OLDIESRECENSIONI

The Police – Reggatta de Blanc

Articolo a cura di Ivan Perilli

Sarà probabilmente successo a tutti: il primo ascolto di “Reggatta de Blanc” non si scorda mai, che sia stato nel 1979, nel 1992 od ora nel 2023. La mia reazione, credo agli inizi degli Anni Novanta, fu di non averci capito niente, ma mi era al contempo pure piaciuto un sacco. Un po’ come la prima volta con una droga nuova. Lo spacciatore, così accadeva nei primi anni Novanta, era un amico, e la dose arrivava sotto forma di musicassetta. La ricordo come se fosse ieri e probabilmente ce l’ho ancora da qualche parte, senza custodia eppure originale, di colore nera e arancio. Il mio amico in questione – che non ci aveva capito niente neanche lui – l’aveva ricevuta, o più probabilmente “trafugata”, da suo fratello maggiore, il classico fratellone ben più grande e con gusti musicali tanto encomiabili quanto pacchiani, quando ancora non c’erano i Dream Theater e i Guns erano sulla cresta dell’onda degli eccessi. Insomma mi arriva sta cassetta tra le mani, torno a casa e la infilo nello stereo. Parte “Message in a bottle”, finisco il lato A, giro, sospettosa parte “Walking on the moon”, finisce il lato B. Ero un ragazzino e non credo avessi ben chiaro i ruoli in una rock band. Sento questo instancabile suono profondo, questo basso tenace che non si ferma mai, non riesco nemmeno a immaginarlo – neanche ora forse. Tutti questi colpi e scoppi e accenti, la chitarra mai realmente distorta, la batteria che sembrano due.

Riparto allora, forse dopo qualche anno. Questi sono in tre, un basso, un batteria, e una chitarra (suonata “due volte”), e poi il cantato di Sting. “Message in a bottle” si muove nelle strofe proprio come una bottiglia in mezzo al mare, spostata in continuazione dal moto ondoso, senza uno schema preciso. Il basso spinge in avanti, la batteria colpisce che non sai mai quando, l’arpeggio di chitarra sembra quasi rovesciato, non rispetta i soliti prevedibili e noiosi schemi. Arriva il ritornello che sembra un’onda che spazza via la confusione, quest’onda viaggia dritta e precisa. Poi per appena quattro battute possiamo riprendere fiato, prima che il moto ondoso rincominci. Spero io non sia il solo ad aver sempre immaginato questa sensazione “in mezzo all’acqua”, magari almeno Sting voleva comunicare questo.

Spesso i Police alternano strofe ritmicamente spiazzanti a ritornelli chiari e precisi. Un’alternanza studiata e chiaramente voluta, non un caso dovuto all’ispirazione della composizione: in questo modo il ritornello diventa ancora più vivo e risolutivo mentre la strofa può continuare a narrare senza scusanti di forma. Questo lo vedremo spesso in quasi tutto l’album, una delle poche certezze.

Il brano “Reggatta de Blanc” ci spiega che non conta solo quale nota fai ma quando la fai e quanto ti prendi la libertà di ripeterla over and over and over. Accade un miracolo musicale in questo brano apparentemente nato a seguito di una jam (come chissà quanti altri brani, in fin dei conti): la chitarra di Andy Summers per più di un minuto fa sempre lo stesso brevissimo riff mentre Copeland dietro sembra stia testando tutto quello che si possa fare con una batteria. Dopo cinquemila battute Sting cambia nota, apre il suono, ma Summers rimane fermo sulla sua parte, e le orecchie dell’ascoltatore conseguentemente si sciolgono di piacere.

Reggatta De Blanc è un album reggae, in fin dei conti, e “Bring on the night” lo mette forse più in chiaro degli altri brani con quelle strofe vaghe, psichedeliche e in levare, e un ritornello che sembra quasi uno scherzo a confronto. Andy Summers, incredibile che sia il poliziotto meno conosciuto dei tre, in questo brano oltre a sfoderare un arpeggio non da poco, ci riprova e ripetendo in continuazione un paio di note riesce a creare a tutti gli effetti un vero e proprio solo di chitarra, indeciso, impaurito sul da farsi, lo strumento che impersona uno stato d’animo.

