dallo scintillio tecnico di Gabe Mangold, autore di una prova eccelsa alla sei corde. Il combo scolpisce una serie di vignette fluttuanti nel mare del rumore confuso, del cinematografico e del violento, con delicati attimi introspettivi a compensare la frenesia dell’insieme, caratteristiche sublimate tanto dalle nuove tracce “The Reaper’s Serpent”, “Malevolent Force” e “Casket Rust”, quanto dalle varie “They Have No Honor” e “Psalm Of Agony”, di cui vengono accentuati il cotè groovaro e le grasse sezioni in palm mute. Esibizione emotivamente viscerale, inferiore, però, al livello generale della serata.

Setlist Enterprise Earth

The Reaper’s Servant
Malevolent Force
Psalm Of Agony
Death Magick
Psalm Of Agony
Casket Of Rust

Suffocation

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Alle 21.50, tocca ai Suffocation calcare l’assito e non poteva che scatenarsi il delirio totale, soprattutto all’apparire messianico del chitarrista Terrance Hobbs, unico membro originale rimasto di una delle formazioni più innovative in ambito death metal, pionieri del bruta/technical e massimi influencer dello slam e del deathcore. Nonostante la dolorosa abdicazione da parte di Frank Mullen, il sostituto Ricky Myers, solido protagonista delle registrazioni di “Hymns From The Apocrypha” (2023), anche perché rodato da un’attività live ormai decennale con il gruppo, si conferma, dal vivo, un interprete di sostanza, discretamente carismatico e provvisto di un growl di foggia tradizionale, privo degli immensi gorgoglii del predecessore, ma abbastanza elastico ed espressivo nell’adattarsi a una setlist che vede l’inclusione di pezzi leggendari come “Breeding The Spawn”, “Effigy Of The Forgotten”, “Pierced From Within”, “Infecting The Cypts”. A testimonianza dell’enorme ascendente sulle attuali generazioni del quintetto di stanza a Long Island, Trevis Worland e Devis Swank partecipano entusiasti rispettivamente a “Funeral Inception” e “Liege Of Inveracity”, mentre Derek Boyer, Charlie Errigo ed Eric Morotti contribuiscono a rendere il concerto asciutto e spoglio di sbavature tecniche, evitando di esasperare la consegna di piste che emanano sublimi iridescenze solo con il titolo. Le canzoni del recente full-length paiono funzionare decisamente meglio on stage che su disco, in particolare “Seraphim Enslavement” e “Dim Veil Of Obscurity”, con la prima canzone scritta dai newyorchesi, “Catatonia”, a costituire la gustosa rarità della scaletta. Il coinvolgimento della moltitudine rasenta l’inverosimile, con i giovani spettatori che salgono e scendono dall’impiantito ininterrottamente e l’encore “Blind Torture Kill” a chiudere un trionfo di Storia e di furia iconoclasta. Bestiali conn raziocinio.

Setlist Suffocation

Seraphim Enslavement
Cataclysmic Purification
Breeding The Spawn
Dim Veil Of Obscurity
Pierced From Within
Funeral Inception
Perpetual Deception
Effigy Of The Forgotten
Hymns From The Apocrypha
Catatonia
Liege Of Inveracity
Infecting The Crypts
Blind Torture Kill

Si esce alle 23.00 e rotti, zuppi di sudore e con un tenace fragranza di WC nelle narici, ma consapevoli di aver assistito a una vera e propria celebrazione del death metal e dei suoi tremendi sottogeneri. Vedere, poi, Suffocation, Enterprise Earth, Sanguisugabogg e Organectomy unire, in modo così armonico e genuino, professionalità ed empatia, riscalda il cuore, rinvigorendolo dalle piccole e grandi angustie del quotidiano. E che non si dimentichi di ringraziare San Biagio …

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