Scendo un poco nel tecnico ora. Mi è capitato a volte di dover spiegare l’importanza della sinergia cassa/basso: ad averlo notato prima, avrei potuto utilizzare “Deathwish” in quelle occasioni. In definitiva, non credete a chi dice che cassa e basso devono andare insieme all’unisono, e non ascoltate band dove la cassa e il basso vanno ognuno dove meglio credono. La verità è che cassa e basso devono essere consapevoli l’uno dell’esistenza dell’altro. “Deathwish”, appunto. Cinque colpi di bassa, cinque note di basso. Le prime quattro all’unisono, l’ultima con il basso che arriva prima della grancassa. Sembrano sei, sono cinque. L’ultima rintocca, suona come al contrario, sembra un singhiozzo, riparte ogni volta. “Deathwish” ti spiega cassa/basso ed lo fa pure con una canzone dannatamente bella.

“On any other day” andrebbe invece di usata per spiegare i testi che attraversano un po’ tutto l’album. Non c’è un brano che non sia ironico, divertente, parole stravolte quanto precise. Mai un luogo comune, se non voluto e quindi intriso d’ironia. “The cups and plates are in a conspiracy – I’m covered in misery – My wife has burned the scrambled eggs – the dog just bit my leg”, non è rock demenziale, anche se forse, quel gruppo di Bologna… gli anni sono gli stessi, forse sarebbero stati buoni amici. Reggatta De Blanc riesce ad eludere ogni possibile rischio di “testi non all’altezza” della musica, tanta classe e sense of humour. Ma procediamo, un po’ come ci pare.

“The bed’s too big without you”, con queste pesanti e pensanti lenzuola di suoni, il basso che toglie il respiro, Sting che cerca di rimanere a galla, le linee melodiche che sopravvivono, ma riescono a mala pena a tenere gli occhi aperti, frastornati dalla mescolanza ritmica, una Giamaica mai stata tanto poco piacevole. Una fastidiosa opera d’arte, “the bed’s”. L’inizio in fade in e l’uscita in fade out lasciano intendere che il brano sia rimasto in loop per sempre, che ancora adesso stia suonando, mentre l’album procede con le canzoni successive.

Arriva “Contact” e il basso di Sting si è trasformato in qualcosa di ultraterreno, in un serpente gigante che non ha inizio e né fine, girando e crescendo all’infinito sostiene una canzone che andrebbe definita sotto il termine di psichedelia atipica. La chitarra di Summers ci ricama sopra un ennesimo quadro di note centellinate e scelte con estrema cura. Il testo? I’d come on over but I haven’t got a raincoat, proprio così. Eppure lui ci stava provando con lei, pare.

Come chiudere questo spaventoso album, consapevoli che non passerà inosservato? Con il brano più veloce, premendo sull’acceleratore, come se al novantesimo la partita si riaccenda sul 3-3 e ci cerchi il golden gol. Tutti gli strumenti tengono duro e in scioltezza proseguono, nonostante il messaggio nella bottiglia sembri successo anni prima e non semplicemente quaranta minuti fa. Sembra di essere su di un ottovolante, non c’è davvero tempo, la frenesia della batteria, la voce distorta di Sting sono un grido di disperazione. La responsabilità del colpo di grazia, in ogni caso, se la prende Stewart Copeland: suoi gli ultimi quattro fill di batteria. Il primo è rapido, bello, gustoso, brillante. Il secondo è una valanga di cassa, tutti i tom a disposizione e rullante con chiusura secca – una cosa tanto pazzesca quando bella. Il terzo fill corrisponde alla fine davanti al portiere, cinque colpi, tanto spazio attorno, ma con le orecchie così eccitate da tale scelta che rasenta il genio che, invece, si manifesta nella sua totalità, quando il quarto fill – rapidissimo, secco, tutto rullante – esplode davanti a noi… e la canzone sfuma, un fade-out più veloce del solito ci lascia immediatamente con un semplice interrogativo: cosa sarà successo dopo e cosa ci siamo persi? “Reggatta de Blanc” è una spiegazione di composizione musicale, sul farsi bastare quel che si ha per mettere su disco un album senza una sola nota fuori posto. Banalmente, un album pazzesco. Dal 1979, sempre unico.

Tracklist

01. Message In A Bottle
02. Reggatta de Blanc
03. It’s Alright For You
04. Bring On The Night
05. Deathwish
06. Walking On The Moon
07. On Any Other Day
08. The Bed’s Too Big Without You
09. Contact
10. Does Everyone Stare
11. No Time This Time

Comments are closed.

More in:OLDIES

0 %